Non ha mai comprato su Amazon, né sa cosa sia Netflix, non si fida di un medico donna, mangia carne rossa, beve birra e se uno sparuto gruppetto di bambini mascherati dovesse mai chiedergli "dolcetto o scherzetto?", risponderebbe con: "Smith o Wesson?".

Beau Bennett è un uomo più che all'antica, misantropo, rude, taciturno, incline alla rissa, un westerner nato. Guai se sapesse che il figlio Rooster è un democratico e soprattutto guai se l'altro figlio, che ha chiamato Colt non a caso, dovesse tornare improvvisamente a casa a rovinare quell'equilibrio che la famiglia non ha mai avuto comunque.

The Ranch è la serie che non ti aspetti. Una scheggia controcorrente, una specie di satellite impazzito che sceglie un rewind di forma impressionante, riproponendo pari pari il modello della sitcom più classica con tanto di risate registrate, stessi ambienti presentati fino alla nausea, ricercata staticità di racconto, limitati e pochi punti di ripresa. Al primo episodio l'effetto è straniante, al secondo vi ha già fregato.

Al centro il rapporto tra il burbero Beau e l'irrisolto Colt, trentacinquenne che ritorna all'ovile dopo aver sprecato la possibilità di diventare un giocatore di football professionista a causa di "bionde giovanissime e whisky invecchiatissimo". Insomma un padre e un figlio in disaccordo praticamente su tutto, peggio di cane e gatto, tra i quali si trova in mezzo sempre il fratello Rooster, uno che a volte sembra quasi non esistere per Beau, benché abbia sempre lavorato lì al ranch con lui.

Intorno a Colt, la cui fama di quarterback è ancora viva nella piccola cittadina del Colorado dove si trova il ranch, orbitano Heather, ventenne supersexy, e Abby, l'ex fidanzata sul punto di sposarsi, i due poli della traccia "sentimentale" della serie.

Sotto al portico, una delle location fisse, siede spesso anche Maggie, madre dei due ragazzi che da anni vive in una roulotte e gestisce un bar, di fatto separata dal marito, ma ancora attratta da lui in maniera istintuale.

Se Ashton Kutcher e Danny Masterson non hanno alcuna difficoltà nel ritrovare l'armonia di That '70s Show, otto stagioni e duecento episodi non sono per niente pochi, è la vecchia guardia a brillare in maniera particolare: Sam Elliott e Debra Winger recitano in maniera fantastica la coppia che coppia non vuole essere pur non potendo smettere di esserlo, difficoltà e incomprensioni decennali a parte.

C'è poco da girarci intorno, gli ideatori Don Reo e Jim Patterson, una volta focalizzato il tema della sitcom, devono aver pensato automaticamente a Sam Elliott per il ruolo di Beau.

Più simpatico di Kris Kristofferson, meno bolso di Tom Selleck, l'attore è tutt'uno con l'immaginario western, anche se non cavalca e non spara da un pezzo. E non sono certo le risate registrate o l'impianto sitcom d'antan a rubare l'anima a The Ranch, prodotto paradossalmente ben più "di genere" di quanto si pensi. Come da manuale, le cose intorno a Beau sono mutate, l'azienda agricola affronta gravi problemi economici e l'assenza di pioggia fa il resto. I figli potrebbero aiutarlo, ma cavarsela da solo è quello che fa da sempre. Ancora il rimpianto per il passato, pure virato in maniera comica, la refrattarietà al contemporaneo, il conservatorismo sfrenato, più classico di così non si può davvero.

Nei 10 episodi da una mezz'ora ciascuno che compongono il nuovo esperimento Netflix, la presenza di Debra Winger appare piuttosto centellinata. Sia per lasciare spazio ad un universo che vuole essere davvero maschile o per semplici motivi contrattuali, non c'è dubbio che, una volta in scena, la Winger si confermi una delle migliori attrici della propria generazione. Ottimi anche i suoi duetti coi due figli, Kutcher e Masterson, anche produttori di una serie che ha il coraggio non da poco di lasciare il cinema fuori dalla porta, facendo invece venire voglia di recuperare le sitcom di trenta o vent'anni fa.