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martedì 1 gennaio 2019
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come è possibile
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Scusate tanto ma perché il film Cold War non c’è nel cinema di Mercogliano, è assurdo
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nino pellino
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sabato 29 dicembre 2018
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un amore difficile ai tempi della guerra fredda
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Ottimo film per quanto riguarda l'aspetto della regia e dell'eccellente stile in bianco e nero della pellicola. La trama ci descrive la storia di due perenni innamorati il cui amore è costantemente ostacolato dalle barriere ideologiche e politiche della loro epoca e soprattutto dalla volontà di lei di non abbandonare la propria notorietà artistica per fare posto, con determinazione, ad un grande amore assoluto, ma con il rischio di essere vissuto probabilmente senza vere sicurezze future e in povertà. Comunque, dopo tante peripezie e indecisioni succedute nel corso degli anni con relativi spostamenti da una nazione all'altra, quando finalmente i due amanti decidono di abbandonare le loro separate vite artistiche per realizzare il loro sogno d'amore, sposandosi clandestinamente in una chiesetta dle loro paese di origine, si accorgono che comunque, anche in quest'ultima circostanza, le loro vite denotano dei vuoti realizzativi, per cui prenderanno, in comune accordo, la loro decisione estrema.
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Ottimo film per quanto riguarda l'aspetto della regia e dell'eccellente stile in bianco e nero della pellicola. La trama ci descrive la storia di due perenni innamorati il cui amore è costantemente ostacolato dalle barriere ideologiche e politiche della loro epoca e soprattutto dalla volontà di lei di non abbandonare la propria notorietà artistica per fare posto, con determinazione, ad un grande amore assoluto, ma con il rischio di essere vissuto probabilmente senza vere sicurezze future e in povertà. Comunque, dopo tante peripezie e indecisioni succedute nel corso degli anni con relativi spostamenti da una nazione all'altra, quando finalmente i due amanti decidono di abbandonare le loro separate vite artistiche per realizzare il loro sogno d'amore, sposandosi clandestinamente in una chiesetta dle loro paese di origine, si accorgono che comunque, anche in quest'ultima circostanza, le loro vite denotano dei vuoti realizzativi, per cui prenderanno, in comune accordo, la loro decisione estrema. Pellicola diretta in maniera magistrale sia per il livello interpretativo, sia per le musiche e soprattutto sia per la fotografia. Ma tutto sommato il definire questa pellicola un film dal grande spessore romantico alla fine mi lascia perplesso dal momento in cui entrambi i protagonisti, hanno sempre tendenzialmente anteposto le loro vite artistiche al loro sogno d'amore, incontrandosi sempre clandestinamente e a sprazzi e comunque il famoso detto "felici ma poveri" sembra proprio non addirsi minimamente ad un finale dalle tinte estremamente drammatiche e forse eccessive. Un film che, per carità, non mi sento di dire che mi ha deluso, ma comunque non mi ha totalmente convinto pur nella consapevolezza che la storia è ambientata in un'epoca caratterizzata da ostacoli e barriere di tipo politico e sociale che magari negli anni e nei nostri tempi moderni non esistono più.
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kimkiduk
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venerdì 28 dicembre 2018
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grandissima regia
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Film affascinante per mille motivi; capisci perchè premiato a Cannes e come film europeo e candidato agli Oscar.
Regia mostruosa per me, con riprese bellissime nella scelta, ormai consueta, del regista, anche Ida era così, di un bianco e nero pieno di colori e un formato quadrato (penso sia un 4:3) che sembra come un 16:9 tanto non lo noti.
Pawlikowski inoltre riempie il film di momenti scenografici fantastici: Bateau mouche con passaggio davanti Notre Dame con loro abbracciati tipo Titanic; oppure quando sono appoggiati ad un enorme vetro riflettente la sala piena con loro in evidenza ed il retro sfuocato; e tante altre perle che per un profano come me risultano bellissime.
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Film affascinante per mille motivi; capisci perchè premiato a Cannes e come film europeo e candidato agli Oscar.
Regia mostruosa per me, con riprese bellissime nella scelta, ormai consueta, del regista, anche Ida era così, di un bianco e nero pieno di colori e un formato quadrato (penso sia un 4:3) che sembra come un 16:9 tanto non lo noti.
Pawlikowski inoltre riempie il film di momenti scenografici fantastici: Bateau mouche con passaggio davanti Notre Dame con loro abbracciati tipo Titanic; oppure quando sono appoggiati ad un enorme vetro riflettente la sala piena con loro in evidenza ed il retro sfuocato; e tante altre perle che per un profano come me risultano bellissime.
Inoltre ho trovato riferimenti Bardottiani riguardo la splendida protagonista davvero bravissima, che a volte mi ha ricordato la BB in La Verità di Clouzot, nella sua follia amorosa, nella sua gelosia a volte inspiegabile, nella sua forza di donna-femmina combattente in fin dei conti perdente, ma sempre amata ed impossibile da amare ed avere completamente.
Personaggio descritto in modo meraviglioso in una realtà fredda e pesante come Cold War forse vuole dire.
Film bellissimo, regia di livello assoluto, sceneggiatura e scenografia eccelsa. Le poche pecche narrative descritte marginalmente e sicuramente volutamente, non stonano, si capisce che non è la Polonia e il comunismo o la fuga o il ritorno il problema, ma l'amore e la storia d'amore centrale.
Finale che può apparire freddo e strano (appena uscito dalla sala i commenti erano su questo) ma a me piaciuto tantissimo e perfettamente in linea con il film e forse in linea anche con La Verità di Clouzot chissà.
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daniela
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giovedì 27 dicembre 2018
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forma e contenuto: bellezza pura
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Quando forma e contenuto non possono essere scisse e diventano una cosa sola - e non capita spesso – allora, solo allora, si crea una magia. La magia della bellezza più pura. Così lo sguardo di Zula che seduce per la prima volta Wictor lo vedi riflesso nello specchio durante una festa e mi riporta alla mente, anche se con l’immagine ribaltata, il bar delle Folies-Bergére di Monet. Ogni inquadratura perfetta ti inchioda all’ascolto di una musica ipnotica e toccante e ti immerge nella bellezza commovente di una Polonia brulla e disadorna, ma che sa diventare luminosa e raggiante. Ecco, quindi, che le scelte stilistiche del regista permeano l’amore senza tempo di Wictor e Zula: lo schermo quattro terzi, la macchina da presa che a tratti assale i personaggi e a tratti li schiaccia di tre quarti nella parte bassa dello schermo, gli stacchi al nero ad ogni passaggio importante della storia.
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Quando forma e contenuto non possono essere scisse e diventano una cosa sola - e non capita spesso – allora, solo allora, si crea una magia. La magia della bellezza più pura. Così lo sguardo di Zula che seduce per la prima volta Wictor lo vedi riflesso nello specchio durante una festa e mi riporta alla mente, anche se con l’immagine ribaltata, il bar delle Folies-Bergére di Monet. Ogni inquadratura perfetta ti inchioda all’ascolto di una musica ipnotica e toccante e ti immerge nella bellezza commovente di una Polonia brulla e disadorna, ma che sa diventare luminosa e raggiante. Ecco, quindi, che le scelte stilistiche del regista permeano l’amore senza tempo di Wictor e Zula: lo schermo quattro terzi, la macchina da presa che a tratti assale i personaggi e a tratti li schiaccia di tre quarti nella parte bassa dello schermo, gli stacchi al nero ad ogni passaggio importante della storia. È particolare, poi, che, come nel film “Ida”, il regista scelga nuovamente lo sfondo storico della Polonia dal dopoguerra in avanti, descrivendo un momento preciso: quello in cui l’ideologia si impadronisce dei miti popolari e li mistifica dandogli un nuovo significato e facendogli perdere il loro senso profondo. Nel rotolare degli anni trovi sempre la musica, i canti struggenti della Polonia rurale, il jazz dei fumosi locali parigini, il rock del ballo sfrenato di Zula, addirittura la musica italiana, che si accavallano in sequenza cronologica avanzando con la storia. Gli attori, poi, ci regalano pura emozione, fanno all’amore con la macchina da presa e ci fanno percepire come a volte non solo i momenti socio-politici possono limitare la realizzazione dei sogni, ma anche i nostri blocchi interiori non ci consentono di essere noi stessi o meglio di diventare noi stessi. Zula è una creatura meravigliosa, seduttiva, animalesca. Potrebbe essere ciò che vuole, ma non sa cosa vuole essere e questo sembra riecheggiare il personaggio dalla stessa straordinaria attrice, Joanna Kulig, in “Ida”, che costretta dalla madre superiora a incontrare il mondo esterno diventa consapevole della sua scelta religiosa. Zula, invece, vede il mondo fuori dalla Polonia, ma non ne farà mai parte, non si sentirà mai parte. Wictor, un affascinante Tomasz Kot, ama la musica, è musica, sceglie di andare in Occidente per sentirsi ancora più intriso di arte. Ama immensamente Zula e alla fine è disposto a rinunciare alla sua arte per lei. Tutti gli elementi si incastrano e ci fanno sentire proiettati in un’altra dimensione di struggente malinconia, che mi richiama alla mente la poesia dei film del maestro Kieslowski. Diversi i temi, il mondo raccontato, lo stile; ma, a volte, le assonanze non sono date anche dalle discordanze?
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giovedì 27 dicembre 2018
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cinema autoriale europeo al suo massimo splendore
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Magnifico film, va detto senza indugio, "Cold War" è esemplare testimonianza di un cinema d'autore di matrice europea che rinasce dalle sue radici culturali più profonde per rilanciare un progetto espressivo di notevole spessore, complessità e impegno.
Uno degli elementi di pregio che più unanimemente gli sono stati riconosciuti consiste nell'eleganza della composizione formale, ma vale la pena spingersi oltre il mero riconoscimento dell'appagamento visivo che se ne ricava, perchè la finezza del bianco e nero di "Cold War" non risulta mai inerte o fine a se' stessa né l'assetto dell'inquadratura è mai puramente decorativo, ciò di cui facciamo esperienza con gli occhi - ma non solo - è invece un'estetica assai raffinata ma non priva di crepe vitali, la ricercatezza dell'immagine non è soltanto esteriore, è sempre animata dall'interno e resa viva dal significato insito nella scena stessa.
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Magnifico film, va detto senza indugio, "Cold War" è esemplare testimonianza di un cinema d'autore di matrice europea che rinasce dalle sue radici culturali più profonde per rilanciare un progetto espressivo di notevole spessore, complessità e impegno.
Uno degli elementi di pregio che più unanimemente gli sono stati riconosciuti consiste nell'eleganza della composizione formale, ma vale la pena spingersi oltre il mero riconoscimento dell'appagamento visivo che se ne ricava, perchè la finezza del bianco e nero di "Cold War" non risulta mai inerte o fine a se' stessa né l'assetto dell'inquadratura è mai puramente decorativo, ciò di cui facciamo esperienza con gli occhi - ma non solo - è invece un'estetica assai raffinata ma non priva di crepe vitali, la ricercatezza dell'immagine non è soltanto esteriore, è sempre animata dall'interno e resa viva dal significato insito nella scena stessa. Uno stile, insomma, quello di Pawel Pawlikowski, che sa distinguere tra classe e perfezione e sa tenere la prima al riparo dagli effetti spesso soffocanti e mortiferi della seconda.
Se può avere senso il paragone con un film giunto nelle sale quasi contemporaneamente e che come "Cold War" concorre al premio Oscar 2019 come miglior film straniero, e cioè "Roma" di Alfonso Cuaron, ecco che - almeno secondo l'opinione di chi scrive - risulta più immediato esemplificare la differenza. Da un lato abbiamo infatti il progetto di gradevolezza formale del regista messicano, perseguito principalmente sulla base di un'idea di "pulizia" dell'immagine a cui corrisponde coerentemente la scelta cromatica del bianco e nero; l'ammaliante risultato è ottenuto anche grazie ai più avanzati mezzi tecnici a disposizione ma, in verità, senza una rielaborazione sostanziale degli elementi in gioco (l'estetica è spettacolare ma non nuova né particolarmente personale), la qual cosa cela in realtà una certa inerzia emotiva del film, come una veste elegante su un corpo immobile, un tributo sincero e curato ma statico. Dall'altro lato invece abbiamo il regista polacco che ci guida attraverso un periglioso viaggio ricco di connotazioni culturali, politiche ed esistenziali in cui le sequenze scorrono vivide, piene, luminose anche quando mostrano la miseria del popolo, esse sono espressione diretta delle tensioni emotive che innervano il film: l'amore, l'anelito di libertà, la frustrazione, la passione per la musica. Potrebbe bastare, come ulteriore prova di autenticità della sua posizione autoriale, il peso specifico e il complesso lavoro di regia che Pawel Pawlikowski ha riservato alle scene dei balli e dei canti tradizionali polacchi o alle esibizioni jazz parigine: l'attenzione con cui sono ritratti volti, espressioni, movimenti, finanche costumi tradizionali o outfit d'epoca e i decisi stacchi di macchina con cui coglie il flusso vitale dell'insieme producono momenti di un lirismo che può colpire profondamente.
Se aggiungiamo il fatto che la storia dell'amore tormentato tra Wictor e Zula si giova dell'intesa di due attori che mostrano grande personalità sulla scena e chimica tra loro, formando così una coppia affascinante e credibile, e che insieme al loro destino ritroviamo anche quello della Polonia, paese dal passato sventurato, caduto a metà del secolo scorso dalla padella nazista nella brace filosovietica, in un affresco restituito senza toni enfatici o moralistici ma con equilibrio tra opportuno distacco storico e profondo rispetto per le vicende dolorose di un popolo fiero, ecco che "Cold War" si distingue senza ombra di dubbio come opera di primissimo ordine e notevole portato.
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angeloumana
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domenica 23 dicembre 2018
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grande amore e disastro di coppia
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Io e te un grande amore e niente più... è solo una canzone di Peppino De' Capri, per coloro che avendo numerose decine d'anni ebbero la fortuna di ascoltarlo. Il grande amore che qui il talentuoso regista polacco Pawel Pawlikowski – Oscar 2015 al miglior film straniero con Ida, stessa protagonista Joanna Kulig – ha voluto trasporre è quello tra i suoi genitori “morti nell'89 prima della caduta del Muro di Berlino, per 40 anni insieme a prendersi, mollarsi e riprendersi da una parte all'altra della Cortina di Ferro” (lo scrive Federico Pontiggia sul Fatto Quotidiano). Il regista ha rammentato che “erano due persone forti e meravigliose, ma come coppia un disastro totale”: accade qualche volta che due persone ottime, nella coppia (convivenza), non esprimono tutto intero il loro valore, la somma degli addendi è inferiore al valore complessivo dei singoli.
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Io e te un grande amore e niente più... è solo una canzone di Peppino De' Capri, per coloro che avendo numerose decine d'anni ebbero la fortuna di ascoltarlo. Il grande amore che qui il talentuoso regista polacco Pawel Pawlikowski – Oscar 2015 al miglior film straniero con Ida, stessa protagonista Joanna Kulig – ha voluto trasporre è quello tra i suoi genitori “morti nell'89 prima della caduta del Muro di Berlino, per 40 anni insieme a prendersi, mollarsi e riprendersi da una parte all'altra della Cortina di Ferro” (lo scrive Federico Pontiggia sul Fatto Quotidiano). Il regista ha rammentato che “erano due persone forti e meravigliose, ma come coppia un disastro totale”: accade qualche volta che due persone ottime, nella coppia (convivenza), non esprimono tutto intero il loro valore, la somma degli addendi è inferiore al valore complessivo dei singoli.
Come i genitori del regista si chiamano i due protagonisti del film, Zula, cantante e ballerina e Wiktor (Tomasz Kot), pianista. Wiktor ricorre la Polonia dopo la guerra, nel '49 visita villaggi e registra canzoni popolari, tradizionali dei vari luoghi. Con una sua collaboratrice tiene l'audizione di candidati per formare un gruppo di cantanti e ballerini: l'audizione della “popolana” Zula è galeotta, rimane stregato dal carattere, la determinazione e lo sguardo forte della ragazza, lei è interessato a me in generale o a come canto? Si adocchiano e si fiutano a vicenda, un grande amore non ha bisogno di troppe parole: è Zula stessa a dire che staranno insieme sempre e comunque, fino alla fine del mondo. Un loro agente, che si presenta come “dirigente amministrativo”, instrada il gruppo formatosi nel '51 verso un repertorio che dia lustro al regime, gli artisti si esibiscono ma è il partito che si mette in mostra. Il ministro (verosimilmente di un “minculpop” polacco) ne ha tutto l'interesse e fa procurare date e sedi importanti. Nel '52, a Berlino, Wiktor passa il confine verso l'ovest, la aspetta dopo l'esibizione ma lei è trattenuta dal dirigente amministrativo e dai suoi stessi dubbi, è sorvegliata come informatrice. Rivediamo lui a Parigi nel '54, suona nel locale Eclipse, qui si sente il sax e la musica sa di America, è lontana dai cori osannanti dell'est. Si rivedono e riamano, non sarei scappata senza te, Zula rimprovera l'amante. Un altro incontro avviene in Iugoslavia nel '55, ad un'esibizione il ritratto di Stalin dal sorriso beffardo campeggia dietro gli artisti in un concerto. Si piacciono sempre, ma negli incontri i loro caratteri forti alimentano burrasche. Nulla di melenso è contenuto nel film.
Rientrerà in Polonia nel '59, Wiktor, per riaverla, sconta anni di prigione e Zula lo aiuta a uscirne. Si sposano loro due soli nel '64, scendono da una corriera ad una chiesa diroccata e sperduta nei campi, che già si è vista ad inizio film, c'è solo una candela e la loro promessa, “finché morte non ci separi”. Si spartiscono pochi chicchi di riso i due, Zula ne dà qualcuno in più a lui. Lei non considera validi altri suoi matrimoni, perché non celebrati in chiesa … la Chiesa cattolica, imperante nelle coscienze accanto al regime, che invece si occupava delLa vita degli altri. Si può supporre che non vissero felici e contenti né sereni, come i genitori del regista, ma il loro sedersi su una panchina accanto a quella chiesa in un paesaggio cupo e Zula che gli dice Andiamo da un'altra parte, lì la vista sarà migliore, sembra già una bellissima luna di miele.
E' bianco e nero anche questo nuovo film del regista, fatto a quadri ben divisi che ritraggono i due nelle varie città in cui si rivedono; i suoi film sembrano far parte di un suo percorso interiore, ma il colore non manca, è nei sentimenti. Bello e appassionato, l'amore struggente si sente e si coglie: al prossimo Oscar per il miglior film straniero concorrerà con Romadi Cuaròn ma, parere personale, l'italiano Dogmanlo meriterebbe più di tutti.
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(di angeloumana)
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(di cinefila part time)
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stefanocapasso
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domenica 23 dicembre 2018
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quando i sentimenti rimangono primitivi
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All’indomani della fine della seconda guerra mondiale un gruppo di artisti comincia una selezione di cantanti e danzatori per formare il Mazowsz, compagnia che porterà in giro per la Polonia musica e balli della tradizione. Tra Wiktor, che è il direttore d’orchestra e Zula, una giovane talentuosa cantante, sboccia una travolgente passione. Progettano la fuga a Parigi per sfuggire le difficoltà crescenti che il regime impone a tutta la nazione, ma all’ultimo momento Zula rinuncia. Wiktor tenta di rifarsi una vita in Francia, ma la passione per Zula scoppierà travolgente non appena si rincontreranno per una tournee del gruppo polacco. Sarà un perdersi e ritrovarsi dall’esito drammatico.
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All’indomani della fine della seconda guerra mondiale un gruppo di artisti comincia una selezione di cantanti e danzatori per formare il Mazowsz, compagnia che porterà in giro per la Polonia musica e balli della tradizione. Tra Wiktor, che è il direttore d’orchestra e Zula, una giovane talentuosa cantante, sboccia una travolgente passione. Progettano la fuga a Parigi per sfuggire le difficoltà crescenti che il regime impone a tutta la nazione, ma all’ultimo momento Zula rinuncia. Wiktor tenta di rifarsi una vita in Francia, ma la passione per Zula scoppierà travolgente non appena si rincontreranno per una tournee del gruppo polacco. Sarà un perdersi e ritrovarsi dall’esito drammatico.
Pawel Pawlikowski sceglie il bianco e nero per raccontare diverse storie parallele che convergono nella storia d’amore tra due protagonisti. Parallelamente esplora il rapporto con la patria, reso difficile dalle contingenze politiche e gira un film musicale, ricco di musiche e balli della tradizione polacca, ma anche di di esibizioni jazz travolgenti, descritto con grande efficacia dalla precisa regia di Pawlikowski. E questo è per me l’aspetto più interessante del film, dove la splendida fotografia trova un altrettanto splendido corrispettivo narrativo. La musica accompagna la malinconia del racconto di un tempo che passa e che porta via, con i suoi cambiamenti, gli affetti più importanti degli uomini, che a loro volta non riescono a cambiare con altrettanta efficacia e velocità. Tra i due protagonisti il rapporto passionale degli iniziali non si evolve in qualcosa di più profondo col passare degli anni, e l’approccio primitivo con i loro sentimenti darà vita all’unica soluzione possibile per loro, quella di cristallizzare la loro storia con un gesto estremo
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foffola40
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domenica 23 dicembre 2018
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amore disperato
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splendida fotografia, primi piani originali, nessuna gioia solo dolore per la mancanza di libertà che spunta fuori in ogni piccola espressione .La protagonista Zula, che sa cantare e ballare, non riesce ad apprezzare quello che ha con la sua arte, forse meglio del buio che ha preceduto la sua vita. S rincorrono i due amanti fra la cortina di ferro e l'occidente ma non rescono a pacificarsi quindi decidono di morire insieme, avverrà? ricominceranno a cercarsi con dolore e amore? foffola40
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vanessa zarastro
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sabato 22 dicembre 2018
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nec sine te, nec tecum vivere possum
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Una storia d’amore così non la vedevo al cinema dai tempi di “Jules e Jimes” del 1962! Così l’incipit del film di Truffaut: «M'hai detto: ti amo. Ti dissi: aspetta. Stavo per dirti: eccomi. Tu m'hai detto: vattene».
“Cold war”, girato in un magnifico bianco e nero in formato 4:3, narra le vicende del tormentato rapporto d’amore tra Wiktor e Zula durante l’arco di quindici anni, dal 1949 al 1964, tra la natia Polonia, la Berlino divisa, la Jugoslavia e la Parigi bohémienne. Gli ostacoli sono dovuti sia alla situazione politica che fa da sfondo alla vicenda, sia alla differenza caratteriale insita tra i due protagonisti.
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Una storia d’amore così non la vedevo al cinema dai tempi di “Jules e Jimes” del 1962! Così l’incipit del film di Truffaut: «M'hai detto: ti amo. Ti dissi: aspetta. Stavo per dirti: eccomi. Tu m'hai detto: vattene».
“Cold war”, girato in un magnifico bianco e nero in formato 4:3, narra le vicende del tormentato rapporto d’amore tra Wiktor e Zula durante l’arco di quindici anni, dal 1949 al 1964, tra la natia Polonia, la Berlino divisa, la Jugoslavia e la Parigi bohémienne. Gli ostacoli sono dovuti sia alla situazione politica che fa da sfondo alla vicenda, sia alla differenza caratteriale insita tra i due protagonisti.
Siamo in Polonia sulle macerie del dopoguerra. Varsavia è distrutta e Lodz funge da capitale de facto. C’è la speranza di una ripresa nella pace, e Wiktor e Irena, direttori della Scuola di Musica di canto popolare - che poi diventa il famoso gruppo Mazowsze, - reclutano giovani cantanti e ballerini. Tra i debuttanti la giovane e determinata Zula, in libertà vigilata perché accusata di aver ucciso il padre. All’audizione preliminare viene subito notata da Wiktor che ne ha intuito il grande talento.
All’inizio il rapporto tra loro è quello classico di formazione musicale tra maestro e allieva, lui la sprona e lei apprende velocemente, ma ben presto si trasforma in una vera e propria storia. Fanno l’amore di nascosto dagli altri, rubando momenti di piacere con piccole fughe nei campi.
Nel frattempo, la situazione politica cambia, lo stalinismo si consolida sempre più, e anche Kaczmarek, il Direttore amministrativo della Scuola, intende variare il repertorio musicale facendolo diventare di propaganda per regime. Inoltre, diventato sospettoso, incarica Zula di spiare il maestro.
Wiktor è in disaccordo con il nuovo trend dato alla scuola musicale, e se ne vuole andare via, sente che in Occidente le sue capacità saranno apprezzate: è un ottimo pianista, un bravo compositore oltre a essere direttore d’orchestra ed è speranzoso di avere un futuro. Cerca di convincere anche lei che è un po’ intimorita da una scelta così rischiosa – «e io che potrò fare…non parlo neanche francese» gli dice piena di dubbi – e, in una trasferta a Berlino Est, lui la attenderà invano per ore, prima di passare a Berlino Ovest. Tra una dissolvenza in nero e un’altra, tra un tipo di musica e un altro, il regista fa perdere e rincontrare più volte i due protagonisti.
Qualche anno dopo Wiktor si trova a Parigi dove suona in un jazz club (probabilmente il famoso Blue note), incide musica, vive con una poetessa francese, e si è perfettamente integrato nella vita bohémienne dell’epoca. Ma lei è sempre “l’amore della vita”.
Complice una tournée del gruppo musicale polacco, i due si rincontrano e, un paio di anni dopo lei arriverà liberamente a Parigi avendo sposato un ricco commerciante siciliano. «L’ho fatto per noi» afferma.
Così, nella seconda parte, inizierà la vita insieme a Parigi tra musica, dischi, feste e party dove, purtroppo, si perderà la magia. Lei non riesce mai a trovare una giusta misura: beve troppo, si ubriaca balla sui tavoli, finisce a letto anche con Michel, l’amico produttore di Wiktor, e non riesce a essere felice, nonostante il successo. Non sembra amare il jazz cui Wiktor ha aderito, né la letteratura francese, di cui non capisce le metafore. Alcuni critici cinematografici hanno paragonata Zula a Zelda, moglie inquieta e musa di Francis Scott Fitzgerald.
Dopo un contrasto tra i due lei sparisce e rientra a Varsavia. Wiktor è disperato, cerca di ritornare alla sua musica e alla sua vita di sempre, ma non ce la fa a vivere senza di lei. Decide pertanto di tornare a Varsavia a tutti i costi; infatti, sarà arrestato, torturato - gli spezzano due dita della mano – e condannato a quindici anni di prigione. Zula arriva a salvarlo e con i suoi intrighi politici riuscirà a farlo uscire.
Siamo ormai negli anni ’60 e in Polonia si ascolta anche la musica di Adriano Celentano. Si chiude la vicenda in una chiesa diroccata di campagna, dove i due amanti si promettono eterno amore. Poi mano nella mano si siedono in un punto del bosco con una bella vista in attesa… “Né con te né senza di te” diceva l’epitaffio di “La signora della porta accanto” di Françoise Truffaut del 1981.
Pawel Pawlikowski, già vincitore di un Oscar con “Ida” nel 2013, dedica questo film ai suoi genitori, che si chiamavano appunto Wiktor e Zula e sono stati protagonisti di un amore travagliato e così afferma: «Erano entrambi due persone forti e meravigliose, ma come coppia un infinito disastro». “Cold war” presenta una fotografia strepitosa e un’ottima colonna sonora che fa da protagonista, unisce e disunisce gli animi: dalla musica classica a quelle folkloristica, dalle canzonette leggere sotto il regime al trasgressivo be bop.
Il film è stato premiato come miglior regia all’ultimo Festival di Cannes e rappresenta la Polonia agli Oscar 2019.
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michelecamero
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sabato 22 dicembre 2018
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storia d'amore potente e fascinosa.
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Film polacco girato in bianco e nero con sequenza a schermo quadrato quasi a voler definire con certezza la narrazione scenica e, chissà, forse anche con intenti esclusivi, nel senso di escludere dallo schermo ogni orpello che si rivelasse estraneo alla vicenda di cui si stava occupando l’opera d’arte. E’ completamente incentrato sul racconto di una grande e potente storia d’amore nata nella Polonia del dopoguerra in un’epoca in cui si gettavano le basi per la Polonia comunista con la conseguente omologazione socio - politico – culturale di quel Paese. Una storia d’amore fortissima nonostante i tanti contrasti che incontra lungo tutto il suo percorso, disseminati dalle problematiche della guerra fredda ma anche dalle difficoltà psico - caratteriali dei due protagonisti, compresa la incapacità della donna di adattarsi alle “metafore” ed allo stile di vita occidentale al punto da fuggire Parigi per tornarsene a Varsavia, percorso che rifarà, per non perderla ancora una volta, l’uomo che affronterà tuttavia conseguenze ben più dolorose per questo suo ritorno in Patria.
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Film polacco girato in bianco e nero con sequenza a schermo quadrato quasi a voler definire con certezza la narrazione scenica e, chissà, forse anche con intenti esclusivi, nel senso di escludere dallo schermo ogni orpello che si rivelasse estraneo alla vicenda di cui si stava occupando l’opera d’arte. E’ completamente incentrato sul racconto di una grande e potente storia d’amore nata nella Polonia del dopoguerra in un’epoca in cui si gettavano le basi per la Polonia comunista con la conseguente omologazione socio - politico – culturale di quel Paese. Una storia d’amore fortissima nonostante i tanti contrasti che incontra lungo tutto il suo percorso, disseminati dalle problematiche della guerra fredda ma anche dalle difficoltà psico - caratteriali dei due protagonisti, compresa la incapacità della donna di adattarsi alle “metafore” ed allo stile di vita occidentale al punto da fuggire Parigi per tornarsene a Varsavia, percorso che rifarà, per non perderla ancora una volta, l’uomo che affronterà tuttavia conseguenze ben più dolorose per questo suo ritorno in Patria. L’amore che lega questi due personaggi, lui musicista raffinato che attraversa varie scelte musicali con un evidente trasporto verso il jazz, lei divenuta, nel difficile dopoguerra, cantante – ballerina di regime, bella, sensuale, dotata di grande sex appeal, ma anche di una personalità energica, inarrestabile, è comunque più solido di ogni ostacolo. Entrambi infatti rinunceranno a sé stessi in nome di questo loro sentimento solidissimo e coerente al punto da donargli la vita per restarvi reciprocamente fedeli ed eternamente insieme. Scorrendo i titoli di coda rivedevo (riascoltando in memoria la bellissima musica che vi faceva da leitmotiv) scene e storia di Innamorarsi con De Niro e Meryl Streep, indimenticato film di oltre trenta anni fa che ci raccontava una storia di amore potente e contrastato dagli eventi per certi versi simile, ma meno difficile e complicato. Nonostante qualche lentezza ed una tecnica cinematografica probabilmente volutamente primitiva, anche questo film, che eviterei di definire un melò, resta un bel racconto in una sua atmosferaquasi epica.
micam
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[+] una storia d'amore, travagliata e sofferta
(di antonio montefalcone)
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