L'attore racconta la sua esperienza in Death by Lightning. Su Netflix.
di Paola Casella
È stato uno dei più indimenticabili Darcy del grande schermo nella versione di Orgoglio e pregiudizio diretta da Joe Wright nel 2005, e ha vinto due Emmy, due BAFTA e un Golden Globe per il ruolo dell’ambizioso Tom Wambsgans nella serie Succession. Ora Matthew Macfadyen è il coprotagonista della miniserie Death by Lightning di Netflix in cui interpreta Charles Guiteau, l’assassino del ventesimo presidente degli Stati Uniti James Garfield, a sua volta interpretato da Michael Shannon.
Conosceva questo periodo della Storia americana?
È un momento, tra la Guerra Civile e la Seconda Guerra Mondiale, di cui si sa poco, io personalmente non ne sapevo niente, e mi sono molto divertito a studiarla. Ho anche avuto la libertà di raccontare un personaggio che non è molto conosciuto e di cui nessuno si era già fatto un’idea. Ho studiato libri di Storia, osservato le fotografie d’epoca, in particolare quelle di Guiteau, Ogni giorno ho passato per un’ora e mezza al trucco per applicare la barba finta e lavorato con il costumista del film per indossare nel modo giusto i vestiti ottocenteschi che imponevano anche un certo modo di muoversi. Quei costumi mi ricordavano anche certi western, anche perché Guiteau si immaginava come il vendicatore solitario che salva la comunità, un personaggio da Far West.
Come ha fatto per rapportarsi a Charles Guiteau, un uomo al limite dell’instabilità mentale?
Mi sono identificato nel suo bisogno di rendersi utile e di sentirsi amato e considerato, quello che oggi descriveremmo come il bisogno di “essere visto”. C’è in lui un’innocenza e una fragilità umana in cui tutti possiamo riconoscerci. Tutti lo trattano come un appestato e lo tengono a distanza e lui non se lo spiega, perché vorrebbe solo contribuire al governo del suo Paese ed essere apprezzato e riconosciuto pubblicamente per il suo contributo. Invece viene costantemente rifiutato, e manda giù tutti quei rifiuti finché sente di non poterne più, e reagisce nel modo estremo e violento che sappiamo.
Forse il desiderio di Guiteau di essere riconosciuto e ammirato è simile a quello di chi oggi vuole diventare una star dei social.
Sono d’accordo, la sua ossessione ricorda il bisogno contemporaneo di ricevere l’approvazione degli altri sottoforma di like e l’inseguimento della celebrità a tutti i costi: del resto Guiteau soffriva di una forma di narcisismo che è molto frequente al giorno d’oggi. Ma io non l’ho visto come una persona cattiva, solo sviata e confusa. Certo, è un incompetente che si crede pieno di talento, ed è inaffidabile in ogni campo, ma non è maligno e ha certamente un problema mentale che non è stato diagnosticato né tantomeno curato. L’arte deve fare proprio questo: metterti negli occhi, nelle orecchie e nel cuore di una persona della quale riconosci l’umanità anche se è molto diversa da te e fa cose che non faresti.
Guiteau aveva il terrore di fallire. Ha mai provato questa sensazione?
No, io fallisco spesso, e non me ne faccio un problema: è l’unico modo per imparare qualcosa su te stesso e su quello che stai cercando di fare. Come si suol dire, chi non fa non sbaglia, e io preferisco continuare a fare che paralizzarmi per la paura di sbagliare. Come attore poi non ho nessun controllo sul risultato che avrà il mio lavoro, una volta finito di girare un film o una serie non è più in mano mia, e sarà il pubblico a decidere se sarà un successo o un fallimento. Io posso solo fare del mio meglio durante le riprese, e sperare che incontri il gusto degli spettatori.
In che modo questa storia ha a che fare con il presente?
È una storia senza tempo di violenza, ambizione e ossessione, ma certamente ha anche molto a che fare a con il momento presente. James Garfield è stato soprannominato “il più grande presidente che l’America non abbia avuto” perché è stato ucciso dopo soli 120 giorni nel suo ruolo, ma era un uomo di grande saggezza ed equilibrio che cercava di lavorare per il bene di tutti, non solo dei suoi elettori o di se stesso. Era cresciuto in povertà, aveva militato nell’esercito per difendere il suo Paese, ed era rimasto umile e modesto, capace di mettersi in discussione. Concepiva il proprio ruolo come servizio pubblico ed è stato uno dei politici più qualificati per ricoprirlo. Avercene oggi, di presidenti così.