Kings

Los Angeles, 1992. In un quartiere popolato di afroamericani, latini e coreani, vive un solo bianco, Obie, scontroso e amante dell'alcool. Ma è proprio lui a correre in soccorso di Millie, la sua vicina di casa, nei tre giorni di alta tensione che seguono il verdetto sul pestaggio di Rodney King. Millie, infatti, mamma single di otto tra bambini e ragazzi, molti dei quali presi in affido per strapparli alla strada, viene dapprima ingiustamente arrestata e poi, una volta liberatasi, è costretta a tornare nell'occhio del ciclone alla ricerca di tre dei suoi piccoli, che sono imprudentemente usciti di casa.

Sono passati ventisei anni dallo scatenarsi della furia razzista di alcuni agenti di polizia sul tassista afroamericano, e venticinque dalle oltre cinquanta vittime che fece la sommossa scoppiata per reazione alla loro assoluzione.

Eppure il racconto di Kings, al di là della storicizzazione imposta dagli abiti, dall'ingente utilizzo di materiale televisivo d'epoca e dai fatti stessi (su tutti l'assassinio da parte di una commerciante koreana di una ragazzina nera rea di aver rubato un succo di frutto), è tristemente attuale.

La regista di Mustang gira un film d'amore e di guerra (la Koreatown losangelina ritratta in campo lungo, accesa giorno e notte dai fuochi delle molotov, dei lacrimogeni e degli spari, è un'immagine di guerra a tutti gli effetti, fissa e mediata come tante immagini delle guerre contemporanee); un film chiuso dentro un quartiere e attraversato da spinte contraddittorie, che non fanno che vivificarlo. Si può trovare discutibile la scelta di casting di Halle Berry e Daniel Craig e possono sorprendere gli innesti apparentemente fuori tono del sogno erotico di Millie e della sequenza in cui i due vicini di casa, pressoché sconosciuti l'uno all'altro, si ritrovano ammanettati ad un lampione e James Bond deve ricorrere all'azione, fare qualcosa, anche se si trova in un altro film e in tutt'altro ruolo. Però si può anche apprezzare la libertà con cui la regista si muove su un territorio fortemente drammatico con pennellate di sentimento e commedia che, se stilisticamente possono spezzare l'unità, umanamente non sono inverosimili.

Deniz Gamze Erguven non va per il sottile e accoppia, in un montaggio alternato effettivamente ardito, la tragedia di un trio di adolescenti con l'accenno di commedia romantica di cui sopra: potrà non convincere i più, ma è una scelta precisa, che ripropone una visione speranzosa che la regista aveva già annunciato nel suo primo film. 