melina
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giovedì 16 aprile 2020
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parasite
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Dei calzini appesi a un piccolo stendibiancheria da soffitto e la visuale su una strada dalla finestra di un appartamento seminterrato. Per 30 secondi la scena di apertura resta fissa su quanto descritto dando quasi l’impressione di voler far ambientare lo spettatore al luogo. L’inquadratura si abbassa lentamente riprendendo un ragazzo che siede tenendo il cellulare che ha tra le mani di fronte al viso: “Ci hanno fregati, niente più Wi-Fi gratis“. Questa la significativa scena iniziale di un capolavoro che porta la firma di Bong Joon-ho. La storia narra in maniera comico-fiabesca come, dopo aver ricevuto una roccia “porta ricchezze“, la povera famiglia Kim intraprenderà quella che sembra essere a tutti gli effetti un arrampicata sociale, raggirando una ricca famiglia, i Park.
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Dei calzini appesi a un piccolo stendibiancheria da soffitto e la visuale su una strada dalla finestra di un appartamento seminterrato. Per 30 secondi la scena di apertura resta fissa su quanto descritto dando quasi l’impressione di voler far ambientare lo spettatore al luogo. L’inquadratura si abbassa lentamente riprendendo un ragazzo che siede tenendo il cellulare che ha tra le mani di fronte al viso: “Ci hanno fregati, niente più Wi-Fi gratis“. Questa la significativa scena iniziale di un capolavoro che porta la firma di Bong Joon-ho. La storia narra in maniera comico-fiabesca come, dopo aver ricevuto una roccia “porta ricchezze“, la povera famiglia Kim intraprenderà quella che sembra essere a tutti gli effetti un arrampicata sociale, raggirando una ricca famiglia, i Park. Avvicinandosi alla conclusione la vicenda assumerà tinte tragiche con sviluppi inaspettati. La maestria di Bong Joon-ho sta nel riuscire a mettere alla luce le problematiche relative alle disuguaglianze sociali e le tragiche condizioni di vita delle persone povere attraverso uno stile di recitazione che non rende pesante o impegnativa la visione del film, difatti i momenti in cui lo stile comico non mitizza la tragicità delle situazioni sono ben pochi. L’innesco che farà esplodere i velati sentimenti repressi del signor Kim, più volte discriminato silenziosamente per il suo “odore speciale” definito una peculiarità di chi prende la metropolitana, è il gesto con cui il signor Park, intento a recuperare le chiavi della sua auto, si tappa il naso per non sentire la puzza di un uomo morto esitando per qualche momento prima di afferrarle, mentre in torno a lui si sta consumando una tragedia. Nel film emerge una filosofia di vita promulgata dal signor Kim nel dialogo che avviene tra lui e suo figlio: “No, Ki woo sai quale tipo di piano non fallisce mai? Non avere mai alcun tipo di piano, neanche l’ombra. Sai perché? Se elabori un piano la vita non va mai nel verso che vuoi tu (…). Ecco perché non si dovrebbe mai fare un piano. Se non hai un piano niente può andare storto figlio mio.” Quest’idea del non pianificare qualcosa per evitare di rimanere inevitabilmente delusi dalla non attualizzazione di esso, a mio parere, non esprime passività e pessimismo da parte del signor Kim, piuttosto si fa portatrice dell’esperienza che egli ha acquisito vivendo nella miseria. Non fare piani e quindi di conseguenza non rimanere delusi da un esito negativo, dato quasi per certo, è l’unico modo che si ha per tutelarsi. Come biasimarlo? La ricchezza di questo film è la sua cruda realtà in questa straordinaria e insolita storia di fantasia.
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gattoquatto
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lunedì 31 agosto 2020
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deludente
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Mi rendo conto che criticare un film che ha ottenuto molti premi può sembrare arrogante. Eppure la mia reazione alla visione di questo film è stata una grande delusione. Seppure tecnicamente ben realizzato, Parasite mi è parso un film ben confezionato ma molto povero di contenuti. La contrapposizione tra ricchi ottusi e poveri ma scaltri mi pare superficiale, banalmente caricaturale e tanto ritrita da essere ormai noiosa. La trama è scarsamente credibile, e in generale il film descrive un mondo privo di qualsiasi valore o interesse che non sia il denaro, veicolando un messaggio miseramente nichilista (forse opposto alle intenzioni del regista?): ricchi e poveri sono intercambiabili e accomunati da un interesse esclusivo, i soldi.
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Mi rendo conto che criticare un film che ha ottenuto molti premi può sembrare arrogante. Eppure la mia reazione alla visione di questo film è stata una grande delusione. Seppure tecnicamente ben realizzato, Parasite mi è parso un film ben confezionato ma molto povero di contenuti. La contrapposizione tra ricchi ottusi e poveri ma scaltri mi pare superficiale, banalmente caricaturale e tanto ritrita da essere ormai noiosa. La trama è scarsamente credibile, e in generale il film descrive un mondo privo di qualsiasi valore o interesse che non sia il denaro, veicolando un messaggio miseramente nichilista (forse opposto alle intenzioni del regista?): ricchi e poveri sono intercambiabili e accomunati da un interesse esclusivo, i soldi.
Che barba!
Per me un film inutile, il cui unico spunto di interesse è la conferma dell'alta professionalità raggiunta dal cinema orientale.
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gabriella
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domenica 18 ottobre 2020
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l''odore della povertà
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Difficile definire questo film sudcoreano ,così stratificato e nello stesso tempo alieno a una cultura occidentale, mostrato senza filtri, disturbante nella visione, perchè la povertà non è la poetica visione di dignità di una famiglia unita negli affetti che vive in uno scantinato maleodorante piegando cartoni di pizza per quattro miserabili soldi, ma ci mostra invece il volto deformato di chi occupa il gradino più basso della scala sociale. La miseria, la puzza da strofinaccio bollito, l'arte di sopravvivere mediante manipolazioni e raggiri, la mancanza di solidarietà tra falliti ì che si combattono anzichè unirsi, l'eterna lotta tra poveri per ritagliarsi uno spazio che li consenta di salire qualche gradino dal degrado in cui vivono.
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Difficile definire questo film sudcoreano ,così stratificato e nello stesso tempo alieno a una cultura occidentale, mostrato senza filtri, disturbante nella visione, perchè la povertà non è la poetica visione di dignità di una famiglia unita negli affetti che vive in uno scantinato maleodorante piegando cartoni di pizza per quattro miserabili soldi, ma ci mostra invece il volto deformato di chi occupa il gradino più basso della scala sociale. La miseria, la puzza da strofinaccio bollito, l'arte di sopravvivere mediante manipolazioni e raggiri, la mancanza di solidarietà tra falliti ì che si combattono anzichè unirsi, l'eterna lotta tra poveri per ritagliarsi uno spazio che li consenta di salire qualche gradino dal degrado in cui vivono.La povertà è rappresentata come un virus infestante che si dilaga tra tutti i componenti della famiglia Kim quando entrano nella casa super arredata per farsi assumere, con uno stratagemma, dalla ricchissima famiglia Park. Entra in scena un altro mondo, quello dei ricchi, bella coppia, due figli, governante, autista tutor privati per le lezioni. Cosa si può desiderare di meglio se non far parte di quel mondo, fare il bagno nella loro vasca, dormire nei loro letti, bere i loro costosi liquori, sedersi sul loro mega divano con mega vetrata frontale su un giordino dimensione parco? Altro che l’angusta fionestrella con vista marciapiede dove gli ubriachi vanno a pisciare. Ma i ricchi rimangono ricchi, i poveri rmangono poveri, si portano dietro il loro odore e lo depositano ovunque, non è possibile valicare il confine e passare dall’altra parte, alla fine sono le strade buie, i vicoli senza uscita dove convoglieranno, il bunker di casa, che ospita altri poveri, clandestini, la realtà prende la sua forma più vera, la bassezza, la corrosione di uno status che non riesce ad elevarsi, a questo punto il linguaggio cinematografico vira bruscamente, perde il controllo, si va a sbattere e ci si fa male. Rimane una risatina incontrollata e nervosa che ci ricorda il Joker di Phoenix, dei progetti per il futuro che non sono progetti, di un piano che non è un piano.
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nadia meden
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martedì 10 dicembre 2019
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la povertà aguzza l' ingegno......a volte
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HO potuto assistere al film "Parasite" , miseria- povertà- ricchezza, ricchezza .
- miseria - povertà , tutto ciò è sempre esistito ( purtroppo ) a Seul come in qualsiasi parte del mondo ed esiste ancora . Una guerra tra poveri , tra ultimi che si inasprirà in una bella villa con giardino dove vivono i ricchi in argomento. Tutto molto, troppo enfatico , almeno per i miei gusti , 212 minuti dove a mio parere potevano bastare molti di meno. Molto bravi i giovani attori . Scusate, forse non riesco ad apprezzare i film che vincono la Palma d' Oro, è sicuramente un problema mio. Grazie
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boffese
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giovedì 12 dicembre 2019
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ricchi vs poveri
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Parasite del sudcoreano Bong Joon-ho e' senza dubbio il film dell' anno , nonche' il giusto vincitore della Palma d'oro a Cannes .
Il regista non ' nuovo alla tematica sullo scontro tra classi sociali , l'aveva gia' affrontato in Snowpiercer, riuscitissimo sci-fi distopico del 2013 e poi in parte con Okja altro film dal buon esito.
La differenza abissale tra Snowpiercer e Parasite che subita salta agli occhi dello spettatore , e' che nel film precedente il concetto centrale e' rappresentato in un modo molto fisico e grezzo anche nei personaggi che lo rappresentano ,mentre in Parasite il tema e' tanto piu' grottesco e cerebrale grazie ad una sceneggiatura basata su una satira sociale.
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Parasite del sudcoreano Bong Joon-ho e' senza dubbio il film dell' anno , nonche' il giusto vincitore della Palma d'oro a Cannes .
Il regista non ' nuovo alla tematica sullo scontro tra classi sociali , l'aveva gia' affrontato in Snowpiercer, riuscitissimo sci-fi distopico del 2013 e poi in parte con Okja altro film dal buon esito.
La differenza abissale tra Snowpiercer e Parasite che subita salta agli occhi dello spettatore , e' che nel film precedente il concetto centrale e' rappresentato in un modo molto fisico e grezzo anche nei personaggi che lo rappresentano ,mentre in Parasite il tema e' tanto piu' grottesco e cerebrale grazie ad una sceneggiatura basata su una satira sociale.
La storia e' quella della famiglia Kim che vive senza arte ne parte in uno alloggio di fortuna sotterraneo , che con il susseguirsi di tante menzogne ,riesce ad infiltrarsi all interno della ricca famiglia Park, che con garbo e gentilezza mascherano il loro egoismo snob.
Una volta che i Kim sono entrati prepotentemente all interno della villa dei Park , il film proporra' allo spettatore una serie infinita di colpi di scena divertenti e scioccanti.
Il film e' pieno zeppo di contraddizioni , volutamente rappresentate come una "scala sociale" , con la disparita' economica delle famiglie in questione ,con la differenze architettoniche delle location e degli spazi ,con l essere un film multigenere dove e' facile trovare il dramma contrapposto alla commedia nella stessa azione cinematografica ,con il mettere a confronto una famiglia di poveri ,bugiardi , furbi ,ma felici , in contrapposizione con l altra ricca , seria , perbene ma asettica.
Con Parasite , l'eccellente regista sudcoreano , ha voluto lanciare un messaggio : "Chi sono i veri parassiti sociali ?
Ma soprattutto , un giorno i poveri saranno i ricchi ?
Inutile sognare , quando sappiamo gia' che la realta' e' cinica e infelice.
VOTO : 10
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francesco izzo
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domenica 5 gennaio 2020
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quando si ha davvero qualcosa da dire...
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....spesso si lascia il segno. Ed è il caso, a mio avviso, anche di questo interessante film sud-coreano che - partendo da un'orchestrazione direi boccaccesca di povera gente che deve cavarsi da vivere e da situazioni quasi comiche - arriva a toccare corde profonde e drammatiche di temi sociali importanti.
Il "rispetto!" gridato alla fine dal senza tetto,che ha appena provocato una strage, morente a terra, è un qualcosa a cui noi occidentali "moderni" non siamo più abituati, e che quindi ci suona quasi obsoleto ed un pò retrò. Mentre invece è uno dei valori umani più sentiti, su cui si fondano davvero i rapporti interpersonali e sociali.
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....spesso si lascia il segno. Ed è il caso, a mio avviso, anche di questo interessante film sud-coreano che - partendo da un'orchestrazione direi boccaccesca di povera gente che deve cavarsi da vivere e da situazioni quasi comiche - arriva a toccare corde profonde e drammatiche di temi sociali importanti.
Il "rispetto!" gridato alla fine dal senza tetto,che ha appena provocato una strage, morente a terra, è un qualcosa a cui noi occidentali "moderni" non siamo più abituati, e che quindi ci suona quasi obsoleto ed un pò retrò. Mentre invece è uno dei valori umani più sentiti, su cui si fondano davvero i rapporti interpersonali e sociali. Credo che il regista a volte usi anche una certa simbologia: il destino infame (il ragazzo che fugge salendo le scale del bunker ed il cordone che si impiglia proprio quando crede di aver ormai guadagnato la libertà); la incolmabilità delle distanze sociali ( la conclusione in cui il padre assassino si rifugia nel bunker - riscende materialmente la scala (sociale)- anche se il figlio gli promette di fare i soldi e di venirlo a liberare).
Tutto il film ci mostra - al di là di ciò- quanto la guerra, sia dei poveri tra di loro sia di questi contro i ricchi, sia feroce; soprattutto poi in paesi nei quali la forbice tra i super ricchi e gli ultra poveri è così ampia.
E la cosa triste è, se ci riflettiamo un attimo, che il trend degli ultimi decenni sta portando anche noi europei in quella direzione.
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luciano sibio
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martedì 11 febbraio 2020
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il ns neorealismo che va in corea
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Direi che l'impianto c'è tutto,cambia solo la realtà sociale di riferimento ma il film è tutto nel solco di quel neorealismo italiano che si conosce un pò ovunque..
Ovviamente la storia è tutta coreana e riflette quell' ambiente in cui all'apparente monotonia e staticità dei rapporti sociali fa sempre da contraltare l'irruenza improvvisa e sanguigna della violenza omicida e in questo caso anche rivoluzionaria e liberatrice.
Il "limite" da non superare,che in quella cultura sopratutto,è un permanente ago della bilancia che equlibra i rapporti sociali , politici e culturali,con questo film viene messo al setaccio e visto anche come come un debole argine quando si è in presenza di elevati problemi sociali,politici ed economici.
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Direi che l'impianto c'è tutto,cambia solo la realtà sociale di riferimento ma il film è tutto nel solco di quel neorealismo italiano che si conosce un pò ovunque..
Ovviamente la storia è tutta coreana e riflette quell' ambiente in cui all'apparente monotonia e staticità dei rapporti sociali fa sempre da contraltare l'irruenza improvvisa e sanguigna della violenza omicida e in questo caso anche rivoluzionaria e liberatrice.
Il "limite" da non superare,che in quella cultura sopratutto,è un permanente ago della bilancia che equlibra i rapporti sociali , politici e culturali,con questo film viene messo al setaccio e visto anche come come un debole argine quando si è in presenza di elevati problemi sociali,politici ed economici.
Però nel finale ritrova la sua forza coesiva e diventa un pecorso obbligato, un "piano" sociale alternativo e praticabile di indiscussa valenza che esclude i c.d colpi di mano che portano sempre a brutti guai ,e in questo caso direi si dissocia dal ns neorealismo in cui il pessimismo ( anche per motivi poetici) è totale ed anche ideologico, inteso come un'impossibilità totale di sottarsi a un destino ineffabile di povertà e sudditanza.
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francesca meneghetti
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giovedì 20 febbraio 2020
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la lotta per la sopravvivenza dei pesci piccoli
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Dopo quattro premi Oscar, che hanno dato un nuovo impulso alla visione del film presso il grande pubblico, è difficile scrivere qualcosa che non sia già stato detto. Il regista sudcoreano Bong Joon-ho utilizza in quest’opera potente tutti i codici del linguaggio cinematografico, tanto che ciascuno di loro meriterebbe un’analisi approfondita (montaggio, inquadrature, movimenti di macchina, fotografia e luci, sonoro, sceneggiatura): ma qui si entrerebbe nello specialistico. Meglio concentrarsi sul messaggio del regista.
Allora si può affrontare “Parasite” partendo dal contesto sociale di riferimento: la Corea del Sud oggi. Negli anni ’90 era una delle cosiddette Tigri asiatiche per la curva esponenziale dello sviluppo, momentaneamente interrotto dalla crisi del 1997-1998, da cui seppe riprendersi.
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Dopo quattro premi Oscar, che hanno dato un nuovo impulso alla visione del film presso il grande pubblico, è difficile scrivere qualcosa che non sia già stato detto. Il regista sudcoreano Bong Joon-ho utilizza in quest’opera potente tutti i codici del linguaggio cinematografico, tanto che ciascuno di loro meriterebbe un’analisi approfondita (montaggio, inquadrature, movimenti di macchina, fotografia e luci, sonoro, sceneggiatura): ma qui si entrerebbe nello specialistico. Meglio concentrarsi sul messaggio del regista.
Allora si può affrontare “Parasite” partendo dal contesto sociale di riferimento: la Corea del Sud oggi. Negli anni ’90 era una delle cosiddette Tigri asiatiche per la curva esponenziale dello sviluppo, momentaneamente interrotto dalla crisi del 1997-1998, da cui seppe riprendersi. Ricordiamo le Olimpiadi del 1988, che permisero alla Corea di affacciarsi alla scena internazionale. Ma crescita del PIL non vuol dire benessere generalizzato e lavoro per tutti: anzi, il consolidarsi del capitalismo e delle sue leggi, accentua il gap tra ricchi e poveri.
Già nel 2012 uscì “Pietà”, un film capolavoro dallo stesso Paese (regista Kim Ki-Duk), ambientato nei laboratori artigiani di un sobborgo popolare di Seul degradato, sporco, grigio, sommerso da rifiuti e stridori agghiaccianti, oltre ad essere soggetto a controlli mafiosi). “Pietà” ci mostra disoccupati che si indebitano, non potendo onorare gli interessi pazzeschi del 1000 per cento degli usurai , e finiscono così preda di vendette crudeli e inenarrabili da parte del racket.
“Parasite” ritorna al tema della disoccupazione, che per altro è cavalcato da registi di aree diverse dalla Corea del Sud: si pensi all’Inghilterra (da Peter Cattaneo con il geniale e fortunatissimo “Full Monty” del 1997 all’ultimo di Ken Loach), ma anche all’are balcanica (“Dio è donna e si chiama Petrunya”). Il capitalismo è globale, e così la disoccupazione che la terza rivoluzione industriale, quella dei servizi, dell’automazione e dell’informatica, porta con sé come elemento essenziale, non accidentale (molti ne hanno scritto, ma può bastare l’economista Jeremy Rifkin). Ma cosa significa questo nella vita reale delle persone? Come possono reagire a questa situazione?
Bong Joon-ho mostra una famiglia che, con grande intesa, persegue la strada dell’ascesa furba (tanto furba da sembrare “napoletana”, nel senso buono del termine), ma anche priva di scrupoli. Gli obiettivi dei “piani” della famiglia Kim, che vive in un seminterrato puzzolente, non conoscono deroghe di carattere morale e vanno così a scontarsi con altri “piani” di altri disoccupati. Ne deriva una feroce lotta per la sopravvivenza tra poveri, senza esclusione di colpi, talmente cieca da aver dimenticato, almeno in apparenza, la famiglia ricca Park, che abita in una casa firmata da un architetto famoso, circondata da un parco favoloso.
Nella prima parte del film l’intelligenza e l’astuzia dei giovani (e bellissimi) fratelli Kim sembra avere buon frutto: approfittando dell’assenza della famiglia Park, si illudono di essere padroni di tutto quel ben di dio. Poi il destino ci mette la sua, e tutto rovina, tutto precipita verso il basso, come la pioggia torrenziale che scendendo dai quartieri alti (con una simbologia dello spazio che sembra dantesca) arriva a invadere il seminterrato dei Kim.
Bong Joon-ho dunque sembra concentrarsi sulla violenza che si instaura tra pesci piccoli, nel tentativo di restare a galla. Tuttavia il capofamiglia Kim finirà per prendere di mira anche il signor Park, dirigente industriale, che lo stimava (pur manifestando disagio per l’odore di muffa, o altro, che emanava dai suoi vestiti custoditi sotto il livello del suolo). Perché questo? Forse perché il signor Park teorizza che non bisogna oltrepassare i limiti. Cosa che la famiglia Park ha fatto, con conseguente nemesis (vendetta) per il peccato di ibris (tracotanza). Il film si conclude in modo nichilistico, come l’ultimo di Ken Loach
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paola sgrillo
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lunedì 24 febbraio 2020
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un paradigma pregiudiziale
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Un film in cui si fronteggiano ricchi e poveri, luce e buio, sporco e pulito, inferno e paradiso. C' è la donna angelica che è buona e gentile, ma che per forza diviene sciocca, ingenua e persino incapace di svolgere le mansioni più elementari. C' è la donna che mente, povera e impietosa, ma che per forza non è colpevole, nella logica di chi deve riscattarsi ed elevarsi s ocialmente ed economicamente. Eppure lei uccide nel silenzio omertoso e machiavellico di chi giustifica il crimine. C' è una ragazza scaltra che vive nella miseria e con un indubbio talento artistico. Ma per forza è più intelligente di chi, pur crogiolandosi negli agi, non riesce a imparare l' inglese.
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Un film in cui si fronteggiano ricchi e poveri, luce e buio, sporco e pulito, inferno e paradiso. C' è la donna angelica che è buona e gentile, ma che per forza diviene sciocca, ingenua e persino incapace di svolgere le mansioni più elementari. C' è la donna che mente, povera e impietosa, ma che per forza non è colpevole, nella logica di chi deve riscattarsi ed elevarsi s ocialmente ed economicamente. Eppure lei uccide nel silenzio omertoso e machiavellico di chi giustifica il crimine. C' è una ragazza scaltra che vive nella miseria e con un indubbio talento artistico. Ma per forza è più intelligente di chi, pur crogiolandosi negli agi, non riesce a imparare l' inglese. E poi c' è il finto autista che è in grado di imparare a guidare con sorprendente velocità e con la bravura di un pilota di Formula 1. E poi c' è il ventenne che tradisce l' amico e lo emula in un atto di sfida. Eppure, nel marasma salvifico che riscatta i poveri, lui deve per forza sopravvivere.E poi c' è l' uomo bello, innamorato e benestante. Ma è sprezzante e per questo deve morire.E poi c' è il bambino che racconta ai genitori di aver visto un fantasma, che poi si rivelerà il futuro assassino. La verità non viene mai investigata e l' ottusità dei coniugi ricchi si consuma nel delirio finale. Macbeth risale dagli inferi e uccide all' impazzata. Lui muore ma due delitti rimangono impuniti. Anzi, gli assassini, nella incongruenza della lotta sociale, riemergono a vita migliore e diventano essi stessi ricchi. Un paradigma pregiudiziale che colpevolizza i ricchi e assolve i poveri.
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matteo
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domenica 29 marzo 2020
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borghesia parassita
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Film stilisticamente ben fatto che si presta a varie interpretazioni. La domanda cruciale è se sono quella famiglia di disagiati i veri parassiti o piuttosto la ricca famiglia borghese. Sicuramente i poveri entrano come dipendenti nella lussuosa dimora con infimi espedienti, facendo le scarpe in modo subdolo a chi già lavorava lì. Però non hanno alcuna pretesa di possesso e malevola nei confronti dei padroni , l'unico obiettivo è vivere dignitosamente con buoni salari e uscire dalla loro condizione miserevole di una vita confinata in uno scantinato in un sobborgo di città. A ben guardare gli unici parassiti sono proprio i padroni della casa, gli unici che non lavorano, che non sanno fare nulla di pratico e che vivono sulle spalle della servitù.
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Film stilisticamente ben fatto che si presta a varie interpretazioni. La domanda cruciale è se sono quella famiglia di disagiati i veri parassiti o piuttosto la ricca famiglia borghese. Sicuramente i poveri entrano come dipendenti nella lussuosa dimora con infimi espedienti, facendo le scarpe in modo subdolo a chi già lavorava lì. Però non hanno alcuna pretesa di possesso e malevola nei confronti dei padroni , l'unico obiettivo è vivere dignitosamente con buoni salari e uscire dalla loro condizione miserevole di una vita confinata in uno scantinato in un sobborgo di città. A ben guardare gli unici parassiti sono proprio i padroni della casa, gli unici che non lavorano, che non sanno fare nulla di pratico e che vivono sulle spalle della servitù. Una famiglia di sconfitti che chiede una rivincita sociale? Forse questo è chiedere troppo a Bong Joon-ho che si limita a non oltrepassare il confine tra la giustizia sociale e la servitù volontaria e che ci dà una morale conservatrice dove gli ultimi possono vivere senza mai oltrepassare il limite (come ripetuto più volte nel film), dove è permesso loro di vivere solo nascondendosi nel sottosuolo magari sognando un salto di classe senza mai mettere in discussione la disciplina sociale.
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