Colleen Moore non ha mai nascosto come ha cominciato a fare del cinema. Suo zio, William Hovey, amministratore delegato dell'«American», il quotidiano di Chicago, aveva sostenuto con una campagna di stampa il film Intolerance contro gli attacchi della censura che voleva eliminare certe scene del film, ed era riuscito a rintuzzarli. Quando Griffith andò a ringraziarlo e gli chiese cosa poteva fare per disobbligarsi, Hovey gli rispose che aveva una nipote che voleva fare l'attrice. E con la raccomandazione del celebre regista, Colleen entrò alla Essanay e di lì a poco alla Fine Arts, dove girò uno dopo l'altro due film con Bobby Harron, Bad Boy e An Old-Fashioned Young Man (entrambi del 1917): nel primo è una timida ragazza di campagna, nell'altro una sirena cittadina che cerca di soffiare il fidanzato all'agreste fidanzata. «Lovable», «naive», «delicate» sono gli aggettivi con cui la critica la qualifica. Per anni, un po' alla Goldwyn o alla Vitagraph o alla Robertson-Cole o alla Fox, Colleen viene impiegata in una sequela di film di poco conto e in parti di ogni genere, nei western di Tom Mix, nei two-reels delle Christies Comedies, in soggetti rurali e in film avventurosi: accanto al giapponese Sessue Hayakawa è una principessa indù in The Devil's Claim (1920), con John Barrymore è una euroasiana in The Lotus Eater (1921); in The Huntress (1923), primo film girato alla First National, è una ragazza bianca allevata dai pellerossa, ma nel secondo, Flaming Youth (1923), Colleen letteralmente esplode nella parte di Patricia, la giovane fanatica del jazz che, sfidando ogni convenzione, decide di vivere liberamente e pienamente la sua vita e parte per una crociera ai Tropici, dopo aver scaricato il fidanzato propostole dai familiari. Tratto da un romanzo best-seller dell'epoca, Flaming Youth è uno dei primi film in cui si accenna alla perdita d'innocenza dell'America che sta velocemente cambiando. E la «Jazz-Craze Flapper» impersonata da Colleen rappresentò in modo preciso e insinuante la moderna e spregiudicata ragazza dei «Roaring Twenties».
Piccola, i capelli a caschetto spesso in disordine ma rimessi prontamente a posto con un lieve scrollio, gli occhi - uno blu, uno nero - aguzzi e sorridenti, una irresistibile simpatia, con questo e con altri film che le fecero interpretare sulla stessa lunghezza d'onda, Painted People, The Perfect Flapper, Flirting with Love (tutti del 1924), Colleen divenne un personaggio-simbolo, un modello cui s'ispirarono attrici come Clara Bow, con una maggiore carica di aggressività, Sue Carol, Betty Bronson, la stessa Joan Crawford ai suoi esordi.
Nel 1925, in So Big, Colleen dimostrò di saper uscire dal cliché della flapper per impersonare una figura molto più complessa, una donna fragile e forte al tempo stesso seguita lungo il corso della sua intera vita, ruolo arduo reso con grande padronanza drammatica.
Colleen apparve ancora in deliziose commedie come Irene (1926), Ella Cinders (1927), Oh, Kay! (1928), seppe essere una romantica eroina in Lilac Time (1928), ma dopo qualche altro film agli inizi del sonoro ed una breve trasferta in teatro si ritirò dall'attività artistica, lasciando di sé un gradevole, ma sempre più lontano ricordo.
Da Le dive del silenzio, Le Mani, Genova, 2001.