francesco2
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sabato 7 aprile 2018
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bravo.............
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...........molto bella questa recensione
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francesco2
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sabato 7 aprile 2018
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provocazioni da decodificare
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Dei tre film di, il peggiore dei tre è Alpis (2011), anche se mi resta il dubbio di non averlo capito. Paragonando, invece, questo film a The Lobster (2015) , bisogna rilevare che si tratta di una provocazione monotematica, che ritrae un gruppetto di famiglia in un inferno, in una situazione ai limiti del paradosso ronta ad esplodere in ogni momento. Certo non è il Kasdan di Grand Canyon o il regista di In the Bedroom: appare interessato a sgretolare le ipocrisie della borghesia bene, ed a farlo partendo dalla famiglia. Non la demonizza, ma con sagacia ne mette in evidenza paradossi e piccole crudeltà. Tuttavia, un artista deve fare del paradosso fa un mezzo e non un fine, come avviene ad esempio con Almodovar, Jarmusch, Kaurismaki r Se il egista spagnolo è uno specialista dell’ecccesso, quello finlandese lo è dello svuotamento, ma basta vedere “Gli abbracci spezzati” e “Julieta” per rendersi conto che questa è, parzialmente, una semplificazione schematica.
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Dei tre film di, il peggiore dei tre è Alpis (2011), anche se mi resta il dubbio di non averlo capito. Paragonando, invece, questo film a The Lobster (2015) , bisogna rilevare che si tratta di una provocazione monotematica, che ritrae un gruppetto di famiglia in un inferno, in una situazione ai limiti del paradosso ronta ad esplodere in ogni momento. Certo non è il Kasdan di Grand Canyon o il regista di In the Bedroom: appare interessato a sgretolare le ipocrisie della borghesia bene, ed a farlo partendo dalla famiglia. Non la demonizza, ma con sagacia ne mette in evidenza paradossi e piccole crudeltà. Tuttavia, un artista deve fare del paradosso fa un mezzo e non un fine, come avviene ad esempio con Almodovar, Jarmusch, Kaurismaki r Se il egista spagnolo è uno specialista dell’ecccesso, quello finlandese lo è dello svuotamento, ma basta vedere “Gli abbracci spezzati” e “Julieta” per rendersi conto che questa è, parzialmente, una semplificazione schematica. Il punto vero è determinare se e in che misura la provocatorietà diventa sostanza,altrimenti dobbiamo elogiare anche film -per me- insopportabili come “L’isola” Di Kim Ki Duk. Un’altra chiave è quella del confine tra vita e “Tanatos”: in “Alpis” è un elemento preponderante, in “The Lobster “ è assente, ma bisogna considerare che è un film su una realtà parallela, anche se non necessariamente trascendente. Qui è oggetto, al contempo, di paura e di desiderio, ma lo scopo del regista -come anche in “Alpis”- appare usare la morte per soffermarsi su ipocrisie e disagio di noi vivi, senza esplorarla davvero dal punto di vista psicologico ed esistenziale. Scritte tutte queste cose, spero che il film trovi un distributore italiano. NB Ho visto in questo momento che lo distribuirà la Lucky Red, ma in piena estate.
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ashtray_bliss
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venerdì 16 marzo 2018
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la tragedia greca rivisitata.
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Yorgos Lanthimos è un regista poliedrico, audace e visionario, che non ha paura a creare attraverso le sue pellicole degli universi carichi di simbolismi, delle storie che restano sempre in bilico tra la dimensione reale e quella surreale, e talvolta, come nel caso in questione, metafisica.
Lanthimos lo ricorderemo sempre per il divisivo
Kynodontas
(
Dogt
ooth
) dove attraverso una storia completamente sovversiva e profondamente disturbante, sgretolava un pezzo alla volta, la famiglia
neoborghese
greca e il sistema da loro creato per
crescere
i figli.
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Yorgos Lanthimos è un regista poliedrico, audace e visionario, che non ha paura a creare attraverso le sue pellicole degli universi carichi di simbolismi, delle storie che restano sempre in bilico tra la dimensione reale e quella surreale, e talvolta, come nel caso in questione, metafisica.
Lanthimos lo ricorderemo sempre per il divisivo
Kynodontas
(
Dogt
ooth
) dove attraverso una storia completamente sovversiva e profondamente disturbante, sgretolava un pezzo alla volta, la famiglia
neoborghese
greca e il sistema da loro creato per
crescere
i figli. In quel caso la famiglia fungeva da metafora politica e il sistema educativo assurdo messo in atto era assimilabile ai regimi totalitari e ai metodi di lavaggio del cervello eseguiti all'interno degli stessi. Nel caso, invece di
The
Killing
of
a
Sacred
Deer,
Lanthimos
esegue nuovamente, in modo preciso e chirurgico, la dissezione di una famiglia borghese ma al centro del racconto questa volta troviamo gli elementi classici della tragedia greca: il senso di colpa, la vendetta, il sacrificio di un'innocente, la collera e l'ira divina che si abbatte sugli uomini. Il titolo stesso racchiude una simbologia e una metafora coerente col racconto e strumentale col messaggio che la pellicola trasmette; costituisce infatti un riferimento esplicito all'uccisione del cervo sacro della dea
Artemis
(Diana) da parte di Agamennone. Provocando l'ira della dea, ella chiede ad Agamennone di uccidere sua figlia
Ifigeneia
per ristabilire l'equilibrio
e poterlo aiutare
nella sua battaglia contro i Troiani. Questo episodio mitologico, ripreso da Euripide nella sua famosa tragedia
Ifigeneia
in
Aulide
, viene rivisitato in chiave moderna e neoborghese da
Lanthimos
, che grazie
ad una
regia cristallina e talvolta
iper-realista
riesce a mettere in scena un dramma dalle venature surreali intriso di
elementi
che trascendono ogni logica,
ogni
concretezza empirica e certezza
medico-scientifica
. Spiazzando così lo spettatore e osando coinvolgere l'elemento sovrumano, ossia divino, che resterà tuttavia indefinito e ineluttabile per tutta la durata del film, rendendo ancora
più
intenso questo crudele e beffardo dramma psicologico.
La regia nitida e asciutta di
Lanthimos
, che predilige le riprese interne presso
luoghi vuoti, freddi e asettici (come i corridoi e le sale ospedaliere), cattura e trasporta lo
spettatore all'interno di quello che appare essere la
normalità
di una tipica famiglia borghese, composta da
Steven
, cardiochirurgo, sua moglie Anna (oftalmologa) e i figli adolescenti Bob e
Kim
. L'apparente
tranquillità e armonia
della famiglia inizia
ad essere
disturbata dalla presenza, via via sempre
più
ossessiva, di Martin, un ragazzino di
16
anni orfano di padre, che stringe amicizia col capo
famiglia
Steven
. Martin inizia a manifestarsi invasivo e possessivo del tempo e delle attenzioni del cardiochirurgo, iniziando a minacciare concretamente la
serenità
del nucleo familiare. Presto la vera natura, o per meglio dire le vere motivazioni di Martin verranno a galla e nulla sarà come prima. Le dinamiche tra protagonisti mutano e cambiano radicalmente. Quello che sembra essere un innocente rapporto di amicizia nasconde segreti più profondi che emergono sotto forma di un implosivo misto tra rancore e sete di vendetta. Quando poi sulla famiglia si abbatte una silenziosa ed impercettibile sorta di maledizione che coinvolge i figli, Steven ed Anna si ritrovano a dover fare i conti con degli impensabili dilemmi morali che li corrodono e li consumano.
L'aspetto surreale del racconto, ben presto si scontra con l'analisi concreta ed impeccabile fornita dal regista, riguardo l'aspetto oscuro dell'animo umano che emerge quando messo a dura prova da forze maggiori, violente e inesplicabili. Un processo impercettibile, che sfugge da ogni rigido dogma scientifico e dalla logica umana, incapace di comprendere l'aspetto sacro della nemesi che ripristina l'equilibrio. Le colpe e gli errori commessi nel passato ritornano prepotenti chiedendo un salato prezzo da pagare. Il bivio morale ed etico di fronte al quale si ritrovano gli adulti del film, li divora e li macera ma facendo emergere il lato oscuro e nascosto, quello più occulto, l'istinto di autoconservazione che prevale infine sui sentimenti e sul ruolo di genitore. Le debolezze umane hanno il sopravvento, l'egoismo, la voglia di vivere, la paura dell'ignoto e della morte spingono i protagonisti all'interno di una spirale di violenza e paranoia che raggiungono l'apice nella crudele, drammatica e intensa scena finale.
Ci si ritrova così ad avere un film inusuale, uno dei tanti a cui Lanthimos ci ha abituati, che riesce ad andare oltre le apparenze, scavando oltre la superficie e che riporta in primo piano non solo un pezzo della classica drammaturgia greca, ma riproponendo in chiave moderna i dubbi, le paure, i dilemmi, le angosce che investono i protagonisti di una tragedia inevitabile.
La regia lucida di Lanthimos, dai limpidi richiami Kubrickiani, è perfetta per trasportarci in questo incubo, psicologico e visivo, angosciante ed inquietante sostenuto dall'utilizzo di una fotografia impressionante, nitida, fredda e distante che paradossalmente enfatizza il dramma psicologico.
Merito anche dei bravissimi ed indiscussi interpreti. Colin Farrell e Nicole Kidman in primis, che risultano convincenti e impegnati, pur non avendo nulla da dimostrare riguardo il loro talento. Farrell comunque, spicca notevolmente anche in questa pellicola, dimostrando la maturità non solo anagrafica ma interpretativa, donando spessore al personaggio di Steven divorato dai sensi di colpa e successivamente logorato dalla scelta che deve compiere. Notevole anche il giovane Keoghan che si destreggia benissimo nei panni di un adolescente problematico, e personificazione della vendetta divina.
Curato esteticamente, The Killing... mette in scena un'allegorica parabola su una società disfunzionale (fulcro del quale è la famiglia borghese), un dramma psicologico intenso e logorante che si materializza come un incubo lucido ed estremamente vivido che (im)pone una riflessione sul peso delle proprie colpe ed errori, sulla giustizia e/o nemesi divina che ricompone gli equilibri spezzati e sul senso del sacrificio inteso sia in modo figurato che letterale. In questa dimensione, costruita impeccabilmente da Lanthimos e Filippou, le persone non sono altro che inermi prigionieri del destino costrette ad accettare le conseguenze delle proprie azioni passate, senza poter intervenire o modificare lo stato delle cose. Lo spettatore diventa complice osservatore di questo gioco, crudele e talvolta sadico, ma non può che apprezzare la maestria tecnica e narrativa dell'opera. Voto: 4/5.
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gianleo67
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lunedì 8 gennaio 2018
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ifigenia in cincinnati
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La benevolenza ed i regali che il cardiochirurgo Steven elargisce all'adolescente Martin, nascondono una scomoda verità che riguarda la professione dell'uomo, la famiglia del ragazzo e le responsabilità che quest'ultimo sembra attribuirgli. Quando la manifestazione di inspiegabili infermità inizia a colpire i due giovani figli del medico, le inquietanti minacce di Martin diventano sempre più concrete e con esse la terribile decisione che Steven dovrà prendere sul destino della propria famiglia. Le ambizioni sono alte, ma gli strumenti spuntati per questo adattamento cinematografico di un soggetto classico che la premiata ditta Lanthimos-Filippou decide di mettere in scena sulla natura del collante che tiene insieme la famiglia borghese, sempre alla ricerca di una esibita teatralità dell'assurdo in cui la lettura nuda e cruda dei fatti rimanda chiaramente ad una significato altro, al senso di una esplicita confessione di intenti che viene messa in bocca al giovane deus ex machina della situazione: " Capisci? E' metaforico.
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La benevolenza ed i regali che il cardiochirurgo Steven elargisce all'adolescente Martin, nascondono una scomoda verità che riguarda la professione dell'uomo, la famiglia del ragazzo e le responsabilità che quest'ultimo sembra attribuirgli. Quando la manifestazione di inspiegabili infermità inizia a colpire i due giovani figli del medico, le inquietanti minacce di Martin diventano sempre più concrete e con esse la terribile decisione che Steven dovrà prendere sul destino della propria famiglia. Le ambizioni sono alte, ma gli strumenti spuntati per questo adattamento cinematografico di un soggetto classico che la premiata ditta Lanthimos-Filippou decide di mettere in scena sulla natura del collante che tiene insieme la famiglia borghese, sempre alla ricerca di una esibita teatralità dell'assurdo in cui la lettura nuda e cruda dei fatti rimanda chiaramente ad una significato altro, al senso di una esplicita confessione di intenti che viene messa in bocca al giovane deus ex machina della situazione: " Capisci? E' metaforico. Il mio esempio. E' una metafora. Voglio dire, è simbolico". ...e ce lo siamo capito... Ad essere onesti il problema è esattamente inverso: a differenza del piano puramente allegorico della rappresentazione di una incomunicabilità umana e delle disfunzionalità familiari delle opere precedenti, Lathimos si sposta nei più canonici territori del thriller metafisico che oscilla tra la minaccia di una incombente manifestazione del sacro nella desolazione morale di una borghesia in grado di temerlo, ma incapace di comprenderlo (Teorema) e l'ambiguità di una plausibile spiegazione razionale che sembra refrattaria a qualunque risoluzione deterministica. Nel raggelante distacco della messa in scena , nella grottesca accondiscendenza dei personaggi, nella catatonica accettazione di surreali dinamiche relazionali, la cifra di un linguaggio sospeso tra l'apologo morale e la favola nera in cui forse il regista greco segna il passo di una maniera che finisce troppo spesso per scimmiottare sè stessa. Va da sè che gli ingredienti di un cinema che finora ha avuto più sostenitori che detrattori, ci sono tutti: Il senso di colpa di un peccato inconfessabile, la trasgressione del sacrale rispetto per la natura che impone rituali di espiazione, i doni da offrire in pegno (l'orologio, che pero', viene subito ricambiato), persino minacciose divinita adolescenti da ingraziarsi.
l film si apre con l'animale impazzito che si divincola al centro del campo chirurgico di un'operazione a cuore aperto; l'immagine forte di una responsabilità della tecnica che richiede i più elevati valori etici ed una irreprensibile condotta professionale, quella di un cardiochirurgo materialista e ordinario alle prese con la manifestazione reale di una mistica nemesi morale. Il cuore come sede dell'anima e gli occhi come lo specchio in cui questa si riflette, rimandano ad un senso di sacralità della vita che la moderna civilta dei consumi, delle comode villette con giardino, delle lezioni di piano e delle scuole di lusso sembra avere smarrito. Perfino il il sesso, come spesso nel cinema di Lathimos, è utilizzato in modo meccanico e strumentale, quale mezzo di comunicazione di realtà inconciliabili (le perversioni tanatoerotiche della coppia di professionisti, la madre di Martin che si offre al chirurgo, Martin che incuriosisce il figlio e circuisce la figlia, la prosaica discussione sui caratteri sessuali secondari, pure il do ut des di una masturbazione in auto, sic!), compreso il tentativo di una entità sovrannaturale di trasfigurarsi nella comprensibilità del linguaggio e delle relazioni umane senza mai però entrarvi in relazione diretta.Al centro di tutto, il fulcro di una di una inesorabile progressione del meccanismo drammatico nel quale l'espiazione sembra avere lo stesso rango della colpa cui porre rimedio e per questo e tanto più terribile e irrevocabile; una tragedia grottesca di crudeltà medievale e di richiami classici ambientata nel rassicurante idillio della periferia di Cincinnati. Anche il tentativo della madre all'ultima spiaggia di contrattare la salvezza della prole si converte nella confessione di una ineluttabilità della condanna che fa ricadere sui figli la colpa dei padri ("Non so se quello che sta accadendo sia giusto, ma e l'unica cosa che riesco a concepire che si avvicini alla giustizia"). Il senso di precarietà della propria condizione da rimettete al giudizio altrui diventa la stura per le miserie, gli egoismi e le meschinità che dividono il sangue, contrappongono gli intetessi e disgregano l'unita familiare: moglie contro marito, fratello contro sorella, padre contro figli, persino madre contro figli in un surreale gioco al massacro del si salvi chi puo': una metafora della sommatoria di egocentrismi che compone il puzzle familiare secondo Lathimos e del sacrificio dell'innocenza che la tiene insieme; fino alla terrificante roulette russa di una esecuzione alla cieca che rinnova nella parabola di Isacco (più che nel mancato auto da fè di Ifigenia) la sottomissione dell'uomo ad una volubile divinità in scarpe da tennis. Ex aequo con You Were Never Really Here per il Prix du scénario al Festival di Cannes 2017 e premio della critica al Sitges - Catalonian International Film Festival 2017.
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