brunoformichetti
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lunedì 28 agosto 2017
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sceneggiatura ridicola
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Un film decisamente notevole che attrae con energia lo spettatore.
L’attesa di come il tutto potrà svilupparsi per giungere alla soluzione finale tanto misteriosa e, di certo, imprevedibile rende la pellicola molto interessante. E come se ciò non bastasse ci si accompagna la mirabile regia di Verhoeven ed una attrice pluripremiata come la Huppert.
I presupposti ci sono tutti.
Che dire però della sceneggiatura?? Nulla da eccepire?? Eh, no! Tanto da eccepire.
Intorno alla metà del film sembra non possano esserci più aggiunte di stimolo.
Ci si ripete ad libitum annacquando quanto magistralmente girato fino a quel punto.
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Un film decisamente notevole che attrae con energia lo spettatore.
L’attesa di come il tutto potrà svilupparsi per giungere alla soluzione finale tanto misteriosa e, di certo, imprevedibile rende la pellicola molto interessante. E come se ciò non bastasse ci si accompagna la mirabile regia di Verhoeven ed una attrice pluripremiata come la Huppert.
I presupposti ci sono tutti.
Che dire però della sceneggiatura?? Nulla da eccepire?? Eh, no! Tanto da eccepire.
Intorno alla metà del film sembra non possano esserci più aggiunte di stimolo.
Ci si ripete ad libitum annacquando quanto magistralmente girato fino a quel punto.
Onestamente avevo pensato di definire queste scene (dalla metà del film in poi) ridicole.
Una rappresentazione inverosimile, ripetitiva e quasi quasi da fumetto horror: la masturbazione di Michelle, le ripetute aggressioni dello stupratore e una mano trafitta dalle forbici del tutto gratuita e come se niente fosse nel suo prosieguo.
Poi mi sono rincuorato allorquando ho letto nella recensione ufficiale che:
<<le interazioni tra la vittima e il violentatore … finiscono con il risultare ridicole.>>
Ho fatto tombola e mi sono rincuorato. Vedo che non sono l’unico a definirle così.
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fri_dom
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mercoledì 29 giugno 2022
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superlativo e superficiale
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Le stelle sono 4 a Isabelle Huppert (sarebbero 5 o 6 se la sceneggiatura la supportasse meglio) e una alla regia. Si gioca un po' (troppo) sullo stereotipo stantio del francese perverso e libertino e man mano che il film va avanti sembra di assistere a una proiezione distopica e fantascientifica, non a un dramma ambientato in un contesto borghese contemporaneo. La reazione degli amici al racconto dello stupro non è minimamente credibile, la psicologia del figlio della protagonista è tratteggiata in modo grottesco e superficiale, l'interprete del carnefice è una pessima caricatura di Lester Burnham versione psycho e dulcis in fundo l'ambiguità saffica suggerita nel finale è veramente stucchevole e furbastra.
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Le stelle sono 4 a Isabelle Huppert (sarebbero 5 o 6 se la sceneggiatura la supportasse meglio) e una alla regia. Si gioca un po' (troppo) sullo stereotipo stantio del francese perverso e libertino e man mano che il film va avanti sembra di assistere a una proiezione distopica e fantascientifica, non a un dramma ambientato in un contesto borghese contemporaneo. La reazione degli amici al racconto dello stupro non è minimamente credibile, la psicologia del figlio della protagonista è tratteggiata in modo grottesco e superficiale, l'interprete del carnefice è una pessima caricatura di Lester Burnham versione psycho e dulcis in fundo l'ambiguità saffica suggerita nel finale è veramente stucchevole e furbastra. Nell'insieme un esercizio di voyeurismo abbastanza sgradevole, in particolare nella seconda parte, che la prima invece ingrana molto bene. Verhoeven avrebbe potuto ispirarsi con umiltà a capolavori come American Beauty, Funny Games, Music Box di Costa Gavras invece di tentare la strada dell'arroganza reclutando la migliore attrice del mondo e lasciandole il peso di tutto il film. Anche un film molto controverso e con tanti limiti come La casa di Jack di Lars von Trier a mio parere vale parecchio di più. Personalmente la divina Huppert mi sembra pure un po' sprecata in questa brutta copia de La Pianista...
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maumauroma
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domenica 26 marzo 2017
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elle
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Michelle Leblanc e' una ricca donna d'affari. Dirige una affermata azienda che crea videogiochi. Ha un carattere duro, fiero, indipendente. Quando, all'interno della sua bella casa, subisce una violenza da parte di uno sconosciuto con un passamontagna calato sul viso, decide di non denunciare il fatto alla polizia, ma si mette lei stessa alla ricerca del possibile colpevole, (l'ex marito, un amante, un vicino di casa, uno dei suoi dipendenti). e attraverso tale ricerca iniziera' con ciascuno dei sospettati un perverso rapporto sadomaso che fara' emergere pulsioni sessuali forse anche a lei, prima, del tutto sconosciute. L' ultima opera del regista Paul Verhoeven si caratterizza, indubbiamente, per un buon inizio.
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Michelle Leblanc e' una ricca donna d'affari. Dirige una affermata azienda che crea videogiochi. Ha un carattere duro, fiero, indipendente. Quando, all'interno della sua bella casa, subisce una violenza da parte di uno sconosciuto con un passamontagna calato sul viso, decide di non denunciare il fatto alla polizia, ma si mette lei stessa alla ricerca del possibile colpevole, (l'ex marito, un amante, un vicino di casa, uno dei suoi dipendenti). e attraverso tale ricerca iniziera' con ciascuno dei sospettati un perverso rapporto sadomaso che fara' emergere pulsioni sessuali forse anche a lei, prima, del tutto sconosciute. L' ultima opera del regista Paul Verhoeven si caratterizza, indubbiamente, per un buon inizio. Poi pero', probabilmente a causa di una sceneggiatura piuttosto sgangherata e confusionaria , di un montaggio macchinoso e di una regia spesso distratta e banale, al dramma iniziale si sovrappone una fastidiosa atmosfera di melodramma che finisce ala fine per sfociare, non si sa quanto volutamente,in una sorta di improbabile commedia dell'arte. Alla fine si finisce per ritrovarsi piu' a sorrridere di certe situazioni che non ad assorbire le angosce di una donna ferita nel suo intimo piu' profondo. E quando si ha a che fare con uno stupro, l'idea stessa di metterla sul grottesco non sembra essere cosa buona e giusta. Elle pare essere una sorta di summa piuttosto raffazzonata dell' universo sessuale femminile, ma credo che il fascino e il mistero che ogni donna racchiude avrebbe meritato ben altro sviluppo. D'altronde tutti i film di Verhoeven si caratterizzano per essere costruiti e cesellati a colpi d'accetta. Isabelle Huppert si conferma brava attrice, ma nella versione italiana viene doppiata da una voce che stride sia con il suo fisico che con il carattere del personaggio che interpreta. Per quanto riguarda gli altri attori poco da segnalare. Forse alla fin fine l' interpretazione migliore finisce per offrirla la bella micia di Michelle, silenziosa e inquietante testimone dei fatti
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flyanto
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giovedì 30 marzo 2017
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una donna alle prese con uno sconosciuto
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Il regista olandese Paul Verhoeven ritorna proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche con il suo ultimo thriller "Elle", dove la protagonista femminile del titolo è la sempre eccezionale Isabelle Huppert.
Ella è una donna manager a capo di una casa produttrice di videogiochi: separata, con un figlio ventenne piuttosto inetto e debole di carattere, intelligente, molto determinata e severa nel suo lavoro, scostante quanto basta per non farsi avvicinare da chiunque e molto seduttiva.
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Il regista olandese Paul Verhoeven ritorna proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche con il suo ultimo thriller "Elle", dove la protagonista femminile del titolo è la sempre eccezionale Isabelle Huppert.
Ella è una donna manager a capo di una casa produttrice di videogiochi: separata, con un figlio ventenne piuttosto inetto e debole di carattere, intelligente, molto determinata e severa nel suo lavoro, scostante quanto basta per non farsi avvicinare da chiunque e molto seduttiva. Con un passato pesante ed alquanto tragico che man mano che si sviluppa la vicenda viene scoperto, la donna una sera viene aggredita e violentata da uno sconosciuto coperto da un passamontagna che le si è introdotto in casa attraverso una delle finestre. Decidendo di non denunciare il terribile accaduto alla Polizia, la protagonista continua a vivere le proprie giornate come nulla fosse finchè, quasi per caso, scopre l'identità del suo aggressore con cui d'ora in poi darà inizio ad un gioco perverso....
Preso spunto da un racconto, Paul Verhoeven in pratica costruisce tutto il film proprio sulla figura dell'Huppert stessa che non risulta nuova ad interpretare, peraltro ottimamente, ruoli forti, ambigui ed al limite dello scandaloso. Pertanto, l'unica attrice consona a questo tipo di ruolo non poteva che non essere lei, la quale, ancora una volta, non delude, anzi il contrario, lo spettatore dando corpo ed anima ad una figura femminile dalla personalità forte e molto particolare. Al di là della trama e della risoluzione della vicenda che si rivelano interessanti ma non al punto da distinguersi in una notevole maniera, ciò che determina il valore di questa pellicola è proprio l'interpretazione di Isabelle Huppert intorno a cui si snoda un gioco psicologico molto sottile e perverso, coinvolgente tutti i personaggi e lo spettatore stesso.
Insomma, l'ennesima conferma di un'attrice talentuosa che mai delude e continua a stupire positivamente. Altamente consigliabile.
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gianleo67
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mercoledì 26 aprile 2017
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nata di marzo, nata balzana...
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Algida e cinica manager di mezza età, con un passato oscuro ed un'infanzia traumatica, viene improvvisamente violentata da un misterioso assalitore travisato nella bella casa in cui vive da sola. La sua reazione, apparentemente fredda e distaccata, è solo l'inizio di un gioco al rimpiattino fatto di perversioni sessuali e di rituali sadomasochistici che la porteranno a scoprire l'identità dell'unica persona in grado di scuoterla dal grigiore e dall'apatia della sua inappagante vita borghese. Finale a sorpresa...o quasi. A prenderlo sul serio, questo psicodramma cinefilo dell'olandese Verhoeven, porterebbe inevitabilmente ad assecondare lo strascico polemico che ha accompagnato la sua presentazione rivierasca con tanto di feroci critiche al suo impianto smaccatamente derivativo e ad una pretenziosità autoriale sprezzante del senso del ridicolo.
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Algida e cinica manager di mezza età, con un passato oscuro ed un'infanzia traumatica, viene improvvisamente violentata da un misterioso assalitore travisato nella bella casa in cui vive da sola. La sua reazione, apparentemente fredda e distaccata, è solo l'inizio di un gioco al rimpiattino fatto di perversioni sessuali e di rituali sadomasochistici che la porteranno a scoprire l'identità dell'unica persona in grado di scuoterla dal grigiore e dall'apatia della sua inappagante vita borghese. Finale a sorpresa...o quasi. A prenderlo sul serio, questo psicodramma cinefilo dell'olandese Verhoeven, porterebbe inevitabilmente ad assecondare lo strascico polemico che ha accompagnato la sua presentazione rivierasca con tanto di feroci critiche al suo impianto smaccatamente derivativo e ad una pretenziosità autoriale sprezzante del senso del ridicolo. Al netto della sensibilità di ciascuno spettatore, come pure delle più approfondite dissertazioni presenti nei rotocalchi di settore, questo adattamento cinematografico di un soggetto letterario sembra trovare faticosamente il suo senso lungo l'esile filo conduttore di un divertissement intellettuale che rinviene, nelle irridenti provocazioni della trama e nella faccia da schiaffi della sua istrionica protagonista, le prevedibili strategie della sua consapevole battaglia iconoclasta. Che poi si debba essere dotati di un discutibile sense of humor, piuttosto che di uno spiccato gusto per il macabro, per apprezzarne significato e sfumature è tutto un altro paio di maniche; compresa l'idea che dietro un'operazione del genere ci possa essere l'arguta presa in giro di chi utilizza la ribalta cine-glamour (Cannes, Hollywwood, se vi pare poco!) per demistificare in modo definitivo i rigidi codici di un linguaggio cinematografico che per forza di cose debba dirci qualcosa di importante sulle contraddizione dei comportamenti umani o che si prenda troppo sul serio. A dire la verità gli indizi di questa strategia della presa in giro ce n'è più d'uno: dagli ar(n)tefatti di una storia di traumi infantili che plasmano una personalità border-line alla promiscuità di una vita sociale e sessuale di famiglie allargate e madri putative (o puttane, a seconda dei casi), dal ruolo di donne di potere (professionale, economico, sessuale) fintamente sottomesse all'alter ego virtuale di eroine fetish che lo prendono volutamente in quel posto, dallo psicodramma di una vita segnata dalla violenza e dall'abuso al ribaltamento di ruoli di un voyerismo di buon vicinato dove il pericolo è in agguato non per chi guarda ma per chi viene guardato. Nessuna emulazione quindi di quei mostri sacri che vengono chiamati in causa come pietre di un paragone francamente fuori registro: da Haneke a Hitchcock, da De Palma a Von Trier; qui piani sequenza, flashback e campi stretti sono solo la divertita strategia di dissimulazione di un simulacro cinefilo da mandare definitivamente in pensione, con tutto l'armamentario di fisime sociologiche a base di sentimenti misogini e ferocia antiborghese: c'è di certo che i maschi sono solo dei vanagloriosi babbei (l'amante-giocattolo, l'ex marito immaturo, il figlio tontolone, il promesso sposo della madre perennemente in mutande, il vicino broker impotente e frustrato) mentre le donne se li spupazzano come vogliono e se la godono finchè possono, all'occorenza fra di loro (l'amica-complice, la nuora-arpia, la madre-gaudente, la vicina santa-laica, la mistress dominatrice e insensibile). Insomma un mondo cinico e divertito quello di Verhoeven, per un film che fa della costanza del registro ironico e dell'ammiccamento permanente il solo antidoto al facile equivoco della seriosità intellettuale e del ridicolo involontario (il 'maniaco' che gli lascia schizzi di sperma sulle lenzuala ed un messaggio a doppio senso di ambigua cortesia sul PC acceso: "Scusa se non mi sono potuto trattenere!"). Certo il film la tira per le lunghe e la monotonia del ritmo finisce per stancare, giustificando reazioni stizzite da chi credeva di trovarsi di fronte ad un thriller morboso e inquietante degno di questo nome, ma la stoica presenza scenica di una Isabelle Huppert che si presta con elegante leggerezza ad operazioni del genere vale quasi quanto la sua faccia impassibile durante la prevedibile debacle all'indecoroso spettacolo della Notte degli Oscar.
Nata di marzo nata balzana Casta che sogna d'essere puttana Quando sei dentro vuoi esser fuori Cercando sempre i passati amori Ed hai annullato tutti fuori che te...
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giorgio1.moretti
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lunedì 27 marzo 2017
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un film da dimenticare
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Uno dei peggiori film degli ultimi dieci/venti anni, nel quale l'unica cosa che si salva è, forse, l'interpretazione di Isabelle Huppert. Una vicenda senza senso, di cui non si capisce la necessità che fosse raccontata, infarcita di personaggi da sottoporre tutti, nel migliore dei casi, a TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) e fra i quali il più "normale" in fin dei conti è il gatto! Due ore e dieci di noia pura, laddove, per indurre qualche brivido, si è stati costretti a ricorrere a mezzucci da film horror di serie B, quali la ripetuta proposizione della scena iniziale dello stupro o il balzo di un gatto che fuoriesce all'improvviso dal nulla.
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Uno dei peggiori film degli ultimi dieci/venti anni, nel quale l'unica cosa che si salva è, forse, l'interpretazione di Isabelle Huppert. Una vicenda senza senso, di cui non si capisce la necessità che fosse raccontata, infarcita di personaggi da sottoporre tutti, nel migliore dei casi, a TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) e fra i quali il più "normale" in fin dei conti è il gatto! Due ore e dieci di noia pura, laddove, per indurre qualche brivido, si è stati costretti a ricorrere a mezzucci da film horror di serie B, quali la ripetuta proposizione della scena iniziale dello stupro o il balzo di un gatto che fuoriesce all'improvviso dal nulla. Se questo, come letto da qualche parte, è vero cinema, si salvi chi può!
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angelo umana
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martedì 28 marzo 2017
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stupro addomesticato
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Un anonimo insulso e compassato broker bancario, giovane e prestante, dotato di una bella moglie “tutta casa (letto non si sa) e chiesa”, indossa occasionalmente un passamontagna e si lancia addosso ad una preda femminile prescelta: gli è necessaria la violenza per eccitarsi, irrompere a casa della vittima, colpirla ferirla e infine possederla, con qualche successiva comunicazione che arriva alla donna via computer. Violento ma vuol comunicare un po’. Questa volta la preda è la distinta signora single che abita nella villa di fronte, proprietaria di un’azienda popolata di giovani creativi che costruisce e vende programmi di feroci giochi visuali elettronici: è proprio quella giusta, non sa l’aggressore di aver trovato una che forse lo aspettava, dotata della giusta dose di perversione che anima il finto superman.
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Un anonimo insulso e compassato broker bancario, giovane e prestante, dotato di una bella moglie “tutta casa (letto non si sa) e chiesa”, indossa occasionalmente un passamontagna e si lancia addosso ad una preda femminile prescelta: gli è necessaria la violenza per eccitarsi, irrompere a casa della vittima, colpirla ferirla e infine possederla, con qualche successiva comunicazione che arriva alla donna via computer. Violento ma vuol comunicare un po’. Questa volta la preda è la distinta signora single che abita nella villa di fronte, proprietaria di un’azienda popolata di giovani creativi che costruisce e vende programmi di feroci giochi visuali elettronici: è proprio quella giusta, non sa l’aggressore di aver trovato una che forse lo aspettava, dotata della giusta dose di perversione che anima il finto superman. Impone ad esempio ai suoi creativi di conferire all’immagine femminile di un videogioco, vittima di un mostro, le giuste convulsioni orgasmiche.
Il film è cominciato al buio, con le sole urla di lei, dapprima di terrore ma che poi sembrano diventare di piacere, o convulsioni orgasmiche, e il sangue, l’annichilimento del dopo stupro, lo sguardo perso della signora per terra che … si rialza decisa e raccoglie sbrigativa gli oggetti rotti sparsi sul pavimento dopo l’assalto. Determinata e apparentemente non scossa, sembra dalle immagini successive non aver risentito dei fattacci, saranno più d’uno, al punto da suscitarle molta curiosità su chi sia lo stupratore, ne è affascinata. Guida la sua impresa, giostra i suoi rapporti come normalmente, col suo ex-marito, con l’amante, marito della sua migliore amica e socia in azienda, una con cui potrebbe intessere una relazione che si promisero da ragazze. Nessuna denuncia alla polizia, tesserà la sua rete fino a individuare l’aggressore mascherato, scrutando i vari possibili sospettati.
La forza, o la perversione, di questa magnifica donna matura deriva forse dai geni ereditati dal suo papà killer, o dall’aver visto lo scempio di 27 corpi fatto dal padre molti anni prima, il famoso criminale George Leblanc, uno che Elle non ha più voluto vedere e del quale ha ancora paura. Lei fu involontaria protagonista di quei crimini, la sua foto di bambina in mutandine, dopo l’incendio della casa operato da papà, apparve sui giornali del tempo: forse per via di quella notorietà non voluta, sarà stata oggetto di attenzioni di vari psicopatici. Avrebbe voluto finalmente andarlo a trovare in prigione, giusto perché la madre morente – altro personaggio strano – glielo ha raccomandato; lei, Michelle, avrebbe voluto fargli un discorso in 9 punti e… sputargli in faccia.
Due ore di film inquietanti, crudeli, ma che consentono risate controllate, un quasi poliziesco che non si può annoverare in nessuna delle tipologie canoniche, tratto dal libro “Oh …” di Philippe Djian del 2013, libro recensito da qualcuno come “storia di uno stupro addomesticato”. La locandina pubblicitaria parla di “dialoghi taglienti e scene memorabili”, con la (super)-protagonista “capace di rendere credibile l’incredibile”: tutto vero, soprattutto i dialoghi taglienti e le risposte sempre pronte, fin troppo. Un set ubriacante popolato di personaggi, perfino un gatto grigio anaffettivo e inquietante anch’esso, colpi di scena a volontà e qualche slegatura o licenza di vagare dell’interessante regista Paul Verhoeven. E’ finita dirà alla fine Michelle, se ne è liberata, del resto è giusto che anche le più cupe evasioni finiscano e comunque la vergogna non è un sentimento così forte da impedirci di fare di tutto, la nostra protagonista ha idee molto chiare. Si sentirà ringraziare dalla moglie del bancario-superman che passa a miglior vita: la fede sostiene la bella vedova, che comunque ringrazia la vicina per aver dato, a quell’anima tormentata di suo marito, ciò di cui aveva bisogno. Le donne guidano, i maschietti qui sono dei manovrati comprimari, sono le donne a ordire le trame, ma soprattutto lei, la stellare, fredda e perversa Isabelle Huppert.
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(di francesco2)
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taniamarina
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lunedì 19 novembre 2018
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le sfumature tra vittima e carnefice
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Uno sguardo attento alla donna, la sua tendenza spiccata ad essere vittima e carnefice, complicata e tortuosa anche nel definire le chiare sfumature tra bene e male, e per questo sempre profonda ed intelligente. Quanto si sarà divertito Paul a costruire un film dallo stampo francese ed uterino, una pellicola che spazia dal noir alla mai invasiva tinta horror, con una attrice protagonista felicissima di recitare il ruolo. Ma c'è troppa carne a cuocere, un tributo alla cultura cinematografica francese che finisce per essere stucchevole e posticcio, con tanto di immancabile cena familiare logorroica, vero must del cinema francese. Troppi riferimenti, troppo allegorie, troppi significati nascosti, ed alla fine ci si perde un po' nel guardare una pellicola tropo lunga che cerca senza false modestie i più grandi complimenti.
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Uno sguardo attento alla donna, la sua tendenza spiccata ad essere vittima e carnefice, complicata e tortuosa anche nel definire le chiare sfumature tra bene e male, e per questo sempre profonda ed intelligente. Quanto si sarà divertito Paul a costruire un film dallo stampo francese ed uterino, una pellicola che spazia dal noir alla mai invasiva tinta horror, con una attrice protagonista felicissima di recitare il ruolo. Ma c'è troppa carne a cuocere, un tributo alla cultura cinematografica francese che finisce per essere stucchevole e posticcio, con tanto di immancabile cena familiare logorroica, vero must del cinema francese. Troppi riferimenti, troppo allegorie, troppi significati nascosti, ed alla fine ci si perde un po' nel guardare una pellicola tropo lunga che cerca senza false modestie i più grandi complimenti. Grande mestiere, grande attrice ma troppo autocelebrativismo. Ottima partenza ma crisi muscolare nella lunga distanza
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fabiofeli
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martedì 28 marzo 2017
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"ordiniamo lo champagne?"
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Rumore di cocci rotti, tentativi di resistere ad una forza sovrastante, una conclusione scontata e frustrante sotto lo sguardo attento, ma glacialmente indifferente del gatto di casa: inizia così il film, con lo stupro di Michelle (Isabelle Huppert) nella sua casa borghese perpetrato da un uomo mascherato come Diabolik. La raccolta dei cocci, il bagno caldo, il cambio di serrature e chiavi di casa non preludono alla denuncia della violenza subita. Ormai è successo, quasi si trattasse di un temporale improvviso, dice la donna mentre è a cena con l’ex-consorte Richard (Charles Bering), la sua amica e socia Anne (Anne Consigny), e suo marito Robert (Christian Berkel): il male è fatto e non si cancella; tanto vale iniziare la cena ordinando lo champagne.
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Rumore di cocci rotti, tentativi di resistere ad una forza sovrastante, una conclusione scontata e frustrante sotto lo sguardo attento, ma glacialmente indifferente del gatto di casa: inizia così il film, con lo stupro di Michelle (Isabelle Huppert) nella sua casa borghese perpetrato da un uomo mascherato come Diabolik. La raccolta dei cocci, il bagno caldo, il cambio di serrature e chiavi di casa non preludono alla denuncia della violenza subita. Ormai è successo, quasi si trattasse di un temporale improvviso, dice la donna mentre è a cena con l’ex-consorte Richard (Charles Bering), la sua amica e socia Anne (Anne Consigny), e suo marito Robert (Christian Berkel): il male è fatto e non si cancella; tanto vale iniziare la cena ordinando lo champagne. Ma chi è Michelle? La borghese ricca ed affermata, che dirige con la sua amica una azienda di produzione di allucinanti videogame, un distillato di violenza subita da giovani eroine, è anche una bambina ferita e ferocemente mutilata negli affetti in passato da un fatto di sangue perpetrato dal padre, così grave che ormai più nulla sembra poterla sfiorare. Appare come una donna matura che sa quello che vuole e gioca con i sentimenti di chi le è intorno: si fa beffe delle infatuazioni dell’ex-marito per una ragazza superficiale e del figlio intrappolato da una giovane arrogante col ricatto di un bebè non suo in arrivo; alla madre oltre la soglia dei 60 anni rimprovera la relazione con un gigolò e nega la raccomandata visita al padre recluso; non risparmia neanche Anne alla quale confessa la relazione di sesso intrattenuta Robert. Pare in sintonia solo con la coppia di vicini, due giovani incolori e bigotti, ma c’è un motivo inconfessato. Michelle è tutto questo, ma possiamo guardarla sotto una luce diversa: forse è il passero incolpevole che cozza con il vetro della finestra o anche il suo gatto, altrettanto incolpevole per l’istinto che lo spinge a divorare il volatile mentre è stordito a terra. In fondo i due animali sono i soli beneficiari del suo calore e della sua indulgenza …
Isabelle Huppert è stratosferica nell’interpretazione di questo complesso personaggio tratto da un libro, “Oh …” di Philippe Dejan. Gelida e sprezzante riprende il filo della sua vita spezzata a 10 anni per giocare come in un cinico videogame con le persone care. La vita Michelle-Isabelle la conduce mescolando la tenera “Merlettaia” di Claude Goretta e la pratica ostetrica di “Un affare di donne” di Chabrol con la rigida “Pianista” di Haneke; è la risposta ai colpi assestati dal destino per riprendere il controllo della propria esistenza messo a dura prova. Nonostante la interpretazione “monstre” della Huppert sotto la direzione precisa di Verhoeven, che sul set chiamava l’attrice scherzosamente Isab-ELLE, la storia dai tratti spesso sgradevoli e dissacranti divide il pubblico ed in parte anche la critica: non è arrivato l’Oscar, ma Golden Globe e César sì. La grande attrice festeggia: con champagne, naturalmente …
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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venerdì 1 dicembre 2017
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parallelismo haneke/verhoeven
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Due film molto distanti ma al tempo stesso con importanti analogie, a partire dalle interpretazioni totalizzanti che sorreggono sia l’uno che l’altro film di una gigantesca Isabelle Huppert, non a caso considerata una delle migliori attrici europee in attività. Nel film del regista olandese Michelle è una donna dalla personalità dirompente, boss di un’azienda produttrice di videogames per ragazzini, con un figlio sfigatello appena sposato e neo padre maltrattato dalla giovane consorte. Violentata reiteratamente da un misterioso uomo munito di passamontagna, decide di non denunciare le malefatte alla polizia finendo per instaurare un rapporto sadomasochista con il suo carnefice fino al triste e drammatico epilogo.
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Due film molto distanti ma al tempo stesso con importanti analogie, a partire dalle interpretazioni totalizzanti che sorreggono sia l’uno che l’altro film di una gigantesca Isabelle Huppert, non a caso considerata una delle migliori attrici europee in attività. Nel film del regista olandese Michelle è una donna dalla personalità dirompente, boss di un’azienda produttrice di videogames per ragazzini, con un figlio sfigatello appena sposato e neo padre maltrattato dalla giovane consorte. Violentata reiteratamente da un misterioso uomo munito di passamontagna, decide di non denunciare le malefatte alla polizia finendo per instaurare un rapporto sadomasochista con il suo carnefice fino al triste e drammatico epilogo. Nella pianista del grandissimo Michael Haneke invece, la Huppert interpreta la professoressa di pianoforte, Erika Kohut. Intransigente, algida e severissima la donna vive insieme alla madre (Annie Girardot) iper-protettiva, schiava di un morboso ed asfissiante rapporto a causa del quale ha sviluppato una feroce repressione dell’elemento sessuale verso qualsiasi uomo. Durante un concerto privato, conosce un giovane studente, Walter che si invaghisce follemente di lei. Sarà l’inizio di un rapporto folle, sadico tutto da “gustare”. L’autorevolissimo Paolo Mereghetti scrive riguardo a la Pianista: “precludendosi ogni possibile spiegazione (psicanalitica, sociale o puramente emotiva), rischia di cadere nel gratuito”. Ebbene, mi duole enormemente dall’alto della mia ignoranza doverlo contraddire, tuttavia ritengo la componente psicanalitica il punto di forza del capolavoro hanekiano, capace di inscenare un’opera glaciale e conturbante che attacca mente e corpo dello spettatore e non li molla nemmeno per un istante. Alcune scene talora rischiano di rasentare la ridicolezza, ma è il compromesso al quale il cineasta austriaco accetta di sottostare per poter arrivare così in alto. Fantastica la fotografia glaciale a tinte scolorite di Christian Berger. La linea di demarcazione netta con Elle è segnata proprio dal differente senso di freddezza e tensione psicologica che invece contraddistinguono quest’ultimo, thriller intriso di black-comedy orchestrato magistralmente dal Paul Verhoeven di Basic Istinct. Il teatro della crudeltà allestito dal regista con la complicità della Huppert fa sorridere e lascia ammirati, nonostante il film sia come ricoperto da una patina di brillantante che, accompagnata da una fotografia tutta lustrini, a tratti intacca una seppur validissima sceneggiatura. In sostanza una passeggiata con tanto di boccate d’aria fresca se paragonato al ben più disturbante “La pianista”.
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