“Al mondo non gliene frega un [omissis] di me, […] questo è il mio mondo” dice, regalando quest’ultima dedica al mondo del wrestling, Rourke, alias The Ram, verso la tragica fine del film: una scena che sigilla definitivamente una prova esemplare del suo talento in quello che ha definito "il miglior film che abbia mai girato".
Robin Ramzinski, per i fan The Ram, è diventato una star del wrestling alla fine degli anni '80, dopo la storica sfida in cui ha battuto Ayatollah. Ma ora, invecchiato e solo, continua a tirare avanti con il combattimento il fine settimana omaggiando il poco pubblico rimastogli. Tuttavia, costretto a lasciare il ring per problemi cardiaci, cerca nuovi stimoli tentando di instaurare e recuperare rapporti, ma la figlia (Evan Rachel Wood) lo odia e la spogliarellista (Marisa Tomei) con cui vuole rifarsi una vita è decisamente troppo impegnata a lavoro. Inutile dire che l’eroe non si arrenderà.
Al di là di ogni speculazione, questo film afferma deliberatamente che la vita sportiva ha la stessa importanza della vita reale e, benché gli sviluppi della storia non siano scontati, ci sono momenti capaci di spezzare il cuore: The Ram e gli altri vecchi atleti si rendono conto solo gradualmente che sono oramai vecchie carcasse lasciate a marcire dalla società e dal tempo (e i ragazzini di oggi preferiscono di gran lunga distrarsi con un sano videogioco di Call of Duty). Tra l'altro i pochi amanti del pro wrestling che ancora sognano un loro autografo non hanno meno di 40 anni. Dall’heavy metal di Bruce Springsteen emerge un senso di rabbia e frustrazione, mai tradotto in ripensamento, che il regista preferisce incitare con uno sviluppo narrativo evidentemente pessimista. Scena dopo scena, Aronofsky preferisce riprendere il protagonista di schiena, mentre un’instancabile cinepresa cerca di coglierne i pensieri e le emozioni, abbandonando i canoni estetici tradizionali e immergendo lo spettatore nel dissacrante ambiente del wrestling, pervaso da uno sconvolgente e violento autolesionismo.
E’ proprio quando il film sembra sfociare irrimediabilmente nel sentimentale che Aronofsky non delude. Rourke si spara graffette in fronte con la sparapunti per mantenersi al top, mentre il regista non sembra conoscere le tecniche del non-visto quando si tratta di dare alla celluloide alcune delle immagini più forti del nuovo millennio. Ma del resto il wrestling è finzione (il wrestler è a metà tra una star dello spettacolo e un atleta vero e proprio), esattamente come il cinema.
Chi non lo ha ancora visto non ci crederà, ma su un terreno simile a quello battuto da altri importanti registi negli ultimi anni (Eastwood in Million Dollar Baby, Russell in The Fighter, Howard in Cinderella Man e l’elenco potrebbe continuare) Aronofsky trionfa con uno smackdown. Al suo primo round. Un trionfo oscuro e indimenticabile, perfetto dal primo all’ultimo fotogramma.
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