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lunedì 9 luglio 2018
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orrendo
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Un film inguardabile a tratti tragicomico. Gli attori sembrano aver perso improvvisamente la capacità di saper recitare
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fabio
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lunedì 9 luglio 2018
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si può perdere al cinema
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Lanthimos guarda a Kubrik ma col telescopio: siamo davvero lontani. Non bastano un po' di inquadrature eccentriche, semplicemente non possiede la stessa capacità visionaria del maestro; Il confronto non puo' che deludere. Idem per la scelta del commento sonoro che risulta artificiale ed eccessivo.
La prima parte del film è la meglio riuscita; ricorda più i thriller alla Stephen King (la maledizione del vecchio gitano sull'avv. di successo ne "L'occhio del male"): c'è suspence e lo spettatore viene catturato in modo efficace.
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Lanthimos guarda a Kubrik ma col telescopio: siamo davvero lontani. Non bastano un po' di inquadrature eccentriche, semplicemente non possiede la stessa capacità visionaria del maestro; Il confronto non puo' che deludere. Idem per la scelta del commento sonoro che risulta artificiale ed eccessivo.
La prima parte del film è la meglio riuscita; ricorda più i thriller alla Stephen King (la maledizione del vecchio gitano sull'avv. di successo ne "L'occhio del male"): c'è suspence e lo spettatore viene catturato in modo efficace. Poi si cominciano a vedere i limiti, qualcosa scricchiola.
Il mito di Ifigenia, nella traduzione moderna che guarda in modo critico la famiglia quale sorta di opprimente sovrastruttura ideologica, ne esce stravolto; con esiti a volte stucchevoli (vedi i dialoghi a tavola tra i membri della famiglia) a volte imbarazzanti (il finale mod. "roulette russa" è penoso).
La recitazione è quel che è: Farrell inespressivo più del solito, la Kidman, che come attrice trovo molto sopravvalutata, una sfinge. Anche Keoghan non convince: stralunato. Gli altri offrono una prova sufficiente.
Per me "The Lobster" era stato il film dell'anno, un vero capolavoro; poi uno come Lanthimos o lo ami o lo odi ed io continuerò a seguirlo nonostante questa prova deludente. Agli altri dico di risparmiare soldi e tempo.
Ad maiora!
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annabazzari
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domenica 8 luglio 2018
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da non perdere!
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Che dire?richiami kubrikiani e fassbinderiani a parte...una vera tragedia greca in chiave moderna...un capolavoro!
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sinistrorso
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sabato 7 luglio 2018
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lettera a una buona recensione
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Poichè come diceva qualcuno, la rete dà spazio a legioni di imbecilli, sulle prime non ho voluto ascoltare le tue parole.
Ora che però ho veduto il film sento di dovermi in qualche modo sdebitare.
Non soffocare più, te ne prego, il tuo sentire nell'angusto modello di una recensione. Se non per soldi o per altra materiale ricompensa, lasciane il gusto ai tuoi detrattori.
Da come scrivi devi essere giovane Samanta. E non per la prosa o per contenuti da compito in classe (che possono essere da 3 come da 10). Non quindi per il come ma per il perchè scrivi. Perchè spinta da qualche forte motivazione ci metti spontaneità e sincerità (che fanno sempre il paio con giovinezza).
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Poichè come diceva qualcuno, la rete dà spazio a legioni di imbecilli, sulle prime non ho voluto ascoltare le tue parole.
Ora che però ho veduto il film sento di dovermi in qualche modo sdebitare.
Non soffocare più, te ne prego, il tuo sentire nell'angusto modello di una recensione. Se non per soldi o per altra materiale ricompensa, lasciane il gusto ai tuoi detrattori.
Da come scrivi devi essere giovane Samanta. E non per la prosa o per contenuti da compito in classe (che possono essere da 3 come da 10). Non quindi per il come ma per il perchè scrivi. Perchè spinta da qualche forte motivazione ci metti spontaneità e sincerità (che fanno sempre il paio con giovinezza).
E allora a te e a quelli come te dico: scrivi un soggetto, un racconto, una commedia, poesie, dai vita a dei personaggi, buttati su un romanzo e su qualsiasi altra cosa che non possa ricevere un "sono d'accordo" o " non sono d'accordo", un "mi piace", un "like"...
In questo senso mi allineo anche io alle critiche che hai ricevuto. Non limitarti a recensire Lanthimos come Fellini. Da autrice misureresti sans dire il valore del tuo pensare.
Mi auguro possa un giorno mettere in gioco la tua creatività, la parte più profonda di te, con la segreta speranza che davvero da qualche altra parte tu già lo faccia.
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vanessa zarastro
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venerdì 6 luglio 2018
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una "perfetta" famiglia di medici
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“The Killing of a Sacred Deer”, il film del regista greco Yorgos Lanthimos, può essere considerato una commedia dark che ma mano vira nell’horror. Molte sono le cose che ci sono dentro, che però non appesantiscono la visione scandita e precisa del racconto. Ci sono dentro i miti greci, la vita e la morte, il concetto di colpa e di giustizia, l’espiazione, la vendetta, il destino, i complessi rapporti genitoriali, le gelosie e gli innamoramenti adolescenziali.
Teatro di tutta la vicenda è una splendida Cincinnati, una città con tanti ponti sull’Ohio River, con meno di 300.000 abitanti, rappresentata nel film piena di sole nella fotografia di Thimios Bakatakis.
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“The Killing of a Sacred Deer”, il film del regista greco Yorgos Lanthimos, può essere considerato una commedia dark che ma mano vira nell’horror. Molte sono le cose che ci sono dentro, che però non appesantiscono la visione scandita e precisa del racconto. Ci sono dentro i miti greci, la vita e la morte, il concetto di colpa e di giustizia, l’espiazione, la vendetta, il destino, i complessi rapporti genitoriali, le gelosie e gli innamoramenti adolescenziali.
Teatro di tutta la vicenda è una splendida Cincinnati, una città con tanti ponti sull’Ohio River, con meno di 300.000 abitanti, rappresentata nel film piena di sole nella fotografia di Thimios Bakatakis. Più della metà delle scene sono girate nel Christ Hospital dove lavora un cardiochirurgo - Steven Murphy interpretato dall’impeccabile Colin Farrell - che sembra la personificazione di un perfetto borghese: vive in una villa unifamiliare suburbana, ha una bella moglie oftalmologa Anna (Nicole Kidman), una figlia adolescente Kim e un figlio più piccolo Bob (Raffey Cassidy e Sunny Suljic). La sua casa è fredda e “sterile”, arredata con un terribile gusto borghese, con mobili falso antichi e pesanti tende alle finestre, senza alcun tocco della mano di un architetto. La stanza da letto matrimoniale ha un pesante letto a baldacchino (citazione de “L’Esorcista”?) quasi un altare sacro. “Il sacrificio del cervo sacro” è una farsa macabra piena di paradossi, cui il regista del bizzarro “The Lobster” del 2015 ci ha abituato, narrati con una sconvolgente fissità di sguardo e compiacimento del grottesco. Infatti, né il film né i componenti della famiglia hanno alcunché di empatico e il racconto è svolto con un occhio freddo e distaccato, girato con carrelli indietro e lenti zoom in avanti, con stranianti grandangoli e campi lunghi.
Steve ha preso a protezione Martin (Barry Keoghan), il figlio sedicenne di un suo paziente deceduto a seguito di un suo intervento (si scoprirà poi che probabilmente era ubriaco). Ha un rapporto ambiguo con il ragazzo, un po’ protettivo e un po’ reverenziale. Gli compra un orologio da sub piuttosto caro e sembrerebbe non saper dire di no alle sue richieste. Lo incontra di nascosto dalla famiglia in squallidi bar di sapore hopperiano, quasi un amante furtivo. Man mano, per gratificarlo, Steve lo invita in casa e gli fa conoscere moglie e figli con i quali Martin stringe amicizia. In particolare con Kim sembra nascere anche un flirt.
Ma Martin sembra avere dei poteri demoniaci e minaccerà di morte tutta la famiglia del cardiochirurgo se lui non ne sacrificherà un membro, come risarcimento per la morte del padre. Per di più ha un insano desiderio di far accoppiare Steve con sua madre (Alicia Silverstone), nel frattempo dimagrita e “in tiro”. In tal modo il nucleo familiare della perfetta coppia di medici si inizia a frantumare fino ad assumere i toni di una tragedia greca – non a caso i critici parlano del sacrificio di Ifigenia di Euripide (ma forse c’è anche un riferimento al dio Saturno). Ma per assurdo, la minaccia riunisce i membri della famiglia che iniziano a essere meno perfetti e più umani: le voci si alzano, si urla e si piange, si romperanno piatti e bicchieri, si solidificano i rapporti tra figli e genitori – «Chi è il tuo migliore amico?» chiede Steve a suo figlio Bob – e Steve diventa perfino offensivo con i colleghi che non riscontrano alcuna malattia nei figli diventati ormai paraplegici. Perfino gli ingenui figli cambieranno sotto minaccia e faranno a gara per compiacere spudoratamente il padre, nel tentativo di salvarsi la vita.
Il gusto macabro e le scene sadiche fanno parte del repertorio formale di Lanthimos che qui fa il verso a Kubrick nel riprendere le scale mobili dall’alto e i lunghi corridoi vuoti in prospettiva centrale – ricordate l’albergo di “Shining”? Anche nelle scelte musicali Yorgos Lanthimos si rifà ai gusti di Stanley Kubrick: il minuto di buio iniziale è sottolineato da Sabat Mater di Franz Schubert, poi le scene saranno accompagnate da brani di Gyorgi Ligeti o da cori bachiani. Un altro regista che i critici associano a Lanthimos è l’austriaco Michael Haneke per la sua crudezza e per il suo cinismo. A mio avviso, il regista greco possiede un lato tragicomico – forse un po’ meno evidente in questo film rispetto ai precedenti - che gli altri non hanno, né vogliono avere. Basti pensare alle scene in cui i bambini paraplegici strisciano per terra e Kim addirittura scende le scale e se va in giro nel prato, oppure la scena in cui Anna - impietosita o supplicante? – bacia i piedi feriti di Martin come la Vergine Maria quelli del Cristo deposto. È proprio questo lato grottesco che impedisce di catalogare il film come horror. L‘unica regista che si può accomunare a Lanthimos, è la sua amica Athina Rachel Tsangari che, nel suo film “Attennberg” del 2010 fa recitare proprio Yorgos Lanthimos e sua moglie l’attrice Arian Labed, che per questo film ha vinto la Coppa Volpi a Venezia. Stessa visione distaccata, stessi temi di malattia, morte e anaffettività, stesso fotografo di scena.
Al Festival di Cannes del 2017 il film ha condiviso ex aequo il premio per la miglior sceneggiatura – scritta da Yorgos Lanthimos con Efthymis Filippou - con “A Beautiful Day” di Lynne Ramsay. Bravi gli attori, perfino Nicole Kidman che, dopo anni di film sbagliati, torna finalmente a un buon livello recitativo.
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fabriziobaldi
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giovedì 5 luglio 2018
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bello e terribile!
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L'angoscia che riesce a trasmettere con più mezzi è fantastica. Affronta temi fortissimi, come l'onnipotenza, il senso di colpa, la trasmissione della colpa, l'istinto vitale, la superstizione, l'idolatria, la giustizia umana, pagana, primitiva e ancestrale, che non è capace di immaginare misericordia. Non svelerei nulla della trama, anche se si intuisce dove vada a finire, perché i protagonisti sono prigionieri degli eventi.
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johnny1988
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giovedì 5 luglio 2018
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la macumba
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Dunque, mosso innanzitutto dalla presenza della Kidman prima ancora del film, ho visto IL SACRIFICIO DEL CERVO SACRO (a cui dedico il sottotitolo: LA MACUMBA). ATTENZIONE AGLI SPOILER sotto!
Ora, al di là che la Kidman senza filtri e senza veli appare ANCORA tonica e liscia come nel '99 ai tempi di Kubrick e questo (forse) basta a pagare il biglietto, meno certezze mi ha lasciato il suo regista, un greco, che di greci ora fa tanto trandy dissertare tanto ai festival quanto alla UE.
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Dunque, mosso innanzitutto dalla presenza della Kidman prima ancora del film, ho visto IL SACRIFICIO DEL CERVO SACRO (a cui dedico il sottotitolo: LA MACUMBA). ATTENZIONE AGLI SPOILER sotto!
Ora, al di là che la Kidman senza filtri e senza veli appare ANCORA tonica e liscia come nel '99 ai tempi di Kubrick e questo (forse) basta a pagare il biglietto, meno certezze mi ha lasciato il suo regista, un greco, che di greci ora fa tanto trandy dissertare tanto ai festival quanto alla UE.
Yorgos Lanthimos ha fatto parlare molto di sé sulla scena internazionale negli ultimi anni (per chi lo desidera, recuperi almeno THE LOBSTER). A me, e non solo, questi appare un po' il Sorrentino dell'altra costa, iperbolico, simbolico, allegorico, illogico e un po' anarchico. Un sacco di -ico. C'è a chi piace perché non si capisce una mazza, c'è a chi non piace perché... non si capisce una mazza.
Poi ci sono gli indecisi, quei maledetti vagabondi della terra di nessuno, relativisti e cerchiobottisti, che dicono tutto il contrario di tutto, ma che speculano arbitrariamente. Eccomi, io, a testa china, che mi accodo come uno svizzero in questa fascia di pubblico.
Per farla breve: IL SACRIFICIO DEL CERVO SACRO è una rivisitazione liber(issim)a della tragedia di Ifigenia, sacrificata dal padre per placare la rabbia divina. E fin qui tutto bene. Bisogna accettare aprioristicamente che l'assurdo, la metafisica irrompente non devono rispettare pedissequamente una congruenza narrativa. La trama pone al centro il rapporto misterioso, quasi morboso, fra un sedicenne stalker e un cardiochirurgo che cerca, nel suo piccolo, di espiare un profondo senso di debito nei riguardi del giovane, rimasto orfano del padre dopo un intervento non riuscito. In qualche modo, il ragazzo si insinua nella famiglia del medico e ne turba disastrosamente l'armonia, fino a culminare, come suggerisce il titolo, in un sacrificio vero e proprio. Un sacrificio che paghi il prezzo di una perdita, quella del padre del ragazzo, e che ristabilisca l'equilibrio "cosmico" fra le parti. Insomma, una vita per una vita.
Il film è tutto strutturato sulla logica della vendetta, premeditata, lenta, servita come un piatto freddo. E a proposito di piatti, qui si apre uno dei tanti spunti simbolici che articola il tessuto della storia. Il cibo come nutrimento vitale, la vita stessa che diventa una merce di scambio, l'assenza di linfa vitale che sembra svuotare tutti i personaggi, che potano le siepi, cantano, fanno l'amore, ma inanimati e senza gioia. Dove vorrà mai portarci la letteratura metafisica di Lanthimos? Tutte domande quelle che la pellicola propone, lo scontro atavico del LOGOS e dell'IGNOTO, l'apollineo annichilente e il dionisiaco folle che caratterizzano l'umanità occidentale, lo svuotamento disforico dello spirito umano nell'ipermoderno, la sottolineatura - anche linguistica, propria dell'inquadratura, fredda, sicura, meccanica quasi KUBRICKIANA - che si aprono sì a mille congetture plausibili, ma che lasciano anche molto spazio alla risata involontaria. Colpa forse di una sceneggiatura ben ideata, ma tendenzialmente raffazzona nella stesura.
Tutto è talmente assurdo che si cerca di recuperare la logica da quel (poco) che ci sembra agguantabile.
Il piccolo stalker psicolabile e morboso pare tirare le iazze pesanti alla famiglia del medico a cui vuole far pagare la morte del padre (ma chi era, che sappiamo di lui? boh, non ha importanza).
Il medico reo confesso della morte del paziente, il padre defunto del piccolo stalker psicolabile e morboso, deve trovare una soluzione per fermare il piccolo verme che gli ha tirato la macumba, a lui e a tutta la famiglia, i cui membri, per ragioni cliniche inspiegabili, si ammalano fatalmente (ma nessuno pensa a grattarsi le palle, giusto per scaramanzia).
La moglie del medico - finalmente la Kidman liquida le smorfie irritanti degli ultimi 13 anni e abbraccia una recitazione degna del suo calibro - è anch'essa un medico, fredda, calcolatrice, sveglia, brava a fare tutto, da una limonata da chef a prendersi cura dei figli moribondi mentra fa l'amore con il medico, il quale, mesto e pensoso, deve trovare una soluzione alla questione spinosa della sfiga iettatrice sotto il suo tetto.
In conclusione, malgrado il film ti sappia tenere col fiato sospeso fino in fondo (bisogna dare il merito al povero Lanthimos, che guarda nostalgico ad Haneke, Kubrick e Von Trier), ti lascia tuttavia incompleto, con uno psicosomatico prurito ai genitali e un desiderio istintivo di eliminare per sempre dalla dieta il glutine - vedere la scena degli spaghetti per rivivere tale horror -, forse uno degli elementi "cosmici" a cui si devono i poteri paranormali dello stronzetto stalker.
Ora, al di là di tutto, bisogna essere pazienti e meno irriverenti quando non si capiscono le cose. Io mi permetto di sdrammatizzare quando e quanto posso, un po' perché penso non si debba prendersi troppo sul serio, un po' per nascondere una mia possibile impreparazione intellettuale.
Ma se vedo il medico, ridotto all'ultimo a compiere la grande scelta su quale membro della famiglia sacrificare e girare a occhi chiusi su se stesso con un fucile in mano e giocare alla roulette russa, mi fa pensare due cose: o che siamo davvero a un punto storico in cui bisogna rivalutare con attenzione il prezzo della vita, o che, come capita spesso ultimamente altrove, potrebbe essere questo un autoritratto del regista mentre cercava un finale col botto.
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flyanto
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giovedì 5 luglio 2018
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un enfant terrible
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Dopo “The Lobster”, ritorna nelle sale cinematografiche il regista Yorgos Lanthimos con un altro film altrettanto particolare, intitolato “Il Sacrificio del Cervo Sacro”.
La storia ruota tutta intorno ad una coppia benestante di affermati medici (Colin Farrell e Nicole Kidman) con due figli, una ragazza adolescente ed un bambino. In apparenza è una famiglia perfetta, equilibrata, che va d’accordo e, pertanto, senza grandi discussioni, la quale provvede e vige molto attentamente sui propri ragazzi, impartendo loro mansioni da svolgere e seguendoli direttamente nelle attività scolastiche ed extra scolastiche con l’obiettivo di un miglioramento sempre crescente.
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Dopo “The Lobster”, ritorna nelle sale cinematografiche il regista Yorgos Lanthimos con un altro film altrettanto particolare, intitolato “Il Sacrificio del Cervo Sacro”.
La storia ruota tutta intorno ad una coppia benestante di affermati medici (Colin Farrell e Nicole Kidman) con due figli, una ragazza adolescente ed un bambino. In apparenza è una famiglia perfetta, equilibrata, che va d’accordo e, pertanto, senza grandi discussioni, la quale provvede e vige molto attentamente sui propri ragazzi, impartendo loro mansioni da svolgere e seguendoli direttamente nelle attività scolastiche ed extra scolastiche con l’obiettivo di un miglioramento sempre crescente. La vita della famiglia, insomma, sembra tutta strutturata ed improntata ad ottenere costantemente il meglio in ogni suo aspetto senza possibilmente alcuno sbaglio o cedimento. Il marito nel contempo si incontra con un adolescente a cui fa dei regali costosi, con cui passeggia per le strade e per l’ospedale presso cui egli lavora, finchè non lo presenta, in qualità di aspirante medico, alla propria famiglia. Da questo momento il ragazzo, che, peraltro, dietro un’apparente gentilezza nei modi e nelle parole rivela uno sguardo di una persona disturbata mentalmente, inizia a frequentare la figlia del medico e si fa ben volere dal fratellino di lei. In breve tempo, però, la situazione precipita in quanto comincia ad ammalarsi seriamente ed inspiegabilmente il piccolo della famiglia, seguito a ruota dalla sorella cosicchè per entrambi dei quali, sembra non vi sia più alcun rimedio. E’ a questo punto che il padre confessa all’equilibrata e perfetta moglie il suo terribile segreto….
Svelare la fine, seppure immaginabile, non è corretto e pertanto si tralascia la parte conclusiva del film in cui si spiega chiaramente l’andamento dell’intera vicenda che prende spunto direttamente dalla tragedia classica di “Ifigenia in Aulide” di Euripide. Il regista Lanthimos, in pratica, trasporta l’opera o, più precisamente, il concetto espresso dall’autore greco ai giorni nostri, caricandola di metafore, però, poco comprensibili perché occorrerebbe effettivamente conoscere bene il testo originale. Nel complesso le scene sono tecnicamente ben girate (sebbene molte di esse riprendano quelle di Stanley Kubrik) e l’andamento della storia risulta ben scandito e lineare ma il regista ‘pecca’ grandemente di astrusità e di una complessità eccessive da svilire la propria pellicola e renderla soltanto gratuitamente pretenziosa. Lanthimos non è un regista diretto: tutte le sue opere vengono caricate di significati ed immagini ricercate per consegnare allo spettatore in maniera contorta il proprio messaggio e la propria concezione negativa sulla natura umana ingenerale. Ne ”Il Sacrificio del Cervo Sacro” , in conclusione, Lanthimos ribadisce la sua visione pessimistica sugli uomini e, come, appunto, in una tragedia classica, il concetto che ad una perdita, o sconfitta, ne deve corrispondere immediatamente un’ altra al fine pareggiare i conti, altrimenti si verificheranno altre più serie calamità. Se tale tipo di “giustizia”, poi, possa attuarsi, come rappresentato in questo contesto, è un’altra questione che ha poco a che fare con la realtà vera e propria di tutti i giorni.
Interessante, ma c’è di meglio.
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popidemadrid
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giovedì 5 luglio 2018
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pesima
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Paura psicologica fatta con la musica, è un film con un argomento bruto e con delle cose che non c’entrano niente tipo il segreto che racconta il papa al figlio o la manualità di NK... ho perso il tempo vedendolo
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carloalberto
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mercoledì 4 luglio 2018
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tragedia onirica di un io adolescente
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Yorgos Lanthimos ci fa viaggiare nelle paure e nei desideri inconsci di un adolescente, mettendo in scena il dramma dell’io diviso tra il senso di colpa per il desiderio incestuoso della madre e della morte del padre e la paura di essere ucciso o castrato dal padre. Le inquadrature dal basso e dall’alto, le riprese dal di fuori, fuori della stanza d’ospedale, fuori della villa, l’obiettivo posto fuori da dove accade il dramma e che dal di fuori guarda dentro, riproducono la dinamica dell’immaginazione onirica ed il suo tipico senso di estraniamento e di angoscia, per cui chi sogna assiste come spettatore impotente a quello che avviene essendone al contempo il protagonista.
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Yorgos Lanthimos ci fa viaggiare nelle paure e nei desideri inconsci di un adolescente, mettendo in scena il dramma dell’io diviso tra il senso di colpa per il desiderio incestuoso della madre e della morte del padre e la paura di essere ucciso o castrato dal padre. Le inquadrature dal basso e dall’alto, le riprese dal di fuori, fuori della stanza d’ospedale, fuori della villa, l’obiettivo posto fuori da dove accade il dramma e che dal di fuori guarda dentro, riproducono la dinamica dell’immaginazione onirica ed il suo tipico senso di estraniamento e di angoscia, per cui chi sogna assiste come spettatore impotente a quello che avviene essendone al contempo il protagonista. Utilizzando, come Kubrick la musica suggestiva di György Ligeti (2001: Odissea nello spazio), Lanthimos assume come punto di vista privilegiato il vissuto onirico di un sedicenne per rappresentarne soggettivamente il superamento del conflitto edipico con il padre, il cervo sacro, ucciso nel sogno, al posto di quello reale, come per l’Ifigenia di Euripide, per accedere all’età adulta. Nel sogno si realizzano, mediante il meccanismo della sostituzione, i desideri repressi del protagonista. Il padre reale, probabilmente ubriacone e autoritario, con pochi soldi e senza fortuna, viene sostituito da un chirurgo di successo, che ne conserva però alcuni tratti reali, l’alcolismo e la violenza. Con questo padre immaginario ha un rapporto affettuoso, fatto di regali reciproci ed abbracci, ma, come nella realtà, anche conflittuale. Conflitto che, attraverso crescenti incomprensioni, si drammatizza in uno scontro violento e sanguinoso, fatto di punizioni corporali, inflitte dal padre, ricambiate con punizioni psicologiche dal figlio. Altra sostituzione avviene con il padre idealizzato, il chirurgo che, nel sogno, è incestuosamente desiderato dalla madre.
Una famiglia normale, padre(Colin Farrell), madre (Nicole Kidman) e figlia adolescente seduti ad un tavolo di un anonimo pub, la ragazzina mangia patatine fritte e vi spruzza sopra del ketchup, entra un ragazzo, si siede al bancone e mangiando qualcosa inizia ad osservare la famiglia. La ragazza, uscendo dal locale, si volta e, per un attimo, lancia uno sguardo ammiccante ed insieme innocente al ragazzo seduto al bancone(Barry Keoghan). E’ la sequenza finale e da quel punto inizia il racconto ovvero il viaggio nella psiche di un adolescente. Il colore intenso del ketchup spruzzato sulle patatine richiama il rosso vivo del sangue, nella prima inquadratura, di un’operazione a cuore aperto, sulle note dello Stabat mater di Schubert, dopo una scena di buio totale che apre il film e simboleggia la fase preonirica. Come in un sogno, si ricostruisce a ritroso tutta la storia e, allora, dall’immagine dell’operazione a cuore aperto nascono le altre rappresentazioni: il padre della ragazza è chirurgo, la famiglia ricca vive in una bellissima casa, la moglie si offre nel talamo, fingendosi anestetizzata sul tavolo operatorio, come soltanto può immaginare l’eros ingenuo di un adolescente. Senza accorgercene, da subito, sin dalla prima scena, siamo immersi nel sogno, nella rappresentazione tragica del suo mondo interiore. Il ragazzo vorrebbe vivere in quella famiglia, vi soggiorna come ospite, vive quelle atmosfere familiari, che gli risultano estranee ed al contempo rinviano nell’inconscio alla sua famiglia reale, al rapporto conflittuale col padre. Il padre sarà punito e, obbligato a scegliere un membro della propria famiglia da sacrificare, ucciderà il figlio. Nel meccanismo onirico della sostituzione, il protagonista si rappresenta duplicemente nel padre idealizzato, il chirurgo che ha ucciso per errore il padre reale, e in suo figlio. Quindi, quando il chirurgo uccide il figlio, simbolicamente è rappresentata l’eliminazione dell’io adolescenziale da parte dell’io adulto. Così è superato il conflitto edipico. Tornando alla scena finale, il ragazzo entrato nel bar come adolescente, ricambia, ora, lo sguardo della ragazza come uomo. Nello spazio di tempo di qualche minuto, che per noi spettatori è durato quasi due ore, si è svolto il dramma dell’io e la sua trasformazione.
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[+] grazie della spiegazione
(di eles)
[ - ] grazie della spiegazione
[+] un riflesso lucidamente spietato dei nostri tempi
(di tom87)
[ - ] un riflesso lucidamente spietato dei nostri tempi
[+] in altre parole......
(di francesco2)
[ - ] in altre parole......
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