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iuriv
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domenica 4 ottobre 2015
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indagini lisergiche.
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Vizio Di Forma si presenta come un noir dalle dinamiche classiche (quasi Chandleriane direi), spruzzato da una dose di commedia fornita dall'improbabile detective Doc Sportello e dalla bizzarra fauna che gli gira intorno.
La trama narra delle disavventure di Sportello, investigatore privato amante delle droghe leggere, dopo che la sua ex fiamma Shasta Fay lo ingaggia per impedire un rapimento. Da qui la storia si Doc si dipana attraverso un dedalo di indagini differenti che sembrano portarlo tutte allo stesso punto.
Il film trova il suo nutrimento negli incontri che il protagonista fa nel corso delle sue investigazioni. Personaggi come Bigfoot Bjornsen, poliziotto duro solo all'apparenza, oppure il sassofonista Coy, con la sua vita spazzata via dagli eventi, portano tutta quanta l'opera sul piano dell'assurdo.
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Vizio Di Forma si presenta come un noir dalle dinamiche classiche (quasi Chandleriane direi), spruzzato da una dose di commedia fornita dall'improbabile detective Doc Sportello e dalla bizzarra fauna che gli gira intorno.
La trama narra delle disavventure di Sportello, investigatore privato amante delle droghe leggere, dopo che la sua ex fiamma Shasta Fay lo ingaggia per impedire un rapimento. Da qui la storia si Doc si dipana attraverso un dedalo di indagini differenti che sembrano portarlo tutte allo stesso punto.
Il film trova il suo nutrimento negli incontri che il protagonista fa nel corso delle sue investigazioni. Personaggi come Bigfoot Bjornsen, poliziotto duro solo all'apparenza, oppure il sassofonista Coy, con la sua vita spazzata via dagli eventi, portano tutta quanta l'opera sul piano dell'assurdo.
Così la vicenda vive di momenti, più che del suo complesso. La trama infatti pare sfuggire dalle mani ogni momento, con l'inserimento di caratteri nuovi che continuano a comparire sullo schermo. Tutte le indagini finiscono per intersecarsi tra loro, complicando le cose e spostando continuamente il mirino dell'attenzione.
Alcuni momenti di smarrimento si risolvono con una seconda visione, che aiuta a mettere in chiaro le relazioni tra i personaggi, però, nel complesso, nemmeno la seconda volta si riesce a levarsi di dosso la strana sensazione di impalpabilità che avvolge tutto il lavoro di Anderson. Così come non è utile, a tal fine, l'intervento della narrazione di Sortilege, posizionata più per confondere che per rischiarare, con i suoi riferimenti all'oroscopo e alle discipline spirituali.
Dovendo trarre una conclusione, un'analisi rigorosa dimostra come tutti i punti del giallo vengano risolti. Eppure, alla fine del film, resta la sensazione che manchi qualcosa. L'impressione è che Anderson abbia voluto tirar fuori un che di diverso, rispetto alla semplice commedia noir. A questo punto però bisogna fare i conti con la sensibilità di chi decide di affrontare la visione.
A me, per esempio, questa storia non è arrivata in nessun modo. Un film fiacco, costruito su una serie di stereotipi anni 70 che appaiono già visti e già sentiti e che finiscono per togliere l'attenzione da un intreccio già complicato di per se.
Sostanzialmente tutta la pellicola sembra voler essere un viaggio lisergico, ma il mondo del cinema ha saputo trasmettere certe sensazioni molto meglio di così. Viste le qualità del regista e il cast di attori di primissimo piano (tutti impeccabili tra l'altro), mi aspettavo qualcosa di più.
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bruce harper
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venerdì 11 settembre 2015
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un'opera politica mascherata da noir.
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Non è facile trovare la quadra di ‘Vizio di forma’ se A) non si è letto il libro o B) non si ha un minimo di infarinatura della ‘New Hollywood’ degli anni 70 per cui gli assi cartesiani di tutta la corrente erano nostalgia & paranoia. Esattamente i due binari su cui si muove l’opera di Anderson che sotto una crosta sgangherata di eccessi farseschi e virtuosismi stilistici nasconde un cuore tragico e politico: il crollo disastroso di un’epoca in cui libertà e spontaneità cedono il passo ad autocontrollo e calcolo capitalistico. Ma il ‘vizio intrinseco’ a mio avviso (e non il ‘vizio di forma’ come erroneamente ma comprensibilmente tradotto) è la molecola di caos che giocoforza si nasconde dietro qualunque sistema basato su ordine e repressione (paranoia) e che basta da sola a far crollare lo status quo lasciando una flebile speranza per un ritorno al reale, essenziale ed autentico (nostalgia).
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Non è facile trovare la quadra di ‘Vizio di forma’ se A) non si è letto il libro o B) non si ha un minimo di infarinatura della ‘New Hollywood’ degli anni 70 per cui gli assi cartesiani di tutta la corrente erano nostalgia & paranoia. Esattamente i due binari su cui si muove l’opera di Anderson che sotto una crosta sgangherata di eccessi farseschi e virtuosismi stilistici nasconde un cuore tragico e politico: il crollo disastroso di un’epoca in cui libertà e spontaneità cedono il passo ad autocontrollo e calcolo capitalistico. Ma il ‘vizio intrinseco’ a mio avviso (e non il ‘vizio di forma’ come erroneamente ma comprensibilmente tradotto) è la molecola di caos che giocoforza si nasconde dietro qualunque sistema basato su ordine e repressione (paranoia) e che basta da sola a far crollare lo status quo lasciando una flebile speranza per un ritorno al reale, essenziale ed autentico (nostalgia).
Il concetto stesso di contro-cultura è per definizione un vizio intrinseco ma non credo sia il movimento hippy il vero candidato alla palingenesi, non nella visone del regista almeno. Rispetto alla filosofia del libro il film di Anderson accelera sul piano dei sentimenti riducendo il conflitto politico di Pynchon ad una malinconica danza identitaria e umanista. La fuga lisergica di una generazione nasconde in realtà la ricerca di un habitat, affettivo, spirituale e familiare. E solo nei sentimenti e negli affetti veri, genuini, autentici, l’autore sembra ravvisare quei valori astorici, laici e irriducibili, non subordinabili a una dottrina, convertibili a un sistema, manipolabili da un’ideologia, da cui partire per costruire la rinascita.
La trama è ovviamente un giocattolone, un pretesto, un diversivo (al pari delle droghe) come lo è da sempre in qualsiasi noir del’età classica in cui i personaggi non sono dei costrutti funzionali a un intreccio che li alimenta e giustifica ma, al contrario, vivono di vita propria trovando peso e identità nel rapporto sotterraneo tra l’Io e gli altri, tra l’io e l’ambiente, tra l’io e la propria ricerca personale. Non meravigliamoci quindi se ci ritroviamo a fine film con il classico cerino in mano e l’amara sensazione di essere mentalmente marci e compromessi. Perché in questa partita autoreferenziale e meta-testuale Pynchon e Anderson non si limitano a giocare con gli schemi della costruzione drammaturgica ma con gli spettatori stessi, le ‘porte della percezione’ e i meccanismi sottesi alla comprensione cognitiva. Attenzione, ci ammoniscono, quello a cui state assistendo è un grande bluff, una truffa, una finzione, ma la differenza tra il nostro racconto e le narrazioni che vi propinano ogni giorno (i media, la pubblicità, le istituzioni) è che noi lo facciamo in maniera dichiarata non subdola, ci autodenunciamo, perché il nostro non è un mezzo per controllarvi, per distrarvi, ma tuttalpiù per aprire gli occhi, oltrepassare la superficie e guardare quello che c’è sotto, il fine dietro il mezzo, la tragedia dietro la farsa, la verità dietro la menzogna, e mettere questa consapevolezza al servizio della vostra causa, qualunque essa sia.
In fin dei conti si tratta di una logica politica e per certi versi militante, un richiamo alle armi, che in Pynchon si trasforma in romanzo civile e sociale e in Anderson in un nostalgico ma spassosissimo lungo addio.
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[+] bravooooooooooooooooooo
(di francesco2)
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ultimoboyscout
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sabato 5 settembre 2015
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doc sportello, il nuovo drugo.
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Storia tratta dall'omonimo romanzo del 2009 di Thomas Pyncheon, ambientata a Gordita Beach, in California nel 1970 sul finire dell'epoca hippie. Larry "Doc" Sportello è un bizzarro detective privato che cerca di salvare la sua ex fidanzata Shasta dai loschi traffici del suo amante, un palazzinaro vicino agli ambienti mafiosi. Come è logico che sia, Doc finisce in un giro ben più grande di lui, in cui gli capiterà davvero di tutto. Va in scena un vero e proprio circo fatto di assurdi personaggi disillusi dalla controcultura, call girls, cliniche totalitarie e la misteriosa organizzazione conosciuta come Golden Fang, che controlla il traffico di stupefacenti.
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Storia tratta dall'omonimo romanzo del 2009 di Thomas Pyncheon, ambientata a Gordita Beach, in California nel 1970 sul finire dell'epoca hippie. Larry "Doc" Sportello è un bizzarro detective privato che cerca di salvare la sua ex fidanzata Shasta dai loschi traffici del suo amante, un palazzinaro vicino agli ambienti mafiosi. Come è logico che sia, Doc finisce in un giro ben più grande di lui, in cui gli capiterà davvero di tutto. Va in scena un vero e proprio circo fatto di assurdi personaggi disillusi dalla controcultura, call girls, cliniche totalitarie e la misteriosa organizzazione conosciuta come Golden Fang, che controlla il traffico di stupefacenti. A pedinarlo il poliziotto con velleità d'attore Bigfoot, interpretato da un bravissimo Josh Brolin, che incarna paranoia e fragilità dell'epoca e che sa tirar fuori qualcosa di triste al limite del tragico nel suo essere divertente. Su tutto questo aleggia l'ombra della grande paranoia a seguito della strage della famiglia Manson. Film piuttosto complesso e labirintico, un noir d'altri tempi in stato d'ipnosi che si fa forza di interpretazioni corali, notevolissime e sulfuree di un cast straordinario e cita senza mezzi termini le più classiche detective story con sguardo psichedelico e allucinato. La pellicola ricostruisce con una certa fedeltà e ricchezza di particolari, ma anche in maniera ironica e grottesca, la sottocultura degli anni '60, è il tassello forse più importante (sicuramente il più estremo e il più femminile) dell'amaro affresco americano dipinto negli ultimi 20 anni dal regista Paul Thomas Anderson. Film che definire particolare è dire poco, va avvicinato con una certa cautela, bello senza dubbio, ma rappresenta un'esperienza fisica da affrontare con occhi aperti e testa attiva ma soprattutto di pancia perchè spesso non segue nemmeno un filo logico, filo sottilissimo che unisce assurdo reale ma che procede spedito e sicuro aiutato da un Joaquin Phoenix enorme e dalla sorpresa Katherine Waterston, assolutamente monumentale. Phoenix da anima e corpo ad un personaggio stonato e sognatore, puro in un mondo di contaminati, un protagonista bellissimo, dolente e stralunato, circondato da un universo fatto di personaggi ben oltre il surreale. Sportello è il simbolo della fine di un'epoca, emana profonda tristezza, è un irregolare che finge di non capire il mondo e non accetta che cambi e appare davvero il fratello separato alla nascita del Drugo di Jeff Bridges. Non è un blockbuster e nemmeno un campione d'incassi, un classico moderno da vedere e rivedere semmai, un trip non da capire ma da assecondare, un flusso di coscienza di due ore e mezza che mescola follemente cultura pop, fumetti, droghe collettive (marijuana) a droghe solitarie (eroina), musica e surf a un'idea acida e pazzoide. Anderson gira il tutto in 35 mm per rendere ancora meglio lo stile seventies e grazie a colori saturi e a un'ottima fotografia confeziona probabilmente il suo miglior film. In tutta questo delirio fatto di assurdo e surreale è assolutamente assurdo e surreale che Joaquin Phoenix non sia stato candidato agli Oscar nel novero degli Attori Protagonisti.
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kondor17
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venerdì 28 agosto 2015
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intricato ma divertente
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Thriller psichedelico magistralmente interpretato sia da Phoenix che dal grande Josh Brolin. Uno sballato investigatore privato, Doc, si trova alle prese con un intricato caso di sparizione dell'amante della ex. Tra bordelli cinesi, navi fantasma e informatori scomparsi, il film si sviluppa in un turbinio di colori e in una serie di scatole cinesi di cui si perde il conto, mitigato dal fumo ristoratore dell'erba che aleggia dalla prima all'ultima scena. Strampalato quanto il grande lebowski, il ritmo incalzante dei dialoghi e dei personaggi, che via via escono dal cilindro, non lascia tregua e ti trovi tuo malgrado coinvolto e divertito, magari con la promessa di rivederlo un'altra volta con calma.
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Thriller psichedelico magistralmente interpretato sia da Phoenix che dal grande Josh Brolin. Uno sballato investigatore privato, Doc, si trova alle prese con un intricato caso di sparizione dell'amante della ex. Tra bordelli cinesi, navi fantasma e informatori scomparsi, il film si sviluppa in un turbinio di colori e in una serie di scatole cinesi di cui si perde il conto, mitigato dal fumo ristoratore dell'erba che aleggia dalla prima all'ultima scena. Strampalato quanto il grande lebowski, il ritmo incalzante dei dialoghi e dei personaggi, che via via escono dal cilindro, non lascia tregua e ti trovi tuo malgrado coinvolto e divertito, magari con la promessa di rivederlo un'altra volta con calma. Non così bello come Las Vegas di Gilliam, la sensazione alla fine è però la stessa. Strambo e sballato, ma comunque riuscito. Se Anderson riuscisse a comprimere i tempi, e anche qui poteva farlo, non sarebbe male. Bellissimo il trucco, le acconciature e azzeccate le musiche. Cast d'eccezione e ottime performances. Voto 7
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liuk!
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giovedì 30 luglio 2015
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erba anche fuori dal set
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Idea interessante quella di ambientare un giallo negli anni 70 tra gli hippie. Sebbene il rock&roll sia poco presente, sicuramente droga e sesso non mancano, purtroppo devono averne abusato anche gli adetti ai lavori in quanto il lavoro complessivo e contorto, eccessivo e spesso noioso.
La trama é infinitamente intricata, ogni dieci minuti spunta un personaggio nuovo e ed il giallo si complica, non lasciando ragionare lo spettatore che, alla lunga, perde il filo.
Avrei puntato maggiormente sul lato comico, tralasciando inutili scene grottesche, e sul lato sonoro.
Un vero peccato non poterlo consigliare.
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alexander 1986
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giovedì 2 luglio 2015
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troppo fumo e poco film
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LA, anni '70. 'Doc' Sportello (Joaquin Phoenix) è un detective privato naif e costantemente strippato, ma non gli manca il lavoro. L'ultimo glielo assegna l'ex-fidanzata Shasta: dovrà capire chi vuol fare la pelle al nuovo amante di questa, l'impreditore edile Wolfmann. Fra agenti corrotti, ebrei con simpatie naziste, furfanti generosi e tanta ma tanta sporcizia nascosta sotto i tappeti più rispettabili, Doc compirà un vero e proprio viaggio lungo il tramonto dell'ultima America.
Da una pellicola di Anderson è sempre lecito aspettarsi qualcosa di speciale. In questo caso abbiamo a che fare con l'adattamento del romanzo di uno degli autori par excellence ritenuti meno adatti allo scopo: Thomas Pynchon, profeta del postmodernismo.
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LA, anni '70. 'Doc' Sportello (Joaquin Phoenix) è un detective privato naif e costantemente strippato, ma non gli manca il lavoro. L'ultimo glielo assegna l'ex-fidanzata Shasta: dovrà capire chi vuol fare la pelle al nuovo amante di questa, l'impreditore edile Wolfmann. Fra agenti corrotti, ebrei con simpatie naziste, furfanti generosi e tanta ma tanta sporcizia nascosta sotto i tappeti più rispettabili, Doc compirà un vero e proprio viaggio lungo il tramonto dell'ultima America.
Da una pellicola di Anderson è sempre lecito aspettarsi qualcosa di speciale. In questo caso abbiamo a che fare con l'adattamento del romanzo di uno degli autori par excellence ritenuti meno adatti allo scopo: Thomas Pynchon, profeta del postmodernismo. Un'impresa difficilissima, anche con il meno difficile fra i libri dello scrittore statunitense.
L'impianto noir in stile hard boiled è in tutta evidenza una copertura per raccontare lo spaccato antropologico che interessa al regista. Al contrario di quel che di norma accade nei gialli, qui la trama non si semplifica e anzi a lungo andare non fa che complicarsi. Il procedimento è quello dell'accumulazione di dati, personaggi, eventi. Nessuno si aspetta che capiate chi ha ucciso chi o dove va a parare il protagonista. Tutto si svolge agli occhi dello spettatore come un non-sense fine a se stesso, nella cui natura consiste paradossalmente tutto il contenuto del discorso di Pynchon-Anderson. L'idea è che nella nuova America della fallita rivoluzione sessuale e dei costumi non sia più possibile trovare una verità ma solo schegge di piacere in una vita di noia. È la filosofia dei tossici applicata a paradigma esistenziale. Ed è anche l'ultimo colpo sferrato da Anderson alle mistificazioni del sogno americano, ridotto a una fabbrica di malati utili solo a ingrassare i potenti di turno. Qualcuno potrebbe giustamente definirlo come una nuova versione de 'Il grande Lebowski'; io non glielo impedirò.
Al di là di tutto, fra i film del grande regista - fra i pochi veri "autori" di Hollywood - è quello che mi è piaciuto meno. La maestria dello stile c'è sempre, gli interpreti sono perfetti, sceneggiatura e colonna sonora restano sopra le righe. Non gli si può dare meno di tanto.
Al tempo stesso non credo che gli si possa dare di più. Non mi assocerò a quei cinefili mandati in visibilio dal citazionismo estenuato da Anderson qui più che altrove, né ritengo che il valore di un film equivalga alla somma delle sue parti o alla difficoltà della realizzazione. Stavolta non ho visto quell'ispirazione che altrove avrebbe consentito al regista americano di superare i limiti della semplice calligrafia. Troppo pulito, per essere un film di fattoni.
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misesjunior
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lunedì 8 giugno 2015
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d'accordo con tutto meno che con l'ultima frase
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Il sogno americano è stato sempre fondamentalmente e in primis far soldi e migliorare economicamente, e ancora oggi è così- Chiedetelo agli immigranti illegali che arrivano a decine di migliaia ogni anno. La decadenza è dell'Europa, sempre invidiosa è caricaturista dell'America.
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gumbus
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lunedì 6 aprile 2015
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grosso telefilm....
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Il film è fondato sul piatto, schiacciato, depresso personaggio di doc Sportello ed è uniformato al suo eroe. PTA stavolta esplora il genere del telefilm poliziesco (i pantaloni di Benicio del Toro ricordano Colombo) e riempie quel plot all'inverosimile di tutti i contenuti e i riferimenti del tempo. (In effetti quel prodotto spiccava sempre per smalto brillantezza soluzione). Ma la rilettura e il completamento di PTA appunto lo appiattisce, creando dei microrilievi incredibili. Il risultato di una operazione complicatissima è perciò riuscito. C'è una saturazione che non stanca veramente e una leggerezza possente, anni 70. Come negli altri film di PTA il dialogo spazio-tempo è faticoso per lo spettatore, è la sua cifra, ma come negli altri c'è una umanità ricordata e più che mai una bellezza che stupisce.
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Il film è fondato sul piatto, schiacciato, depresso personaggio di doc Sportello ed è uniformato al suo eroe. PTA stavolta esplora il genere del telefilm poliziesco (i pantaloni di Benicio del Toro ricordano Colombo) e riempie quel plot all'inverosimile di tutti i contenuti e i riferimenti del tempo. (In effetti quel prodotto spiccava sempre per smalto brillantezza soluzione). Ma la rilettura e il completamento di PTA appunto lo appiattisce, creando dei microrilievi incredibili. Il risultato di una operazione complicatissima è perciò riuscito. C'è una saturazione che non stanca veramente e una leggerezza possente, anni 70. Come negli altri film di PTA il dialogo spazio-tempo è faticoso per lo spettatore, è la sua cifra, ma come negli altri c'è una umanità ricordata e più che mai una bellezza che stupisce.
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howlingfantod
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domenica 29 marzo 2015
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graffiante....o subdolo spot?
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Se non lo sai che il film è tratto da un romanzo di Pynchon non realizzi quanto sia in ordine con lo spiazzante, il grottesco e trovi la sua logica in un barocco, eccessivo mostrarci la società americana di 45 anni fa allora come oggi in disfacimento con le sue paranoie le sue vecchie sempiterne guerre, la sua sana pianta malata, le sue ossessioni e i suoi ”vizi di forma”. Se lo sai, allora seguirai il labirintico svolgersi del plot lasciandoti quasi semplicemente trascinare e anche divertire dai suoi grandi interpereti che strizzano l’occhio a più generi , senza cercare un climax retorico che è sempre e solo apparente come in tutti i film di P.T. Anderson, se ancora pensi che non sia solo una digressione non autorizzata domandati se l’iconoclasta regista della West coast che mette alla berlina la società alla deriva nella quale vive o della quale si sente in obbligo di rivolgersi contro, non debba interrogarsi se non ci potessimo essere accorti che tutti quegli spinelli che volano di mano in mano da Doc Sportello, l’eroe buono proppiano della fiaba e con la faccia da Gesù Cristo (ottimo Joaquin Phoenix), ai suoi comprimari nel film, non sia un inno alla legalizzazione delle droghe leggere che sta correndo in America e a quale scopo, forse di qualche multinazionale dell’erba che fa lobby anche tramite il cinema alternativo?.
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Se non lo sai che il film è tratto da un romanzo di Pynchon non realizzi quanto sia in ordine con lo spiazzante, il grottesco e trovi la sua logica in un barocco, eccessivo mostrarci la società americana di 45 anni fa allora come oggi in disfacimento con le sue paranoie le sue vecchie sempiterne guerre, la sua sana pianta malata, le sue ossessioni e i suoi ”vizi di forma”. Se lo sai, allora seguirai il labirintico svolgersi del plot lasciandoti quasi semplicemente trascinare e anche divertire dai suoi grandi interpereti che strizzano l’occhio a più generi , senza cercare un climax retorico che è sempre e solo apparente come in tutti i film di P.T. Anderson, se ancora pensi che non sia solo una digressione non autorizzata domandati se l’iconoclasta regista della West coast che mette alla berlina la società alla deriva nella quale vive o della quale si sente in obbligo di rivolgersi contro, non debba interrogarsi se non ci potessimo essere accorti che tutti quegli spinelli che volano di mano in mano da Doc Sportello, l’eroe buono proppiano della fiaba e con la faccia da Gesù Cristo (ottimo Joaquin Phoenix), ai suoi comprimari nel film, non sia un inno alla legalizzazione delle droghe leggere che sta correndo in America e a quale scopo, forse di qualche multinazionale dell’erba che fa lobby anche tramite il cinema alternativo?.....alla faccia della denuncia del sistema tramite lo squinternato- Matrix detective Sportello (nome comunque indimenticabile). Per questo sospendo il giudizio.
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francesco2
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sabato 28 marzo 2015
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Il giudizio, la recensione, ma anche il paragone coi Coen........anche se a me è venuto in mente un altro film, non "Il grande Lebowski".
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