Intervista col vampiro

Film 2022 | Horror 60 min.

Regia di Levan Akin, Keith Powell, Alan Taylor, Alexis Ostrander, Craig Zisk. Una serie con Jacob Anderson, Sam Reid, Eric Bogosian, Assad Zaman, Bailey Bass. Cast completo Titolo originale: Interview With the Vampire. Genere Horror - USA, 2022, STAGIONI: 2 - EPISODI: 15

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Ultimo aggiornamento giovedì 11 dicembre 2025

La serie esplora temi come amore, tradimento, mortalità, immortalità e vendetta, integrando prospettive moderne con una cornice gotica. La serie ha ottenuto 2 candidature a Critics Choice Award, 2 candidature a Critics Choice Super,

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Tratto dal romanzo di Ann Rice.
a cura della redazione
sabato 22 aprile 2023
a cura della redazione
sabato 22 aprile 2023

La serie segue la storia del vampiro Louis de Pointe du Lac che, nel 2022, decide di raccontare la sua vita a un giornalista, Daniel Molloy. Inizia con il suo tormento nella New Orleans del 1910, la sua trasformazione in vampiro per mano di Lestat de Lioncourt e la successiva vita di immortalità, che include eventi traumatici come l'arrivo di Claudia e la ricerca di risposte sulla loro esistenza.

Episodi: 8
Regia di Levan Akin, Keith Powell, Alan Taylor, Alexis Ostrander, Craig Zisk.

La feroce fedeltà di un adattamento ben fatto

Recensione di Gabriele Prosperi

Intervista col vampiro torna e riparte dal sangue già rappreso del finale precedente: Louis e Claudia fuggono dall'America, puntano all'Europa in guerra e alla promessa di una genealogia vampiresca più grande di loro. Dopo aver scoperto i revenants dell'est Europa che hanno alimentato le leggende, la ricerca li porta a Parigi, dove il Théâtre des Vampires diventa una famiglia e, al contempo, una gabbia. Qui Louis incrocia Armand - lo stesso che nel presente si rivela il Rashid della prima stagione - e l'intervista con Daniel Molloy si increspa: ciò che ascoltiamo si trasforma da racconto a campo di battaglia della memoria, dove amori, colpe e versioni dei fatti si contendono ogni scena, mentre l'ombra di Lestat, creduto fuori gioco, riemerge come ricordo intrusivo, come rimorso, come contro-narrazione capace di riscrivere i dettagli che credevamo certi.

Che liberazione vedere un adattamento che ama fino in fondo il suo testo e lo dimostra con i fatti.

Non dovrebbe essere necessario apprezzare un prodotto audiovisivo derivato grazie alla previa lettura del testo originale ma, conoscendolo a fondo, chi scrive non può che constatare la quasi perfetta operazione di traduzione fatta da Rolin Jones per AMC.

La seconda stagione di Interview with the Vampire non solo custodisce il cuore delle Cronache dei vampiri, ma lo traduce in linguaggio audiovisivo con una lucidità rara. L'Immortal Universe nasce chiaramente da mani che hanno letto e riletto Anne Rice, e qui quell'amore diventa un metodo produttivo: relazioni, figure chiave, pulsioni e psicologie vengono ri-forgiate in inquadrature, suoni e tagli di montaggio, in dispositivi scenici che rendono visibile la complessità emotiva della pagina scritta.

Il progetto seriale mostra un'interconnessione - a tre anni di distanza e con Le streghe Mayfair pronte a dialogare, come accade nei testi, con i vampiri - tattile, funzionale, valida, in altre parole profondamente efficace. L'ingresso dell'Ordine del Talamasca in questa seconda stagione rende esplicito il disegno originale: una confraternita di studiosi-sorveglianti che, nell'universo di Rice, mappa e archivia il soprannaturale (vampiri, streghe, medium e chi più ne ha, più ne metta) con filiali in tutto il mondo, una burocrazia ferrea e l'ambigua etica di chi osserva per proteggere ma finisce per influenzare ciò che osserva.

La sua comparsa in Intervista col Vampiro è la cerniera che tiene insieme i fili narrativi e che perciò pretende - data la complessità e gli articolatissimi intrecci tra le due saghe - una serie ad hoc dedicata all'ordine (Talamasca: l'ordine segreto debuttata nell'autunno 2025, anch'essa su Netflix) per espandere proprio questo ruolo di collante tra le linee del multiverso Rice. Una scelta giustissima, perché sposta il baricentro dal singolo arco romantico alla cartografia completa del mondo, valorizzando il gioco di rimandi e gli incastri intertestuali che la saga letteraria ha e che, come già annunciato, porterà a una cosmogonia sovrannaturale e, perciò, alla nuova serie prevista per il 2027 Night Island.

Sul terreno dell'adattamento, si va di bene in meglio. Le libertà prese - lo slittamento temporale, la riconfigurazione etnica di alcuni personaggi - sono drammaturgiche: fare di Louis de Pointe du Lac un creolo nero nel Sud del Novecento produce conseguenze concrete - di classe, razza e desiderio - che entrano in quadro e orientano spazi e sguardi. La serie aggiorna costantemente il testo rispettandone la logica interna: gli eventi vengono riallineati al contesto storico, le posture dei personaggi cambiano per necessità, e paradossalmente la fedeltà all'opera cresce proprio grazie a queste deviazioni. Insomma, ciò che un adattamento deve saper fare. Anche rispetto al film del 1994, colpisce la cura con cui emergono figure minori che il cinema aveva sfiorato, che entrano a pieno titolo nella partitura emotiva. E qui, ciò che una serie deve saper fare.

L'intervista non è più una cornice statica ma il motore che riarma di continuo la memoria, riavvolgendo il racconto, correggendolo, talvolta incrinandolo. Le stesse azioni ritornano con slittamenti minimi di asse e il montaggio diventa il luogo dove la verità si negozia. Le incursioni telepatiche - carattere sempre più centrale e intrigante del racconto, così come nei testi originari - sono rese con una grammatica del suono e della messa a fuoco che ipnotizza: la voce entra in campo come un vento che sposta le tende della scena e l'abbassamento del rumore di fondo dà al controllo mentale una fisicità quasi tattile. Il Théâtre des Vampires - una finzionale compagnia gestita da vampiri-attori - viene usato come dispositivo narrativo, non solo per i vampiri che possono così avere la "libertà" di esprimersi, grazie a una "finzione nella finzione", ma anche a livello formale, per mezzo di un palcoscenico provvisto di retroproiezioni cinematografiche che solo quello slittamento adattativo (che porta i nostri protagonisti alla metà del Novecento) poteva permettere.

Sul piano attoriale, l'equilibrio si sposta e Louis incarna, per primo (spoiler alert: non sarà il solo - cronache è al plurale) il punto di vista sempre più soggettivo di questi personaggi, man mano sempre più autori delle loro scene, artisticamente desiderosi di riscrivere i propri traumi - personali e specularmente storici. Il movimento tra biografia e autobiografia nel racconto, che mescola mise en abîme, flashback e memoirs, anima questo universo e non possiamo che voler voltare la prossima pagina, aprire l'altro capitolo alla fine di questa stagione, correre su Netflix a vedere cosa accade a New Orleans con le steghe.

Nella seconda stagione di Intervista col vampiro tutto converge in un'estetica molto precisa: il vampirismo come arte della revisione, che racconta attentamente e si fa simbolo di un contesto (il nostro, contemporaneo) caratterizzato da rifacimenti e ri-narrazione. La sete di sangue diventa una fame di versioni: di sé, dell'altro, del passato, della storia umana; il teatro nel racconto diventa perciò una metafora totale. L'arrivo del Talamasca rende esplicito anche il tema della sorveglianza: chi custodisce le storie detiene il potere di rimontarle, e chi archivia decide cosa resta e cosa scompare. Tema, anche questo, estremamente attuale.

È qui che la stagione supera la precedente: integra lo strappo emotivo con una riflessione di mondo, senza perdere intensità romantica e rispetto per l'autrice. Così, quando arrivano i grandi momenti di giudizio, di perdita - insomma, quella parte di ogni storia già adattata che meglio ricordiamo se ne abbiamo già visto o letto una precedente versione - non assistiamo soltanto a un climax narrativo ma alla dimostrazione di una poetica: il gotico, in questa serie, si fa metodo d'indagine, l'universo condiviso funziona come un atlante sensoriale capace di abbracciare vampiri, streghe e guardiani nella stessa, coerente orchestra. E, dal 2025 in poi, anche la mappa fuori dall'intervista promette di allargarsi mescolando, come solo la regina dell'horror sapeva fare, ordine e immaginazione, grazie a una buona dose di romanticismo.

Episodi: 7
Regia di Levan Akin, Keith Powell, Alan Taylor, Alexis Ostrander, Craig Zisk.

La perfetta operazione AMC che inaugura l'Immortal Universe seriale di Anne Rice

Recensione di Gabriele Prosperi

Louis de Pointe du Lac è un vampiro centenario che vive in un grattacielo di Dubai. Qui invita, di nuovo, il giornalista Daniel Molloy a riascoltare la sua storia, narratagli in un'intervista decenni prima. Nel suo racconto retrospettivo torniamo alla New Orleans dei primi decenni del '900, dove Louis, uomo creolo arricchitosi per mezzo dei suoi locali notturni a Storyville, incontra Lestat de Lioncourt, un dandy francese dai poteri ipnotici. Lestat lo introduce alla fame, alle regole del predatore notturno, alla gestione dei poteri di un vampiro; ma il patto romantico si increspa presto in un vincolo di dominio e si spezza definitivamente quando nella loro casa irrompe Claudia, adolescente anche lei creola trasformata e condannata a un'eterna pubertà. Il triangolo affettivo diventa terreno di battaglia che conduce a una separazione violenta. Nel presente, Daniel, invecchiato e malato, incalza il suo ospite smontando tutta la sua ricostruzione romantica, trasformando l'intervista in un'arena in cui il passato, ripetuto, cambia.

La produzione di un intero franchise crossmediale basato sulla prolifica produzione letteraria fantasy-horror (a tratti religiosa) di Anne Rice, dobbiamo dirlo, è un atto dovuto.

Le Cronache dei Vampiri (che comprendono ben 15 titoli) e le Streghe Mayfair (3 titoli), saghe intimamente e profondamente interconnesse tra loro, anticiparono tra anni Settanta e Duemila una serie di possibilità che solo gli universi mediali contemporanei (MCU, Wizarding World) sono stati in grado di mettere in atto grazie, anche, alle nuove tecnologie. La nuova serie AMC dedicata a Intervista col vampiro è una vera e propria occasione per tornare al gesto fondativo di Anne Rice e verificarne la tenuta nel presente.

Il romanzo d'esordio, pubblicato nel 1976, nacque in un clima culturale in cui identità e desiderio venivano rinegoziati con forza; la terapia d'urto di Rice, che rovesciava la tradizione gotica identificandosi con il mostro e non con la vittima, mise subito a fuoco due elementi dirompenti: la romanticizzazione del vampiro e, soprattutto, la fluidità relazionale di creature che, liberate dalle gerarchie del corpo, costruiscono legami non più normativi. Nei primi libri la sessualità di questi non-morti permaneva in uno sfondo implicito, mai veramente dichiarato (troviamo atti sessuali espliciti solo negli ultimi volumi), e veniva traslata nell'atto del nutrirsi, nell'omicidio, astraendo così il sesso verso l'etereo - e inevitabilmente costringendo l'autrice a creare una vera e propria cosmogonia, per esseri umani e non, che esondava anche in altre saghe o singoli romanzi (ad esempio Lo schiavo del tempo). Proprio per questo la sua carica queer diventava un motore percettivo più che descrittivo.

Prima di addentrarci nelle scelte della serie, vale la pena ricordare che quel nucleo di desiderio "fuori norma" ha radici anche (soprattutto) biografiche: Anne Rice elaborò Interview with the Vampire dentro una famiglia in cui la poesia di Stan Rice - marito e autore di raccolte come Some Lamb e Whiteboy - frequentava costantemente i territori della perdita, del corpo e dell'eccesso, fornendo un lessico emotivo che ha affiancato e sostenuto la sua immaginazione gotica. Biografici sono alcuni personaggi (Claudia nasce dalla perdita della figlia) e sempre in quel contesto crebbe il figlio Chris Rice, presto affermatosi come romanziere e che, dichiaratamente gay, avrebbe fatto dei conflitti identitari e del desiderio uno dei motori delle sue opere. Non a caso lo ritroviamo oggi tra i produttori esecutivi di questo Immortal Universe seriale - di cui ci occupiamo qui per la prima volta - al momento composto da Intervista col vampiro, Le streghe di Mayfair e Talamasca: L'ordine segreto - un ponte esplicito tra eredità letteraria, autobiografia e libertà rappresentativa.

Il film del 1994 diretto da Neil Jordan, con sceneggiatura firmata dalla stessa Rice, era figlio di quell'assetto industriale e culturale: grande budget e distribuzione mainstream, ma anche necessità di mediare. La produzione affidò i ruoli a star epocali - Tom Cruise, Brad Pitt, Kirsten Dunst, Christian Slater e Antonio Banderas - e puntò su un'estetica sontuosa che rendeva palpabile la tensione omoromantica senza esplicitarla. È noto che, nelle prime fasi di sviluppo, era stata persino valutata una versione con un Louis femminile per aggirare i timori di omofobia del mercato: un indizio eloquente di quanto la rappresentazione esplicita fosse ancora negoziata. Il risultato, però, fu un cult capace di traslare il genere su coordinate gotiche eleganti e malinconiche, lasciando che la dimensione queer circolasse come corrente sotterranea ma percettibile, esattamente come il libro originario.

Oggi il quadro produttivo è mutato e la serie AMC capitalizza su questa libertà. Dopo l'acquisizione, nel 2020, dei diritti su gran parte del catalogo di Rice, la piattaforma costruisce un vero universo, affida a Rolin Jones lo sviluppo della serie e schiera Jacob Anderson (nei panni di Louis), Sam Reid (Lestat) ed Eric Bogosian (Daniel Molloy). Il progetto è riconoscibile anche per la firma musicale di Daniel Hart e per un impianto registico che ne conferma la cura artigianale.

La scelta creativa più importante è di metodo: la serie non nega la prima intervista degli anni Settanta, bensì la rilegge. Nel presente, riallocato in una Dubai fatta di vetro e luci, Louis convoca un Daniel invecchiato per una seconda sessione che funge da dispositivo critico: il racconto viene smontato e rimontato, allo scopo di colmare omissioni causate più dalle sovrastrutture sistemiche che da scelte individuali di narrazione, e similmente le autoassoluzioni vengono contestate da un intervistatore, oggi, attivo e non mero uditore come in passato.

Questo spostamento ha una funzione speculare: autorizza gli autori a intervenire sulla diegesi per illuminare zone che il 1994 del film e il 1976 del libro non potevano o non volevano mostrare. Così la relazione tra Louis e Lestat diventa esplicitamente amorosa e sessuale in scena; non è più sottotraccia, ma oggetto di rappresentazione. È un guadagno netto: la serie può discutere consenso, potere, dipendenza, violenza domestica senza ricorrere al solo simbolo, permettendo così, a sua volta, di traslare la natura del non-detto (su cui il romanzo costruiva parte del suo fascino) su altri frangenti. È così che la sceneggiatura compensa, aprendo cioè il racconto a nuove finestre etiche: il sesso è mostrato, ma l'intimità sanguigna resta comunque il vero codice dell'estasi vampirica, e pretende così nuova significazione. Il pubblico deve interpretare quel rapporto, tanto quanto avveniva 30 e 50 anni fa.

Altro importante intervento riguarda il tempo e la sociologia delle Cronache dei Vampiri. L'azione retrospettiva non è più fissata nel Settecento schiavista ma inizia nella New Orleans di inizio '900, nel quartiere di Storyville, e Louis non è più un possidente bianco, ma un imprenditore creolo che gestisce locali e bordelli. Questa ricollocazione cambia la posta in gioco. Il vampiro, in quanto archetipo astorico, torna simbolo del suo tempo, e lo fa in una città che è crocevia di diaspora, segregazione e mondanità. Qui il desiderio di Louis si intreccia con l'economia del piacere e con la violenza sociale, e l'arrivo del dandy europeo, Lestat, accentua una dialettica coloniale che era solo latente nelle versioni precedenti. Anche l'età di Claudia viene riallineata: la scelta di "spostarla" da bambina (nel romanzo ha 6 anni) a quattordicenne apre a un racconto diverso sul corpo in trasformazione, sulla furia adolescenziale, sull'impossibilità di crescere e, sul piano produttivo, risponde pure a regole lavorative concrete.

In questa configurazione, la serie fa emergere il secondo asse di quella che fu la rivoluzione al romanzo horror di Rice: i vampiri come sismografi storici. Ogni non-morto, nei suoi testi, è una lente che ingrandisce i tratti dell'epoca in cui è stato creato; e le congreghe servono non solo a offrire compagnia, ma a interpretare il nuovo mondo quando la memoria del secolo di provenienza diventa un filtro troppo spesso che impedisce loro di comprendere il "nuovo". La mossa di slittare l'intervista al presente, dunque, non è un semplice aggiornamento scenografico (il grattacielo, l'airlock contro il sole, la domotica), ma un modo per misurare quanto la modernità - caratterizzata da sorveglianza, media, longevità delle immagini - riscriva il mito. In termini narrativi, Daniel Molloy guadagna centralità e il personaggio, da mero stenografo, diventa un controcanto che mette alla prova la retorica del narratore immortale e la natura manipolatoria del ricordo.

La forza dell'operazione AMC sta nell'avere trasformato la maggiore libertà rappresentativa contemporanea in leva concettuale, non in semplice escalation di esplicitezza (sulla sessualità, sulla parità dei diritti, sulle differenze etniche): la fluidità affettiva e sessuale ora può essere mostrata e, proprio perché la vediamo, possiamo indagarla come sistema di potere e di cura, come contratto e come abuso. Al contempo, i personaggi continuano a farsi emblemi del loro tempo: dell'America segregata degli anni Dieci, dell'Europa in guerra, del presente iperconnesso.

Se il film del 1994 componeva una ballata gotica in cui il desiderio queer era una corrente calda sotto il ghiaccio narrativo, la serie firma una partitura sinfonica in cui quella corrente sale in superficie e, risalendo, illumina l'archetipo del vampiro come strumento critico del contemporaneo. È per questo che l'aggiornamento non appare affatto un tradimento, ma è un piacevolissimo e dovuto completamento: riattiva i temi di Rice in un territorio in cui, finalmente, ciò che prima era sussurro può diventare lingua franca, senza mai perdere, nei punti giusti, il potere del non detto.

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