fede17
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sabato 17 dicembre 2022
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un film-vita degno di essere rivissuto
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È difficile parlare di un’opera simile, definirla e categorizzarla in modo da renderla il più possibile comprensibile alla nostra razionalità, in primo luogo per l’inesistenza di un intreccio narrativo. A questo riguardo mi vengono subito in mente alcune scene del film, in cui il nostro protagonista, Silverio Gama - per quanto desideri ancora apparire al mondo (e quindi a noi spettatori) come un pensatore critico del suo tempo, un libero ricercatore della verità dei fatti, un documentarista della realtà- si accorge che quest’ultima non è come la pensava, in altre parole non è così documentabile e spiegabile come crediamo.
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È difficile parlare di un’opera simile, definirla e categorizzarla in modo da renderla il più possibile comprensibile alla nostra razionalità, in primo luogo per l’inesistenza di un intreccio narrativo. A questo riguardo mi vengono subito in mente alcune scene del film, in cui il nostro protagonista, Silverio Gama - per quanto desideri ancora apparire al mondo (e quindi a noi spettatori) come un pensatore critico del suo tempo, un libero ricercatore della verità dei fatti, un documentarista della realtà- si accorge che quest’ultima non è come la pensava, in altre parole non è così documentabile e spiegabile come crediamo. Il suo ultimo documentario, che riporta lo stesso titolo del film che stiamo vedendo, permette un’identificazione immediata con il regista Alejandro Inarritu, che realizza un’autobiografia (un’autobiografia che potrebbe essere di ognuno di noi) sincera e modesta, la confessione che le memorie della sua (nostra) vita non sono mai così comprensibili e solide come vorremmo, perché il nostro ricordare è liquido tanto quanto il tempo (figuriamoci la realtà storica!), proprio come è mostrato nella scena in cui Silverio sul treno lascia cadere un sacchetto di plastica contenente i pesciolini del figlio e cerca invano di recuperarli in mezzo all’acqua. Ci sarebbero moltissime altre scene da commentare, ma forse l’approccio migliore è quello di abbandonarsi a vivere un’esperienza “autobiografica” che sembra riconnettere tutte le nostre vite in un’unica vita, che cammina sospesa nel bardo al di là di ogni confine nazionale, un aldilà che è profondamente radicato nell’esperienza sensibile e al tempo stesso rarefatta di un corpo fatto di sangue e carne, un corpo che non smette di stupirsi della bellezza femminile, del sorriso di un ragazzino sul treno, del cielo verso cui si volgono costantemente i suoi occhi. Per quanto si potrebbe aggiungere che è un film sulla perdita d’un figlio, sul problema dell’identità nazionale, sull’immigrazione, sul capitalismo, sulla difficoltà di fare puro giornalismo, sul degrado dello spettacolo e della televisione, in realtà si tratta di un’opera la cui somma è molto più delle sue singole parti, come l'esistenza che, pur sfuggendo ad ogni nostra definizione e semplificazione - come sembra voler dirci Inarritu/Silverio -, è un misterioso bardo degno di essere vissuto in ogni sua forma (qualunque essa sia). Capolavoro di Inarritu.
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sabato 17 dicembre 2022
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un film-vita degno di essere rivissuto
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È difficile parlare di un’opera simile, definirla e categorizzarla in modo da renderla il più possibile comprensibile alla nostra razionalità, in primo luogo per l’inesistenza di un intreccio narrativo. A questo riguardo mi vengono subito in mente alcune scene del film, in cui il nostro protagonista, Silverio Gama - per quanto desideri ancora apparire al mondo (e quindi a noi spettatori) come un pensatore critico del suo tempo, un libero ricercatore della verità dei fatti, un documentarista della realtà- si accorge che quest’ultima non è come la pensava, in altre parole non è così documentabile e spiegabile come crediamo. Il suo ultimo documentario, che riporta lo stesso titolo del film che stiamo vedendo, permette un’identificazione immediata con il regista Alejandro Inarritu, che realizza un’autobiografia (un’autobiografia che potrebbe essere di ognuno di noi) sincera e modesta, la confessione che le memorie della sua (nostra) vita non sono mai così comprensibili e solide come vorremmo, perché il nostro ricordare è liquido tanto quanto il tempo (figuriamoci la realtà storica!), proprio come è mostrato nella scena in cui Silverio sul treno lascia cadere un sacchetto di plastica contenente i pesciolini del figlio e cerca invano di recuperarli in mezzo all’acqua.
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È difficile parlare di un’opera simile, definirla e categorizzarla in modo da renderla il più possibile comprensibile alla nostra razionalità, in primo luogo per l’inesistenza di un intreccio narrativo. A questo riguardo mi vengono subito in mente alcune scene del film, in cui il nostro protagonista, Silverio Gama - per quanto desideri ancora apparire al mondo (e quindi a noi spettatori) come un pensatore critico del suo tempo, un libero ricercatore della verità dei fatti, un documentarista della realtà- si accorge che quest’ultima non è come la pensava, in altre parole non è così documentabile e spiegabile come crediamo. Il suo ultimo documentario, che riporta lo stesso titolo del film che stiamo vedendo, permette un’identificazione immediata con il regista Alejandro Inarritu, che realizza un’autobiografia (un’autobiografia che potrebbe essere di ognuno di noi) sincera e modesta, la confessione che le memorie della sua (nostra) vita non sono mai così comprensibili e solide come vorremmo, perché il nostro ricordare è liquido tanto quanto il tempo (figuriamoci la realtà storica!), proprio come è mostrato nella scena in cui Silverio sul treno lascia cadere un sacchetto di plastica contenente i pesciolini del figlio e cerca invano di recuperarli in mezzo all’acqua. Ci sarebbero moltissime altre scene da commentare, ma forse l’approccio migliore è quello di abbandonarsi a vivere un’esperienza “autobiografica” che sembra riconnettere tutte le nostre vite in un’unica vita, che cammina sospesa nel bardo (al di là di ogni confine nazionale), per quanto ci convinciamo di essere ben svegli e razionali. Per quanto si potrebbe aggiungere che è un film sulla perdita d’un figlio, sul problema dell’identità nazionale, sull’immigrazione, sul capitalismo, sulla difficoltà di fare puro giornalismo, sul degrado dello spettacolo e della televisione, in realtà si tratta di un’opera la cui somma è molto più delle sue singole tracce, perché la nostra esistenza è molto più dei suoi singoli episodi. Bardo non è un film sulla vita, bensì un film che è la vita stessa, misteriosa come il bardo ma degna d’essere esperita in ogni sua forma. L’ultimo capolavoro di Inarritu.
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martedì 22 novembre 2022
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film coinvolgente
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Bel film, attori bravissimi.
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peer gynt
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giovedì 1 settembre 2022
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come fare un film-metafora sulla vita e sull''arte
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C'è un genere cinematografico che, per un regista affermato, è diventato quasi un obbligo: il grande-affresco-a-metà-strada-fra-realtà-e-fantasia, ovvero il grande film-metafora che riflette sulla vita e sull'arte. Illustre capostipite di questo genere è ovviamente l'"8 e mezzo" felliniano (ma a quella data un film del genere era veramente e profondamente innovativo), poi sono venuti gli epigoni, e fra loro registi come Paolo Sorrentino, che su questo tipo di film hanno costruito un'intera carriera. Ora anche Inarritu ha deciso di realizzare il suo film-metafora sulla vita e sull'arte. Come fare a riconoscere un film appartenente a questo genere? Semplice: c'è la voce off del personaggio-narratore, ci sono alcune scene fantasiose di carattere surreale, il tutto viene infarcito di simboli, e poi c'è il personaggio in crisi che dialoga con il proprio padre morto (nel film di Fellini il padre era interpretato da Annibale Ninchi).
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C'è un genere cinematografico che, per un regista affermato, è diventato quasi un obbligo: il grande-affresco-a-metà-strada-fra-realtà-e-fantasia, ovvero il grande film-metafora che riflette sulla vita e sull'arte. Illustre capostipite di questo genere è ovviamente l'"8 e mezzo" felliniano (ma a quella data un film del genere era veramente e profondamente innovativo), poi sono venuti gli epigoni, e fra loro registi come Paolo Sorrentino, che su questo tipo di film hanno costruito un'intera carriera. Ora anche Inarritu ha deciso di realizzare il suo film-metafora sulla vita e sull'arte. Come fare a riconoscere un film appartenente a questo genere? Semplice: c'è la voce off del personaggio-narratore, ci sono alcune scene fantasiose di carattere surreale, il tutto viene infarcito di simboli, e poi c'è il personaggio in crisi che dialoga con il proprio padre morto (nel film di Fellini il padre era interpretato da Annibale Ninchi). E Inarritu, fedele al genere, ci mette dentro tutto questo in un film di quasi 3 ore (se avesse avuto il coraggio di sforbiciarlo di almeno 1 ora ne avremmo guadagnato tutti!), in molti momenti non solo verboso ma addirittura logorroico. Non che il regista messicano non sappia il fatto suo, anzi! Dettagli affascinanti ce ne sono (basti pensare alla scena iniziale, con quell'ombra lunga d'un essere umano che incomincia a correre e poi ... vola!), bei pezzi di cinema pure, ma in definitiva è cinema già visto, che sembra troppo teso a voler strappare l'applauso. E l'applauso arriva, ed è arrivato anche a Venezia, dove il film è stato proiettato alla 79. Mostra del cinema. Ma non era un applauso convinto!
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