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La capacità, ed il coraggio, di mettere al centro del discorso cinematografico la parola, in tempi troppo assuefatti ad una vuota spettacolarizzazione, la forza della parola, aliena da ogni falsa retorica, anche da quella del reducismo, che pur sarebbe ben comprensibile venendo a trattare temi, la Resistenza, il ruolo delle donne nella Resistenza, che a tale rischio facilmente presterebbero il fianco. Ma probabilmente è anche tale approccio, in qualche modo "laterale", volutamente laterale, a rendere possibile ciò, perché è propria del punto di vista femminile una concretezza che rifugge dall'epopea eroica, attenta alla quotidianità pur nella tragedia, che la tragedia non sminuisce affatto, ma rende umanamente comprensibile e vicina. Un omaggio alla fondamentale importanza della memoria, in tempi che della memoria stanno perdendo il senso, sopraffatti dalla droga dell'informazione in tempo reale proprio quando della memoria è più urgente fare tesoro, venendo inevitabilmente a mancare i "testimoni", trovando, anche grazie a ciò, sempre più spazio la cialtroneria negazionista, l'imbecillità pericolosa di emuli esaltati. Una sequenza di monologhi a camera fissa, intervallati da scorci paesaggistici dei luoghi violentati dalla ferocia della storia restituiti alla propria lunga, eterna, bellezza, una sequenza che non annoia mai, tutt'altro, grazie alla sapienza del montaggio, alla sapienza di un'arte che pienamente riesce a rendere trasparente il mezzo. L'arte più difficile.
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