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ale
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lunedì 1 ottobre 2018
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dogman: ottimo garrone, grandissimo marcello fonte
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Non si riesce a rimanere indifferenti dopo aver visto Dogman, ultimo film di Matteo Garrone, osannato normalmente oltreAlpe e poco ancora conosciuto dal pubblico italiano.
Dogman colpisce e lo fa in maniera fulminea perche' la storia di Marcello, baraccato del Mandrione (l'attore Marcello Fonte) e' una storia oscura della nostra Italia, mai digerita come in realta' non si dovrebbe fare.
Lo stesso Pasolini, a cui ad ogni istante del film ho pensato, aveva scritto in questo modo il Mandrione:
”Ricordo che un giorno passando per il Mandrione in macchina con due miei amici bolognesi, angosciati a quella vista, c’erano, davanti ai loro tuguri,
a ruzzare sul fango lurido, dei ragazzini, dai due ai quattro o cinque anni.
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Non si riesce a rimanere indifferenti dopo aver visto Dogman, ultimo film di Matteo Garrone, osannato normalmente oltreAlpe e poco ancora conosciuto dal pubblico italiano.
Dogman colpisce e lo fa in maniera fulminea perche' la storia di Marcello, baraccato del Mandrione (l'attore Marcello Fonte) e' una storia oscura della nostra Italia, mai digerita come in realta' non si dovrebbe fare.
Lo stesso Pasolini, a cui ad ogni istante del film ho pensato, aveva scritto in questo modo il Mandrione:
”Ricordo che un giorno passando per il Mandrione in macchina con due miei amici bolognesi, angosciati a quella vista, c’erano, davanti ai loro tuguri,
a ruzzare sul fango lurido, dei ragazzini, dai due ai quattro o cinque anni. Erano vestiti con degli stracci: uno addirittura con una pelliccetta trovata chissà dove come un piccolo selvaggio.
Correvano qua e là, senza le regole di un giuoco qualsiasi: si muovevano, si agitavano come se fossero ciechi, in quei pochi metri quadrati dov’erano nati e dove erano sempre rimasti, senza conoscere altro del mondo se non la casettina dove dormivano e i due palmi di melma dove giocavano. Vedendoci passare con la macchina, uno, un maschietto, ormai ben piantato malgrado i suoi due o tre anni di età, si mise la manina sporca contro la bocca, e, di sua iniziativa tutto allegro e affettuoso ci mandò un bacetto. […] La pura vitalità che è alla base di queste anime, vuol dire mescolanza di male allo stato puro e di bene allo stato puro: violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto.
(Pier Paolo Pasolini, “Vie Nuove”, maggio 1958)”
Consiglio Dogman perché una storia vera, un orrore vero di cronaca di vita perché “violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto”.
È LA STORIA di Simone, un pugile fallito cocainomane e di Marcello, che di mestiere fa la toiletattura per cani.
Mentre Simone vive di furterelli, Marcello cerca di crescere la figlia come se tutto fosse normale intorno a loro, come se fosse in un sogno...
Ecco che Simone va da Marcello, che in realtà è uno spacciatore, uno spacciatore “per bene però” perché si preoccupa di cosa pensi la gente di lui; Marcello non fa che dirgli, dopo avergli dato la roba, non qui, di la c’è mia figlia...
È si arriva all’epilogo e quello che continuo a pensare è a quel filone di neorealismo che dopo la guerra portò il cinema italiano a sbancare gli OSCAR.
Sarà così stavolta ????
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ale
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lunedì 1 ottobre 2018
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dogman:ottima prova di matteo garrone
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Non si riesce a rimare indifferenti dopo aver visto Dogman, ultimo film di Matteo Garrone, osannato normalmente oltreAlpe e poco ancora conosciuto dal pubblico italiano. Dogman colpisce e lo fa in maniera fulminea perché la storia di Marcello, baraccato del Mandrione ( cioè l’attore Marcello Fonte) è una storia oscura della nostra Italia, mai digerita come in realtà non si dovrebbe fare.
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Non si riesce a rimare indifferenti dopo aver visto Dogman, ultimo film di Matteo Garrone, osannato normalmente oltreAlpe e poco ancora conosciuto dal pubblico italiano. Dogman colpisce e lo fa in maniera fulminea perché la storia di Marcello, baraccato del Mandrione ( cioè l’attore Marcello Fonte) è una storia oscura della nostra Italia, mai digerita come in realtà non si dovrebbe fare.
Lo stesso Pasolini ,a cui ad ogni istante del film ho pensato, aveva descritto in questo modo il Mandrione:
”Ricordo che un giorno passando per il Mandrione in macchina con due miei amici bolognesi, angosciati a quella vista, c’erano, davanti ai loro tuguri, a ruzzare sul fango lurido, dei ragazzini, dai due ai quattro o cinque anni. Erano vestiti con degli stracci: uno addirittura con una pelliccetta trovata chissà dove come un piccolo selvaggio. Correvano qua e là, senza le regole di un giuoco qualsiasi: si muovevano, si agitavano come se fossero ciechi, in quei pochi metri quadrati dov’erano nati e dove erano sempre rimasti, senza conoscere altro del mondo se non la casettina dove dormivano e i due palmi di melma dove giocavano. Vedendoci passare con la macchina, uno, un maschietto, ormai ben piantato malgrado i suoi due o tre anni di età, si mise la manina sporca contro la bocca, e, di sua iniziativa tutto allegro e affettuoso ci mandò un bacetto. […] La pura vitalità che è alla base di queste anime, vuol dire mescolanza di male allo stato puro e di bene allo stato puro: violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto.
(Pier Paolo Pasolini, “Vie Nuove”, maggio 1958)”
Consiglio Dogman perché una storia vera, un orrore vero di cronaca di vita perché “violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto”.
È LA STORIA di Simone, un pugile fallito cocainomane e di Marcello, che di mestiere fa la toiletattura per cani. Mentre Simone vive di furterelli, Marcello cerca di crescere la figlia come se tutto fosse normale intorno a loro, come se fosse in un sogno... Ecco che Simone va da Marcello, che in realtà è uno spacciatore, uno spacciatore “per bene però” perché si preoccupa di cosa pensi la gente di lui, lui non fa che dirgli, dopo avergli dato la roba, non qui, di la c’è mia figlia...
È si arriva all’epilogo e quello che continuo a pensare è a quel filone di neorealismo che dopo la guerra portò il cinema italiano a sbancare gli OSCAR.
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cla
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domenica 23 settembre 2018
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malavita, secolo scorso degrado... conta il film!
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Non è vero che "la malavita di oggi è molto più pericolosa di quella del secolo scorso" come è stato scritto nei commenti, almeno va capito cosa si intende per più pericolosa, se più organizzata forse si, ma tutto è meglio organizzato, certo meno è una malavita meno criminale meno violenta e pure meno diffusa nei bassi ranghi. Poi pure sul termine "secolo scorso" ci va un chiarimento, i fatti di Dogman, 1988, sono del secolo scorso ... comunque film e romanzi su episodi violenti terribili criminali ed horror 8 ed anche di vendetta) se ne sono sempre fatti, si tratta di giudicare un modo di soprattuttonarrare,, anche se un contenuto sociale ed etico rimane sempre in controluce.
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Non è vero che "la malavita di oggi è molto più pericolosa di quella del secolo scorso" come è stato scritto nei commenti, almeno va capito cosa si intende per più pericolosa, se più organizzata forse si, ma tutto è meglio organizzato, certo meno è una malavita meno criminale meno violenta e pure meno diffusa nei bassi ranghi. Poi pure sul termine "secolo scorso" ci va un chiarimento, i fatti di Dogman, 1988, sono del secolo scorso ... comunque film e romanzi su episodi violenti terribili criminali ed horror 8 ed anche di vendetta) se ne sono sempre fatti, si tratta di giudicare un modo di soprattuttonarrare,, anche se un contenuto sociale ed etico rimane sempre in controluce. Dogman dunque ha degli spunti di ottima regia, fotografia espressiva e molta capacità di mostrare un ambiente e certi sentimenti senza retorica; è invece carente nella colonna sonora e nei dialoghi e, appunto, nell'originalità tematica del plot narrativo. Comunque vale abbondantemente la pena di essere viso. Grazie
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domenica 23 settembre 2018
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non lo consiglio
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Si ha dei punti interessanti, regia di livello, recitazione, ok.. ma la trama per come è raccontata non funziona...poteva essere un bel film, ma a me sinceramente non è piaciuto e lo trovo non riuscito, piatto e pesante. e uno dei pochi film (d'autore) che mi ha fatto sentire che ho sprecato un'ora e mezzo del mio tempo... parere personale ovviamente
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lorenzosegre
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venerdì 24 agosto 2018
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lento, cupo, sporco.
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Lento, cupo, sporco. Un film che cerca di essere più vero di quello che è. Una storia di un uomo devoto al lavoro ma debole, sottomesso al mondo e a tutte le persono che lo circondano.
Potete anche pensare che sia un documentario ma non lo è. Potete pensare che esprime una realtà ma non la rappresenta. Il regista riduce il mondo ad una via, 5 persone: simone, la figlia, la moglie e i suoi amici.
Tutto il suo lavoro che viene costruito nel tempo sembra che crei contemporaneamente anche la sua persona ( Marcello) ma in realtà non è nulla, solo un taglio scena per far vedere come lui sembra una persona.
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Lento, cupo, sporco. Un film che cerca di essere più vero di quello che è. Una storia di un uomo devoto al lavoro ma debole, sottomesso al mondo e a tutte le persono che lo circondano.
Potete anche pensare che sia un documentario ma non lo è. Potete pensare che esprime una realtà ma non la rappresenta. Il regista riduce il mondo ad una via, 5 persone: simone, la figlia, la moglie e i suoi amici.
Tutto il suo lavoro che viene costruito nel tempo sembra che crei contemporaneamente anche la sua persona ( Marcello) ma in realtà non è nulla, solo un taglio scena per far vedere come lui sembra una persona. Ma questa persona perde completamente la sua credibilità quando dopo diverse sottomissioni si trova con il coltello dalla parte del manico ( dalla polizia) dove poteva rinchiudere l'uomo che gli stava distruggendo la vita. Poteva confessare di tutti i peccati commessi, delle rapine , della droga di 2 (quasi?) assasinii. Ma niente, da quel momento il regista distrugge la sua creazione della debolezza perfetta e la tramuta in demenza.
Costui non confessa nessuno dei crimini effettuati dal criminale che sarebbe potuto restare a vita in carcere.
Esce e chiede la sua parte del bottino (ripeto da debole a demente, il personaggio non poteva aspettarsi la sua parte vedendo i fatti avvenuti prima). Non riceve i soldi e quindi
vuole che il delinquente si scusi ( ma come si fa a credere a una cosa simile? poteva finire in un solo modo da quando lo aveva rinchiuso in una gabbia)
Quindi il regista ha creato il demente perfetto con fatica e indecisione, facendo stare male l'osservatore che non riesce ( come potrebbe ) a capire se il protagnista è debole o solo stupido. E quando lo si capisce alla fine del film, il regista chiude il sipario non sapendo che farsene di un personaggio a metà. A metà il debole perfetto, a metà il demente perfetto il tutto con una figlia che sembra ami alla follia ma in realtà è solo un pretesto per far sembrare umana una persona che non ha nulla di umano (tranne una scena per salvare un cane e il parlottare con gli amici al ristorante in ogni caso completame).
Audio perfetto, attori impeccabili, fotografia indimenticabile non riescono a risollevare un film che (vuole ?) far star male l'osservatore, farlo sentire in colpa. Fa annaspare
durante i minuti e rende increduli quanto il personaggio da debole diventa demente. E se cercate di stare male o provate piacere nel vedere un uomo che non riesce a parlare e non riesce ad agire come se fosse legato allora questo è il film per voi.
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lorenzo segre
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venerdì 24 agosto 2018
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audio perfetto, attori impeccabili, fotografia indimenticabile non riescono a risollevare un film che (vuole ?) far star male l'osservatore
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Lento, cupo, sporco. Un film che cerca di essere più vero di quello che è. Una storia di un uomo devoto al lavoro ma debole, sottomesso al mondo e a tutte le persono che lo circondano. Potete anche pensare che sia un documentario ma non lo è. Potete pensare che esprime una realtà ma non la rappresenta. Il regista riduce il mondo ad una via, 5 persone: simone, la figlia, la moglie e i suoi amici. Tutto il suo lavoro che viene costruito nel tempo sembra che crei contemporaneamente anche la sua persona ( Marcello) ma in realtà non è nulla, solo un taglio scena per far vedere come lui sembra una persona. Ma questa persona perde completamente la sua credibilità quando dopo diverse sottomissioni si trova con il coltello dalla parte del manico ( dalla polizia) dove poteva rinchiudere l'uomo che gli stava distruggendo la vita.
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Lento, cupo, sporco. Un film che cerca di essere più vero di quello che è. Una storia di un uomo devoto al lavoro ma debole, sottomesso al mondo e a tutte le persono che lo circondano. Potete anche pensare che sia un documentario ma non lo è. Potete pensare che esprime una realtà ma non la rappresenta. Il regista riduce il mondo ad una via, 5 persone: simone, la figlia, la moglie e i suoi amici. Tutto il suo lavoro che viene costruito nel tempo sembra che crei contemporaneamente anche la sua persona ( Marcello) ma in realtà non è nulla, solo un taglio scena per far vedere come lui sembra una persona. Ma questa persona perde completamente la sua credibilità quando dopo diverse sottomissioni si trova con il coltello dalla parte del manico ( dalla polizia) dove poteva rinchiudere l'uomo che gli stava distruggendo la vita. Poteva confessare di tutti i peccati commessi, delle rapine , della droga di 2 (quasi?) assasinii. Ma niente, da quel momento il regista distrugge la sua creazione della debolezza perfetta e la tramuta in demenza. Costui non confessa nessuno dei crimini effettuati dal criminale che sarebbe potuto restare a vita in carcere. Esce e chiede la sua parte del bottino (ripeto da debole a demente, il personaggio non poteva aspettarsi la sua parte vedendo i fatti avvenuti prima). Non riceve i soldi e quindi vuole che il deinquente si scusi ( ma come si fa a credere a una cosa simile? poteva finire in un solo modo da quando lo aveva rinchiuso in una gabbia) Quindi il regista ha creato il demente perfetto con fatica e indecisione, facendo stare male l'osservatore che non riesce ( come potrebbe ) a capire se il protagonista è debole o solo stupido. E quando lo si capisce alla fine del film, il regista chiude il sipario non sapendo che farsene di un personaggio a metà. A metà il debole perfetto, a metà il demente perfetto il tutto con una figlia che sembra ami alla follia ma in realtà è solo un pretesto per far sembrare umana una persona che non ha nulla di umano (tranne una scena per salvare un cane e le riunioni con gli amici al ristorante completamente inutili).
Audio perfetto, attori impeccabili, fotografia indimenticabile non riescono a risollevare un film che (vuole ?) far star male l'osservatore, farlo sentire in colpa. Fa annaspare durante i minuti e rende increduli quanto il personaggio da debole diventa demente. E se cercate di stare male o provate piacere nel vedere un uomo che non riesce a parlare e non riesce ad agire come se fosse legato allora questo è il film per voi.
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lucascialo
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mercoledì 22 agosto 2018
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quando una zona degradata genera mostri
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Matteo Garrone continua a proporre film riusciti, non capolavori, ma convincenti. Nella fattispecie, ci racconta in maniera verosimile (in un quartiere più simile a Ostia e nei giorni nostri) uno dei delitti più efferati della cronaca italiana: la vicenda del canaro della Magliana. Relativa al "canaro" Pietro De Negri, che uccise in maniera efferata il suo aguzzino, l'ex pugile dilettante Giancarlo Ricci nel 1988. Protagonisti del film sono invece Marcello, nel ruolo del canaro, e Simone, ex pugile cocainomane e bullo di quartiere. I due vivono in simbiosi nelle loro avversità, mentre la gente del quartiere è stanca per l'atteggiamento violento e irrispettoso del secondo. Mentre Marcello fa con amore il suo lavoro, ed è affettuosissimo, da padre separato, con la figlia.
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Matteo Garrone continua a proporre film riusciti, non capolavori, ma convincenti. Nella fattispecie, ci racconta in maniera verosimile (in un quartiere più simile a Ostia e nei giorni nostri) uno dei delitti più efferati della cronaca italiana: la vicenda del canaro della Magliana. Relativa al "canaro" Pietro De Negri, che uccise in maniera efferata il suo aguzzino, l'ex pugile dilettante Giancarlo Ricci nel 1988. Protagonisti del film sono invece Marcello, nel ruolo del canaro, e Simone, ex pugile cocainomane e bullo di quartiere. I due vivono in simbiosi nelle loro avversità, mentre la gente del quartiere è stanca per l'atteggiamento violento e irrispettoso del secondo. Mentre Marcello fa con amore il suo lavoro, ed è affettuosissimo, da padre separato, con la figlia. Tra i due però gli equilibri si spezzano, portando alla catastrofe un universo fatto di degrado ed equilibri fragili. Da alcuni anni, la periferia romana e quella napoletana sono costantemente attenzionate dal cinema italiano. Con storie che prendono spunto dai fatti di cronaca. Sebbene questi ultimi finiscano per superare la finzione stessa. Dogman ci mostra egregiamente come un contesto degradato possa trasformare in mostri anche le persone umili. Non c'è alcun happy ending. Solo un finale crudo, senza sconti, definitivo, senza speranze. Pellicola premiata al Festival di Cannes.
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renato
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domenica 19 agosto 2018
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dogman
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Un film surreale, dove l'unica nota positiva è la recitazione del protagonista. Per il resto è una interpretazione assurda, priva di logica e piena di contraddizioni, di un fatto reale da parte di un regista che mi ha deluso. Perchè poi ambientare nel 2017, in un contesto anni '70, un fatto accaduto alla fine degli anni '90 è un mistero. Vederlo è stata una pura perdita di tempo
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lunedì 6 agosto 2018
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consiglio
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Consiglio il Pasolini di Una vita violenta.
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dariobottos
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sabato 4 agosto 2018
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homo homini canis
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Il cane è il compagno fedele del suo padrone, anche se questo lo maltratta. Il cane ha bisogno del suo padrone capobranco. Il cane, anche se piccolo, anche se ridotto dalla selezione ad un animale buffo, può rivelare la sua antica natura di lupo che ringhia ed azzanna... per poi cercare di nuovo un padrone, o un branco accogliente.
Marcello è un uomo-cane ("dogman"), Marcello ha bisogno della benevolenza del branco (la degradata comunità in cui vive e lavora con la toelettatura per cani), ha bisogno di un capobranco (il violento e drogato Simone, con cui ha un rapporto simbiotico di complementarietà). Il dolce e fragile Marcello si eleva sopra i suoi abbrutiti paesani perchè cerca amore (dalla figlia Sofia, mentre la madre - separata? - lo ignora), benevolenza e amicizia o almeno non-ostilità (dal gruppo), sudditanza al limite del masochismo (dall'ex pugile Simone, bullo che taglieggia quel quartiere di una improbabile e allucinata periferia rugginosa e decrepita in riva al mare).
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Il cane è il compagno fedele del suo padrone, anche se questo lo maltratta. Il cane ha bisogno del suo padrone capobranco. Il cane, anche se piccolo, anche se ridotto dalla selezione ad un animale buffo, può rivelare la sua antica natura di lupo che ringhia ed azzanna... per poi cercare di nuovo un padrone, o un branco accogliente.
Marcello è un uomo-cane ("dogman"), Marcello ha bisogno della benevolenza del branco (la degradata comunità in cui vive e lavora con la toelettatura per cani), ha bisogno di un capobranco (il violento e drogato Simone, con cui ha un rapporto simbiotico di complementarietà). Il dolce e fragile Marcello si eleva sopra i suoi abbrutiti paesani perchè cerca amore (dalla figlia Sofia, mentre la madre - separata? - lo ignora), benevolenza e amicizia o almeno non-ostilità (dal gruppo), sudditanza al limite del masochismo (dall'ex pugile Simone, bullo che taglieggia quel quartiere di una improbabile e allucinata periferia rugginosa e decrepita in riva al mare). Ma rimane travolto dagli eventi, distrutto nel fisico e nello spirito da Simone. Diventa suo malgrado un cane che ringhia e che morde, con un esito che gli scappa di mano: ordisce una vendetta su Simone, vorrebbe semplicemente umiliarlo, o meglio farsi chiedere scusa per i patimenti sofferti per causa sua. Patimenti che lo hanno suo malgrado reso un paria entro quella comunità di cui cercava l'accettazione, l'affetto. Invece succede che per evitare la propria morte uccide fortunosamente Simone. Potrebbe essere che dal male nasce il suo bene, che ora la comunità lo riaccolga come un liberatore: ma la comunità non c'è, gli sfugge, e lui resta solo con il suo destino e con un cadavere sulle spalle.
Film tragico, apocalittico, "Gomorra" in chiave simbolica. Una musica quasi alla Vangelis, una fotografia iperrealista su paesaggi dallo squallore distopico, rimandano forse ai paesaggi acquitrinosi di "Blade Runner", anche se la fantascienza non c'è, c'è forse il grottesco favolistico de "Il racconto dei racconti". Guai se non fosse un grottesco favolistico, non ci sarebbe via di fuga, non ci sarebbe redenzione.
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