The Road to Guantanamo

Odissea di quattro amici colpevoli di essere pakistani

Vincitore a Berlino, il film di Winterbottom affronta un tema spinoso come le torture a Guantanamo adottando un partito preso linguistico coraggioso: fare, della rinuncia alla stilizzazione, uno stile. Fin dalle prime inquadrature il viaggio di quattro giovani inglesi di origine pakistana è rappresentato come un "filmino di famiglia" dalle immagini imprecise e sgranate.
Partiti per una festa di matrimonio in Pakistan, i ragazzi compiono una deviazione del tragitto: andranno in Afghanistan, ad aiutare la popolazione. Il loro arrivo a Kandahar, però, coincide con il primo bombardamento americano; ostaggi dei Talebani, cadono poi nelle mani delle truppe Usa. L'odissea culmina nel trasferimento alla base cubana di Guantanamo, dove sono sottoposti a torture fisiche e morali. I superstiti torneranno in libertà solo tre anni dopo.
Road to Guantanamo è una "via crucis" epica rappresentata senza retorica. A metà tra ricostruzione e reportage, mobilita la memoria dello spettatore animando le immagini, viste tante volte sui giornali e in tv, dei detenuti con la tuta arancione e la testa nascosta in un sacco nero che corrono nudi tra i latrati dei dobermann. Scene così eloquenti che la cinepresa non ha bisogno di sottolinearle: l'enfasi potrebbe solo banalizzarle. Winterbottom evita ogni commento, consapevole che occorre mantenere le immagini il più possibile aderenti alla realtà.
da La Repubblica, 15 settembre 2006


di Roberto Nepoti, 15 settembre 2006