onufrio
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martedì 9 aprile 2019
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sibilia ad honorem
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"Ad Honorem" è il naturale proseguimento del capitolo secondo (Masterclass). Pietro Zinni è convinto che Walter (Luigi Lo Cascio) voglia fare un attentato usando il gas nervino; tramite l'aiuto del temibile (ma non troppo) Murena, Zinni architetta la fuga dal carcere di Rebibbia assieme a tutta la banda, pronta a sventare l'attentato. Degno capitolo conclusivo della saga di Sibilia che porta una ventata di novità nel panorama del cinema italiano.
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felicity
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venerdì 16 novembre 2018
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un unicum nel panorama del cinema italiano
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Questo terzo capitolo è migliore del secondo, ma inevitabilmente meno innovativo del primo.
E' l'ultimo atto della trilogia che fa dell'evasione una necessità per i suoi protagonisti e per gli spettatori.
Raccoglie i frutti dei precedenti film e riesce in pochi minuti a riportare gli spettatori (anche se il film può essere visto da solo senza problemi) nelle atmosfere dei primi due capitoli.
Atmosfere, colori saturi, musica, senso di leggerezza, azione e una mitologia del nerdismo che costituisce il vero e proprio carattere della trilogia.
Un unicum nel panorama del cinema italiano.
Da vedere.
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alejazz
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lunedì 14 maggio 2018
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continua l'avventura dei ricercatori-ricercati
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Continua la saga dei ex-ricercatori che pur lavorando in altri settori hanno nel cuore ancora la forte passione per la ricerca scientifica. Antigonista d'eccezione Luigi Locascio che si presta molto bene al suo ruolo di oppositore alla banda dei ricercati-ricercatori.
Trama carina e bravi gli attori che riescono a regalare bei momenti al pubblico. Edoardo Di Leo cresce professionalmente sempre più.
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liuk
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sabato 17 marzo 2018
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buono
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Peggio del primo e meglio del secondo. Non molto altro da aggiungere. La trilogia è buona, ma sei due sequel se ne poteva fare a meno.
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mercoledì 3 gennaio 2018
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inutile
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film pessimo , prevedibilissimo e con un messaggio finale fastidioso
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emanuele1968
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sabato 30 dicembre 2017
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ottimo
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Ottimo film italiano, ben fatto, tutti bravi, merita di vederlo, forse il titolo << smetto quando voglio >> confonde, ma va bene cosi.
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xerox
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domenica 24 dicembre 2017
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la trilogia italiana che spazza il 90% del cinema
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....americano! Bellissimo film, bellissima trilogia, bellissimo gruppo di attori! L'unico nome che faccio è quello di Stefano Fresi, che personalmente mi sta simpaticissimo! Non focalizzerei l'interesse sulla storia che è un po' improbabile, ma su questo splendido gruppo di attori che sono di una simpatia travolgente... (I bisticci tra i latinisti non si dimenticano...) E quanti riferimenti alla nostra misera realtà italiota. Riferimenti non da bar, o da chiacchiera di treno. Apprezzabilissima la scelta dei brani della colonna sonora. Trilogia da mettere in bella evidenza nella videoteca di casa. EVVIVA IL CINEMA ITALIANO BEN FATTO!!!
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lucyspe
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martedì 19 dicembre 2017
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bellissimo! la banda che non delude mai
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Film bello e divertente. Attori bravissimi. Consiglio di andarlo a vedere fa ridere e riflettere.
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loland10
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domenica 17 dicembre 2017
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gas...poco nervino
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“Smetto quando voglio. Ad honorem” (2017) è il terzo lungometraggio del regista campano Sidney Sibilia.
La trilogia del 'fuggire' per 'rientrare' come lavorare inventandosi dopo studi ed esami universitari (o vicino a quelle parti) si conclude. Per una locuzione di meriti e demeriti finali.
Una pellicola che stancamente arriva ad un epilogo scimmiottando, non molto bene, gli eroi beceri monicelliani ('I soliti ignoti' del 1959) e le trame di guerrieri sotto le gallerie metropolitane ('I guerrieri d la notte' del 1979 di Walter Hill).
Roma e La Sapienza è il destino ultimo dei nostri smidollati eroi del nulla.
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“Smetto quando voglio. Ad honorem” (2017) è il terzo lungometraggio del regista campano Sidney Sibilia.
La trilogia del 'fuggire' per 'rientrare' come lavorare inventandosi dopo studi ed esami universitari (o vicino a quelle parti) si conclude. Per una locuzione di meriti e demeriti finali.
Una pellicola che stancamente arriva ad un epilogo scimmiottando, non molto bene, gli eroi beceri monicelliani ('I soliti ignoti' del 1959) e le trame di guerrieri sotto le gallerie metropolitane ('I guerrieri d la notte' del 1979 di Walter Hill).
Roma e La Sapienza è il destino ultimo dei nostri smidollati eroi del nulla.
Un film ordinario dove al vezzo goliardico della prima parte, e non certamente sorrisi altisonanti con corrosività minima o assente, va verso una seconda diluita,alquanto volgarotta e distinta nel cambio di registro dei personaggi non certamente ben scritti e poco incisivi.
Legionari del popolo facilmente corruttibile ma cambi idea per la tribù giovanilistica r non tanto da salvare la cultura e i palazzi della intellighenzia umana. E il finalismo ultimo 'ma cosa dici....facciamo quest'esame'....e dopo ci inventeremo un lavoro. Quasi il passaggio delle consegne tra chi va via quasi soddisfatto e chi pensa al proprio futuro quasi insoddisfatto. Ciò che non affonda nel film è il vero graffio, il vero sarcasmo. Il vero dibattito sociale verrebbe da dire. Forse tutto questo non è nell’intenzione del regista ma solo un piacevole passatempo...,s il film scivola via senza veri scossoni e non si ricorda qualche vera scena madre. Forse i sedici metri. ...iniziali ma alla fin fine la pistola puntata appare inutile e quasi priva di dramma o significato e neppure la metafora del doppio personaggio da struttura narrativa al tutto.
La simpatia di Edoardo Leo (Pietro) e di Stefano Fresi (Alberto) fanno da traino al minimo in un gruppo che vorrebbe copiare quello che è stato il cinema italiano in certi f argenti: per carità niente vere cadute in basso ma certo è che il racconto si perde e il risaputo diventa logico e alquanto piatto.
Certo è che un po’ sopra di tanta roba 'natalizia' italiota (siamo nei trailer a tutto spiano e vederli prima della proiezione si prova un certo fastidio perché uguali a se stessi e senza vera risata...se ne contano il palmo di una mano …) ma questo non fa che ingannare o trovare l'alibi del cinema cosiddetto intelligente e distinguibile. Per il penultimo aggiungerei non molto ...non si sfonda ogni luogo comune, per il secondo si devono aspettare tempi migliori...chi sa quali....Il cinema italiano cerca in tutti i modi nuovi itinerari o scorciatoie veritiere ma, per chi scrive, è nel solito circolo vizioso. Novità vere, film ben scritti e recitazione congrue latitano abbastanza.
I volti di Pietro (neurobiologo), Mattia (latinista), Arturo (archeologo), Bartolomeo (economista), Alberto (chimico), Giorgio (latinista), Andrea (antropologo), Giulio (dottore), Lucio (professore) e Vittorio (avvocato) insieme a (‘Er’) Murena (ingegnere navale e boss) e Walter (stragista) sono lì uno dietro l’altro con vezzi e stralunati modi di ricordi e memorie della commedia di ieri. Onirici e cattedradici, scazzati e inverecondi, spenti e stralunati: vogliono dare una scossa ad una piattezza odierna ribaltando ogni volta il destino dello studio inutile e delle ingegnose (non fatiscenti) peripezie linguistiche di un mondo culturale con la bava alla bocca da più lustri. Si spogliano pure, danno il lustro alle spalle e il di dietro a chi no s’avvede che le inquadrature quando sono reiteranti non danno il gusto vero di uno sberleffo (alla giustizia) e di un sedere (improvvisato) alle maestranze (del set con messa in scena impoverita). Mentre Pietro Zinni ci guarda davanti coperto senza ritegno …
Il gas nervino e la strage chimica manifestano l’entusiasmo incontrollato (si fa per dire) dei nostri eroi con studi e idee da intenzioni serie pensando alla sala che sganascia in risate fragorose… Tutto in relax e senza una compattezza da ricordare. Comunque ‘Er Murena’ (Neri Marcorè) come ‘Er Pantera’ (Vittorio Gassman ne ‘I soliti ignoti’, 1958) sono lontani, ma il volto camuffato del Neri è solo un lascito della voce inconfondibile (balbuzie) e delle movenze da perdente del ‘mattatore’.
Edoardo Leoe Stefano Fresi riescono a superare bene lo schermo: non bastano ad un gruppo sciolto con caratteri vaghi e scrittura non ben ‘ordinata’. Forse una trilogia è troppo per dire la stessa cosa.
Regia senza segni particolari. Pause di denso mormorio tra il pubblico. Si esce senza applausi e con poche avvisaglie per aver assistito ad un film ‘epico’.
Voto: 6-/10 (**½).
“Smetto quando voglio. Ad honorem” (2017) è il terzo lungometraggio del regista campano Sidney Sibilia.
La trilogia del 'fuggire' per 'rientrare' come lavorare inventandosi dopo studi ed esami universitari (o vicino a quelle parti) si conclude. Per una locuzione di meriti e demeriti finali.
Una pellicola che stancamente arriva ad un epilogo scimmiottando, non molto bene, gli eroi beceri monicelliani ('I soliti ignoti' del 1959) e le trame di guerrieri sotto le gallerie metropolitane ('I guerrieri d la notte' del 1979 di Walter Hill).
Roma e La Sapienza è il destino ultimo dei nostri smidollati eroi del nulla.
Un film ordinario dove al vezzo goliardico della prima parte, e non certamente sorrisi altisonanti con corrosività minima o assente, va verso una seconda diluita,alquanto volgarotta e distinta nel cambio di registro dei personaggi non certamente ben scritti e poco incisivi.
Legionari del popolo facilmente corruttibile ma cambi idea per la tribù giovanilistica r non tanto da salvare la cultura e i palazzi della intellighenzia umana. E il finalismo ultimo 'ma cosa dici....facciamo quest'esame'....e dopo ci inventeremo un lavoro. Quasi il passaggio delle consegne tra chi va via quasi soddisfatto e chi pensa al proprio futuro quasi insoddisfatto. Ciò che non affonda nel film è il vero graffio, il vero sarcasmo. Il vero dibattito sociale verrebbe da dire. Forse tutto questo non è nell’intenzione del regista ma solo un piacevole passatempo...,s il film scivola via senza veri scossoni e non si ricorda qualche vera scena madre. Forse i sedici metri. ...iniziali ma alla fin fine la pistola puntata appare inutile e quasi priva di dramma o significato e neppure la metafora del doppio personaggio da struttura narrativa al tutto.
La simpatia di Edoardo Leo (Pietro) e di Stefano Fresi (Alberto) fanno da traino al minimo in un gruppo che vorrebbe copiare quello che è stato il cinema italiano in certi f argenti: per carità niente vere cadute in basso ma certo è che il racconto si perde e il risaputo diventa logico e alquanto piatto.
Certo è che un po’ sopra di tanta roba 'natalizia' italiota (siamo nei trailer a tutto spiano e vederli prima della proiezione si prova un certo fastidio perché uguali a se stessi e senza vera risata...se ne contano il palmo di una mano …) ma questo non fa che ingannare o trovare l'alibi del cinema cosiddetto intelligente e distinguibile. Per il penultimo aggiungerei non molto ...non si sfonda ogni luogo comune, per il secondo si devono aspettare tempi migliori...chi sa quali....Il cinema italiano cerca in tutti i modi nuovi itinerari o scorciatoie veritiere ma, per chi scrive, è nel solito circolo vizioso. Novità vere, film ben scritti e recitazione congrue latitano abbastanza.
I volti di Pietro (neurobiologo), Mattia (latinista), Arturo (archeologo), Bartolomeo (economista), Alberto (chimico), Giorgio (latinista), Andrea (antropologo), Giulio (dottore), Lucio (professore) e Vittorio (avvocato) insieme a (‘Er’) Murena (ingegnere navale e boss) e Walter (stragista) sono lì uno dietro l’altro con vezzi e stralunati modi di ricordi e memorie della commedia di ieri. Onirici e cattedradici, scazzati e inverecondi, spenti e stralunati: vogliono dare una scossa ad una piattezza odierna ribaltando ogni volta il destino dello studio inutile e delle ingegnose (non fatiscenti) peripezie linguistiche di un mondo culturale con la bava alla bocca da più lustri. Si spogliano pure, danno il lustro alle spalle e il di dietro a chi no s’avvede che le inquadrature quando sono reiteranti non danno il gusto vero di uno sberleffo (alla giustizia) e di un sedere (improvvisato) alle maestranze (del set con messa in scena impoverita). Mentre Pietro Zinni ci guarda davanti coperto senza ritegno …
Il gas nervino e la strage chimica manifestano l’entusiasmo incontrollato (si fa per dire) dei nostri eroi con studi e idee da intenzioni serie pensando alla sala che sganascia in risate fragorose… Tutto in relax e senza una compattezza da ricordare. Comunque ‘Er Murena’ (Neri Marcorè) come ‘Er Pantera’ (Vittorio Gassman ne ‘I soliti ignoti’, 1958) sono lontani, ma il volto camuffato del Neri è solo un lascito della voce inconfondibile (balbuzie) e delle movenze da perdente del ‘mattatore’.
Edoardo Leoe Stefano Fresi riescono a superare bene lo schermo: non bastano ad un gruppo sciolto con caratteri vaghi e scrittura non ben ‘ordinata’. Forse una trilogia è troppo per dire la stessa cosa.
Regia senza segni particolari. Pause di denso mormorio tra il pubblico. Si esce senza applausi e con poche avvisaglie nell'aver assistito ad un film ‘epico’.
Voto: 6-/10 (**½).
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