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angeloumana
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lunedì 28 maggio 2018
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degrado di vite e luoghi
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Può essere banale dirlo ma se un film, questo Dogman di Matteo Garrone ad esempio, tiene incollati alla poltrona per i suoi 102 minuti, coinvolge al punto che uscendo dal cinema si resta un quarto d'ora ancora dentro la vicenda cupa e violenta o ci si bea di non vivere in una periferia di città e di sentimenti come quella che s'è vista, può voler dire che il film è di successo, o almeno che ha raggiunto il suo scopo. Sarà stata la sceneggiatura, sarà il montaggio o l'ambientazione corrispondente alla crudezza della storia, sarà per via di chi l'ha interpretato o della guida del regista. I luoghi – Baia Domizia, Castelvolturno - sono gli stessi di Indivisibili, la cupezza o la marginalità delle condizioni di vita ricordano questo film ed anche Non essere cattivo.
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Può essere banale dirlo ma se un film, questo Dogman di Matteo Garrone ad esempio, tiene incollati alla poltrona per i suoi 102 minuti, coinvolge al punto che uscendo dal cinema si resta un quarto d'ora ancora dentro la vicenda cupa e violenta o ci si bea di non vivere in una periferia di città e di sentimenti come quella che s'è vista, può voler dire che il film è di successo, o almeno che ha raggiunto il suo scopo. Sarà stata la sceneggiatura, sarà il montaggio o l'ambientazione corrispondente alla crudezza della storia, sarà per via di chi l'ha interpretato o della guida del regista. I luoghi – Baia Domizia, Castelvolturno - sono gli stessi di Indivisibili, la cupezza o la marginalità delle condizioni di vita ricordano questo film ed anche Non essere cattivo.
Non è un caso che Marcello Fonte (Marcello, dogman e dogsitter nella recitazione) abbia avuto la Palma a Cannes 2018 per la migliore interpretazione da protagonista; avrebbe meritato un riconoscimento anche il “cattivo” Edoardo Pesce, che ha così bene impersonato lo svitato ex-pugile Simone, il “corpo malato” – da estinguere o almeno appartare – in una comunità che non sta già tanto bene di suo. Il primo è invece un “borghese piccolo piccolo”, separato dalla moglie ma che si prende tanta cura e tanto amore dà alla sua bambina, che sa il modo migliore per fare la toletta ai cani nel suo negozio. In “un pomeriggio di un giorno da cani”, ma l'epilogo si svolge una notte e si esaurisce all'alba, Marcello si ribella a tutto questo. Era sempre vessato da quella creatura violenta, Simone, ne era complice suo malgrado, pur essendone l'unico quasi-amico o che gli usa qualche premura, di fatto un piccolo uomo succube del grosso ragazzone e che si fa un anno di prigione in vece sua.
La realtà però ha superato l'immaginazione: Garrone si è liberamente ispirato ad un fatto di cronaca nera accaduto trent'anni fa, “er canaro della Magliana” Pietro De Negri si liberò dell'ex-pugile Giancarlo Ricci seviziandolo e uccidendolo. Nel film Marcello lo convince ad entrare in una grossa gabbia di cani, ve lo chiude per poi torturarlo e trascinarne il cadavere fuori, in un'alba grigia in cui – soddisfatto ma incredulo o fuori di sé - vorrebbe mostrare agli altri di aver debellato quel corpo estraneo alla comunità. I cani del negozio hanno assistito dalle loro gabbie silenziosi e forse stralunati, perfino teneri, “all'esplosione della bestialità umana...e la vendetta sarebbe meglio chiamarla liberazione” (parole di Garrone), “e han ragione di pensare che le bestie siamo noi” (ma questo è Celentano).
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markwillis
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lunedì 28 maggio 2018
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furba messinscena per ingenui
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Che una storia possa essere compassionevole, nulla da eccepire. Che dai un premio del genere ad una figurazione speciale, altra storia. Che la Giuria potesse essere o non essere al corrente dei fatti di cronaca, non cambia il fatto su come la Rai possa aver barattato le candidature per ovvi interessi di mercato, dati i pacchetti non indifferenti in un bacino come Cannes. A questo punto, nonostante si trasponga una storia, seppur toccante ma del tutto incoerente per contesto (Castelvolturno) e riferimenti alle funzioni, non so come, catalogate come contemporanee (in quella fogna, solo lui lo sa), al massimo premi la Regia o la fotografia, tanto per accontentare l'azienda.
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Che una storia possa essere compassionevole, nulla da eccepire. Che dai un premio del genere ad una figurazione speciale, altra storia. Che la Giuria potesse essere o non essere al corrente dei fatti di cronaca, non cambia il fatto su come la Rai possa aver barattato le candidature per ovvi interessi di mercato, dati i pacchetti non indifferenti in un bacino come Cannes. A questo punto, nonostante si trasponga una storia, seppur toccante ma del tutto incoerente per contesto (Castelvolturno) e riferimenti alle funzioni, non so come, catalogate come contemporanee (in quella fogna, solo lui lo sa), al massimo premi la Regia o la fotografia, tanto per accontentare l'azienda. La giuria non si chiederà mai, cosa ci faccia ai giorni nostri in un caravanserraglio pasoliniano per muli, mucche e pecore di una ipotetica ed astratta periferia romana, un locale di bulli, un compro oro e un timido toelettatore per la Dudu, demiurgo di un crimine efferato, al quale uno come John Doo di Seven laverebbe i calzini. Solita storia, da un lato il cattivone e dall'altra il tenerone. Sopra l'arena, la volta plumbea che presagisce la minaccia imminente. Bella mossa. Un bel campetto, na corsia per na corsetta in moto e ti saluto. Mica la produzione voleva impazzire, quasi quasi era indecisa se girare a Portopalo o sull'Isola che non c'è. A Ostia ai casamonica nauseano le testate e al Testaccio vige il divieto di transito per i cani sopra i 7 chili, quindi che si fa? Ma chi a Cannes conosce la Magliana com'era nell'80 e com'è adesso? Puoi dirgli che è come la location di Gatto Nero Gatto Bianco e magari ci crede pure. Gli mostri una baraccopoli con uno che va a spasso con quattro cani e una zecca in braccio sotto il temporale, fa lo stesso. Questa è la Magliana e la piazzetta è dove la Banda si dondola sull'altalena, credimi, vengono da Monteverde Vecchio a farsi mettere i bigodini al cane oltre che tosare il gregge al pascolo di un pastore bosniaco in fuga dal 95. Può essere pura astrazione ma, le funzioni devono seguire il passo che l'antropologia culturale segna nel nostro tempo. Garrone ha detto "ai nostri giorni". Che vuol dire? L'astrazione avviene anche in Dogville che raccoglie in se secoli di ipocrisie, pregiudizi e violenze di ogni genere. E Lars ti disegna pure il cane, lo vedi solo alla fine. Allora premi con la Palma il concetto atemporale dello spazio, circoscritto dalle gerarchie vigenti ma, non il solito gergo caratteriale e bloccato dall'ennesima replica seriale da Gomorra ad oggi. Dieci anni...ne abbiamo piene le @@!...E' l'insieme di tutte queste incongruenze a convincermi del fatto che, consegnare ad un caratterista una targa di rilievo nell'albo d'oro di una rassegna rinomata come Cannes, crea solo imbarazzo su cosa sia il mestiere tecnico dell'attore, del suo stesso retroterra e del percorso che dovrebbe ma che non sarà mai all'altezza di intraprendere, percorso ridotto alla prescrizione della ricetta coatta del famigerato degrado, unico pretesto per giustificare il nuovo neorealismo non avendo altre idee da sperimentare sul panorama globale o quanto meno su un tessuto nazionale da revisionare e al servizio di un'industria contemporanea (parolona). Ci si chiederà in seguito come potrà mai quell'attore dar credito in futuro al premio ricevuto attraverso altre prove. Non saprei proprio quali. Lo stesso vale per Pastorelli e molti altri. Non vi è dubbio che Dogman ha molte chances agli Oscar e potrebbe anche vincere. All'Academy in fondo, conoscere i fatti della Magliana o Mafia Capitale non è che gliene freghi più di tanto. Questa è, fine a se stessa, una storia per certi versi struggente, cruda, umana, tutto qui. Ma, vincere come miglior film è una cosa, acclamare un caratterista a livello internazionale che impasta gli stessi sottotitoli, quando uno come Proietti s'è fatto il mazzo in teatro per 50 anni e Palmares sul quale incidono nome come, Volontè, Gassman, Tognazzi, Giannini e Mastroianni, ripeto, è pericoloso per l'intero vivaio. I giovani si faranno l'idea che è tutta questione di culo e curva sud, faticare è inutile.
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lbavassano
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domenica 27 maggio 2018
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deludente
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Perfetta la location, ottimamente fotografata, e convincente l'interpretazione, ma il film nel suo complesso mi è parso poca cosa.
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loland10
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domenica 27 maggio 2018
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cani e (eco)mostri
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“Dogman” (2018) è il nono lungometraggio del regista romano Matteo Garrone.
Siamo nell’estrema periferia, luogo adibito ad un set già conosciuto, verso il litorale scarno, oscuro, tetro e assolutamente grigio in tutto del ‘Coppola’ (ecomostro e non solo). Tra un notturno e un bluastro offuscato, tra una piazza avvilente e dei visi scolpiti, tra un mesto servizio e una recondita vita senza speranza. In una metastasi completa il gioco si svolge ristretto tra un negozio di toilette per cani (‘dogman’ appunto), una trattoria (spoglia in tutto), un Compro oro (piatto e lugubre) e una disco-slote (addobbata a zero).
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“Dogman” (2018) è il nono lungometraggio del regista romano Matteo Garrone.
Siamo nell’estrema periferia, luogo adibito ad un set già conosciuto, verso il litorale scarno, oscuro, tetro e assolutamente grigio in tutto del ‘Coppola’ (ecomostro e non solo). Tra un notturno e un bluastro offuscato, tra una piazza avvilente e dei visi scolpiti, tra un mesto servizio e una recondita vita senza speranza. In una metastasi completa il gioco si svolge ristretto tra un negozio di toilette per cani (‘dogman’ appunto), una trattoria (spoglia in tutto), un Compro oro (piatto e lugubre) e una disco-slote (addobbata a zero). Pellicola vagamente ispirata al 'canaro' della Magliana, con personaggi simili ma con deviazioni e strade diverse. Una storia estrema dove regna il contatto amorale e violento, un essere vivo per disgrazia, un parlarsi senza attenzioni, un'amicizia assoggettata è tetra; ecco un mondo fatto di speranze finite e di uno struggente lido che non fa vedere nulla.
Il grigio mare burrascoso e i colori smorti oltre ogni eccesso ma il mare diventa fresco e vivo, colorato e solare con una bambina, Alida, la figlia di Marcello, che esente da colpe, è l'unica presente che ha voglia di uscire dal vero incubo che vede attorno. La moglie di Marcello si gira quando la bambina è presa per mano. Vanno via...dal luogo dell'inferno prima che la tragedia faccia il suo corso.
Film di metastasi quasi completa tra vittima carnefice in un non luogo oramai set per tante pellicole. E ciò che aspetti avviene, non c'è nessuna vera sorpresa, ma l’angoscia e la vile paura ti entrano dentro. Tutto appare distaccato e recondito ma le immagini restano impresse: un immaginario oltremodo cagnesco, oscuro, pestilente e vagamente lavico.
Periferia estrema, vuoto interiore, visi deteriorati e scavi sulle fughe come silenzio di anime negli sguardi scanditi da pupille vagamente roteanti. Linfa asettica e miserie estreme in una periferia (e di ogni estrema periferia) privata di tutto e potente a se stessa.
Deserto di piazza, uno scivolo, una rotonda di cemento, un'altalena, pozzanghere e un lido grigio e offuscato. Miserevolmente senza modi e mode, il cinema inquadra, in modo favolisticamente tragico, il deteriore di un lavaggio per cani, come il finale di una chiosa guerriglia tra capi beceri e linguaggi conclusivi.
Omaggio ad un cinema sociale che si immerge in uno scontro western senza veri duelli e senza vere pistole. Tutto è dentro tra Marcello e Simone, tutto per una sporcizia di mercato drogato, dove il piccolo e indifeso omino dei cani sembra essere protetto e conosciuto, mentre l'omone pieno di s-grazia naturale beve e sniffa dal mercato dell'altro. Chi ama una figlia senza confini e che ama una madre come confinata in casa.
I due sembrano complementari tra un coglionesco e misero modo di vivere come tra un gigione-mento e virulento modo di campare. La vita grama, sfinita, logora e senza passione amicale in un estremo mondo che sembra piovuto dal cielo. Le pozzanghere si lasciano guardare fino al nulla attorno.
Gesto estremo quello di Marcello che per salvare l'amicizia, così gli pare, la vita attorno a lui, il suo lavoro è quello che rimane della dignità, cioè nulla o quasi, si fa incarcerare, un anno, per salvare Simone e ciò che vede attorno. Una rapina e un buco, una firma in calce e le sbarre come segno di amicizia.Costo e viltà, paura è un po' di coraggio ridestano la voglia di una vendetta a capo di se stesso.
Marcello e Simon(e)cino, un uomo che chiama ‘amore’ qualsiasi cane e un ex-boxeur che non ha da chiamare nessuno, un vile che vuole farsi accettare e un duro che abbraccia la madre come per liberarsi di colpe. Un cordone ombelicale unisce tutti: paravento è la bustina, la piccola dose e le corse in moto come segno del mito.In luoghi chiusi e privi di luce, fino alla fine quando il fuoco vorrebbe espiare una colpa. Il grido di Marcello verso i suoi amici nel campetto di calcio, in un notturno da sfida, vuole silenzio e disperazione. Nessuno ascolta perché nessuno è lì: solo i mostri dentro i cervelli fusi di una sfida angosciante. Ecco che la postura piccolo-grande, omino-omone pare una zattera di salvataggio in un turpiloquio di immagini aride, scosse e spente. In ultimo il suo osservare il corpo, il suo vivere nella morte e il gesto di una miseria senza uscita. Non è un tunnel di salvataggio ma l’affogo (totale) in un mare in tempesta (spento di saette).
Aria senza ossigeno, animali da servire, esposizione in fiera, gare di taglio, abbellimento vacuo per piacere ad una figlia. E il ‘dogman’ ride di se stesso, con poco e senza nessun gusto. E’ il lavaggio dei cani (con un cellulare invisibile) che desta memoria, è il luogo dei destini che entra dentro come delle viscere.
Niente separa i due, nulla divide i loro corpi neanche una gabbia per cani. Catene e sangue, pressa e spalle, ammanto e fuoco: la silhouette del passo con la morte in spalla desta ribrezzo e discesa putrida come spirale in canna. Uno sguardo del regista come feticcio di ieri e dell’oggi presente. Senza nessuna compiacenza e con un distacco macabro alquanto violento.
Marcello Fonte (Marcello) non recita ma si muove con un destino già segnato: interpretazione che gli è valso il premio a Cannes; Edoardo Pesce (Simoncino) sembra ‘palla di lardo’ di kubrickiana memoria. Il tragico sfiora in parvenza il ridicolo iperbolico in modi favolisticamente inespressi. Un qualcosa di impercettibile e (forse) mai cosi vicino. Regia di Matteo Garrone senza compiacimenti, lontana e misera, poco accomodante e inerme.
Voto: 7½/10 (***½).
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maumauroma
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sabato 26 maggio 2018
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dogman
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Si dice spesso, probabilmente a ragione, che bisogna sempre temere la collera e la vendetta deil' uomo tranquillo. Marcello ha un negozio di tolettatura per cani in una squallida e degradata localita' lungo il litorale laziale. E' una persona mite, sensibile. Separato dalla moglie, i suoi due unici amori sono i cani, appunto, e la sua figlioletta, con cui sogna di fare un giorno bellissimi viaggi in mari lontani. Vive ai margini della legalita' e spaccia un po' di droga, e' vero, ma in quella zona dimenticata da Dio,quella dello spaccio e' una attivita' quasi normale. Tra i suoi " clienti" piu' assidui di polvere bianca c' e' Simone, una montagna di muscoli, incallito malavitoso e boss della zona, di cui Marcello, cosi' piccolo e mingherlino, subisce l' iniquo fascino.
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Si dice spesso, probabilmente a ragione, che bisogna sempre temere la collera e la vendetta deil' uomo tranquillo. Marcello ha un negozio di tolettatura per cani in una squallida e degradata localita' lungo il litorale laziale. E' una persona mite, sensibile. Separato dalla moglie, i suoi due unici amori sono i cani, appunto, e la sua figlioletta, con cui sogna di fare un giorno bellissimi viaggi in mari lontani. Vive ai margini della legalita' e spaccia un po' di droga, e' vero, ma in quella zona dimenticata da Dio,quella dello spaccio e' una attivita' quasi normale. Tra i suoi " clienti" piu' assidui di polvere bianca c' e' Simone, una montagna di muscoli, incallito malavitoso e boss della zona, di cui Marcello, cosi' piccolo e mingherlino, subisce l' iniquo fascino. E quando Simone, prima con le buone e poi con le cattive, lo costringera' a rendersi complice di una rapina presso un negozio di gioielleria adiacente al suo locale, ecco che per Marcello avra' fine quell' esistenza fatta di tranquillo tran tran quotidiano e di buon rapporto con il vicinato. Come spesso capita, infatti, la galera e' destinata ai piu' deboli e ai piu' ingenui. e così finisce per andarci lui dentro , al posto di Simone. Scontato un anno di prigione, una volta uscito e tornato al suo lavoro, Marcello si trovera' davanti il disprezzo della gente e la strafottente indifferenza di Simone. Sara' a questo punto allora , un po' per riconquistare il rispetto dei conoscenti, un po' per un ultimo tentativo di riabilitare la sua dignita' in passato troppo spesso ferita, che Marcello meditera' e mettera in atto una atroce, terribile vendetta. Ed ecco che alla fine vedremo il mite " canaro" con immane fatica, come una croce, portarsi sulle spalle il pesante corpo di Simone, nel tentativo di esibilrlo davanti agli occhi di tutti. Ma, deposto il cadavere al centro della desolata piazza deserta, si trovera' di fronte soltanto a una disperata e angosciosa solitudine.
Dogman e' un film duro, spietato, violento. Ma di una violenza che finisce per ferire piu' l' anima che non gli occhi di chi guarda. I dialoghi sono essenziali e diretti, esaltati dalla quasi totale mancanza di colonna sonora. Matteo Garrone ha la grande capacita' di cavare dai volti dei suoi attori, scelti in maniera quasi lombrosiana in base alle attivita' e ai risvolti caratteriali, quei frammenti espressivi che messi insieme , costruiscono alla perfezione una sorta di mosaico monocromatico, sintesi perfetta del degrado di una certa societa'. Ottimo l' esordio come attore di Marcello Fonte. Ma, considerata la sua originalissima maschera espressiva e la sua voce particolare, bisognera' attenderlo in altre interpretazioni, per accertare la nascita di un nuovo protagonista del cinema italiano
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emanuele1968
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venerdì 25 maggio 2018
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potente
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Penso che siano tante storie vere ben mescolate, personalmente il film e tutto perfetto, attori, comparse, immagini, ecc. forse un troppo violente alcune scene, non adatte ha persone sensibili ( voto 4,5 )
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fabiofeli
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mercoledì 23 maggio 2018
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"che t'hanno fatto, amòre?"
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Solo i titoli di coda esaudiscono la curiosità di sapere dove si svolge il dramma. E’ un non-luogo, metafisico, Castel Volturno (la “location” di Gomorra), con palazzi invecchiati, affondati nella sabbia in mezzo a ristagni fangosi dopo ogni pioggia: lì di fronte un muretto circolare delimita un minuscolo parco-giochi per bambini sempre desolatamente deserto. In uno dei palazzi si allineano tre “negozi”: uno per la toletta dei cani, uno di un gioielliere che compra e vende oro, una sala slot. Marcello (Marcello Fonte) vive lì, alle prese col lavaggio di cani enormi, più grossi della sua minuta figura.
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Solo i titoli di coda esaudiscono la curiosità di sapere dove si svolge il dramma. E’ un non-luogo, metafisico, Castel Volturno (la “location” di Gomorra), con palazzi invecchiati, affondati nella sabbia in mezzo a ristagni fangosi dopo ogni pioggia: lì di fronte un muretto circolare delimita un minuscolo parco-giochi per bambini sempre desolatamente deserto. In uno dei palazzi si allineano tre “negozi”: uno per la toletta dei cani, uno di un gioielliere che compra e vende oro, una sala slot. Marcello (Marcello Fonte) vive lì, alle prese col lavaggio di cani enormi, più grossi della sua minuta figura. Marcello fa anche piccolo spaccio di stupefacenti ed ogni tanto può permettersi una fuggevole vacanza con immersioni subacquee assieme alla figlia adolescente, avuta dalla moglie separata. Ma nel quartiere c’è Simone (Edoardo Pesce), una specie di tornado che esige e ottiene sempre quello che vuole: Marcello lo tratta con indulgenza e gentilezza, quasi avesse a che fare con un grosso alano; è disposto a dargli gratis “tiri” di cocaina; accetta perfino di fare da palo ad una rapina di Simone con un compare. Anche il gestore della sala slot cede alla furia fracassona di Simone, quando questi pretende ed ottiene la restituzione di 300 euro persi con una macchinetta mangiasoldi. Quelli che hanno una attività commerciale nel posto, affratellati da partite di calcetto, in una riunione alla quale partecipa anche Marcello cercano una soluzione drastica per il problema rappresentato dalla prepotenza di Simone. Uno di loro cinicamente pronostica che prima o poi Simone naufragherà su uno scoglio più duro di lui; basta aspettare …
Matteo Garrone, che con Tale of Tales (Lo cunto de li cunti di Basile) ci aveva sconcertato non poco, nelle interviste afferma che il suo ultimo film è un western. E in effetti ci sono (quasi) tutti gli ingredienti di questo genere di pellicole: il non-luogo è terra di frontiera, una terra di nessuno perché non c’è uno sceriffo che imprigioni il “cattivo” prevaricatore; c’è una banca (il negozio di gioielliere che compra e vende oro) e c’è un saloon (la sala slot). Manca soltanto il “buono”, che si inventi da solo nel ruolo e prenda la responsabilità di portare il peso – in ogni senso ! - di un cadavere ingombrante. Garrone fabbrica questa “persona” pescando tra i personaggi che ha. Sa cosa fa, perché Marcello Fonte è un “animale cinematografico” dal talento unico: è credibile quando dice “amòre” – con una erre liquida, più liquida ed evanescente della erre inglese foneticamente espressa con i due punti - a mostruosi cani da combattimento; o quando dice accorato “che t’hanno fatto, amòre?” ad un cagnolino semicongelato; è credibile come padre amoroso e come amico fedele di Simone, nonostante gli eccessi e i tradimenti di questo ultimo; è credibile alla fine della tragedia, quando si illude di aver riconquistato la sua turpe, ignava, menefreghista, egoista “comunità”. Se qualcuno cita Il cane di paglia di Peckinpah con il grande Dustin Hoffmann a proposito del film e di Marcello Fonte, possiamo solo sperare che Marcello non rimanga impigliato in questo ruolo e possa recitare anche in parti diverse. Grazie, Garrone, per questa favola nera, mostruosamente bella, fotografata con immagini indimenticabili. Da non mancare.
Valutazione :**** e ½
FabioFeli
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maopar
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mercoledì 23 maggio 2018
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vita da cani...
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VITA da CANI
Non mi riferisco ai cani.. gli amici dell’uomo.. che nel Film sono amati seguiti con
premurose attenzioni dai proprietari e che trovano in Marcello una comprensione totale …
che con la sua esclamazione “AMORE” accoglie e accudisce… Ma alla vita di branco dove il
più forte prende il sopravvento.
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VITA da CANI
Non mi riferisco ai cani.. gli amici dell’uomo.. che nel Film sono amati seguiti con
premurose attenzioni dai proprietari e che trovano in Marcello una comprensione totale …
che con la sua esclamazione “AMORE” accoglie e accudisce… Ma alla vita di branco dove il
più forte prende il sopravvento.. le regole della sopravvivenza sono drammaticamente comprensibili
odiosamente reali percepite dallo spettatore come una “Morsa”.. che toglie il respiro ..E Garrone
in questo è un Maestro… Ma Marcello addolcisce la storia “ umanizza” questa vicenda.. una coraggiosa
scalata d’Amore per salvare la vita…una discesa nel profondo del mare mano nella mano….
In una realtà complessa dove la necessità condiziona le scelte ..si percepisce l’incertezza della decisione
Più volte Marcello si avvia a destra e poi a sinistra.. cosa fare? Aderire alle richieste di Simone .. e poi Del
Commissario.. Lui uomo buono che pervaso da un laico Vangelo d’Amore .. sceglie le strade più difficili..
Come quando porta alla madre la “belva “ ferita e… fa si che noi spettatori assistiamo a una scena
Centrale del film la disperazione di un abbraccio fra madre e figlio consapevoli nel loro amore
Di una realtà difficile da contrastare…
E dopo un anno di carcere.. una lezione da dare a Simone per pretendere le scuse.. e per poi chiuderla
qui!.. Ma l’imprevedibile esplosione della cattiveria…prende il sopravvento…cosa farne di questa
drammatica fine.. bruciare tutto e nasconderla o parteciparla …
Accucciato davanti a quella non voluta “preda” attende confuso il risveglio del Branco…
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[+] il film è un capolavoro
(di francesca)
[ - ] il film è un capolavoro
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carlosantoni
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martedì 22 maggio 2018
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fare i conti con la barbarie quotidiana
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Garrone osserva e descrive lo sfascio della nostra società. Uno sfascio sociale, morale, ambientale. La realtà che ci descrive con occhio lucido e senza retorica non è quella pur grave del declino, ma ormai quella di uno stato di decomposizione: non è ammesso nutrire speranza, ogni gioco è fatto ed è irreversibile. E nonostante tutto non c’è catarsi, né possibilità di risarcimento materiale e morale.
Questo il messaggio che traspare dal suo coinvolgente “Dogman”, ma a ben vedere anche dal precedente “Reality”, la cui descrizione della parabola morale e pseudoculturale del nostro vivere quotidiano non è meno disarmante.
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Garrone osserva e descrive lo sfascio della nostra società. Uno sfascio sociale, morale, ambientale. La realtà che ci descrive con occhio lucido e senza retorica non è quella pur grave del declino, ma ormai quella di uno stato di decomposizione: non è ammesso nutrire speranza, ogni gioco è fatto ed è irreversibile. E nonostante tutto non c’è catarsi, né possibilità di risarcimento materiale e morale.
Questo il messaggio che traspare dal suo coinvolgente “Dogman”, ma a ben vedere anche dal precedente “Reality”, la cui descrizione della parabola morale e pseudoculturale del nostro vivere quotidiano non è meno disarmante.
Da molti è stata messa in rilievo l’eccellente qualità della fotografia, ed è vero: quei toni cupi, terragni, sotto un cielo spesso imbronciato e piovigginoso, spesso ancora notturno, esaltano benissimo l’idea del messaggio che Garrone vuol dare; così come l’uso a spalla della mdp, che segue i personaggi, spesso affondando i primi e primissimi piani, coglie appieno l’emotività di certe scene, a volte intensissima.
Notevole e spaesante la location, di massimo degrado urbano, il giusto contesto a un degrado sociale e morale.
Stupenda la scena iniziale, col cane feroce che ringhia ferocemente, in attesa di essere lavato, mentre gli altri cani, nelle loro gabbie, osservano attoniti: metafora della vicenda umana che da lì in avanti verrà narrata. E grande la trovata delle immersioni da sub di Marcello in compagnia di sua figlia: come a dirci che c’è sì ancora un mondo diverso da quello consueto, pieno di squallore, un mondo pieno di bellezza da poter osservare in santa pace: solo che sta sott’acqua, e quasi mai è alla nostra portata, ma che se si vuole, si può provare a raggiungere.
Bravissimo Marcello Fonte, appena premiato a Cannes come migliore attore protagonista, perfetto nell’interpretare il ruolo di un povero borgataro dall’animo semplice e sensibile, costretto a subire infinite angherie e a vivere di un lavoro modesto e di piccoli sotterfugi e illegalità, pur di poter accudire sua figlia e i suoi cani: certe lunghe sequenze sul suo sguardo indifeso (mentre è in guardina sotto interrogatorio, mentre alla fine della storia riflette su ciò che ha appena fatto…) parlano più di cento frasi.
Ma bravissimo anche Edoardo Pesce, nel ruolo imbarazzante e difficile di Simone, l’energumeno violento e amorale, splendidamente truccato da pugile suonato, che sa rendere splendidamente l’idea di un bestione tanto aggressivo quanto privo d’intelligenza.
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