Come sempre Rubini riesce a sorprendere!
Questa volta lontano dai lidi natii come in Colpo d'occhio, Rubini mette in scena un tema assai caro all'artista - nello specifico dell'arte, tematica affrontata proprio in Colpo d'occhio e nel penultimo film L'uomo nero, e invece nell'ambito della rivalità femminile nell'Anima gemella - e sceglie come chiave narrativa la commedia a mo' di favola surreale, di racconto parossistico molto ben congeniato e dai risvolti etici.
La storia di Biagio Bianchetti, imprenditore suicida che non ne può più della vita perché non ha mai creduto in niente se non nel successo e quindi nella sopraffazione dell'altro, ambizione delusa dall'incontro sfortunato con chi a sua volta - cosa che si scoprirà a metà film - era vittima del dogma di essere primo, dogma instillato da un padre padrone, è una storia esemplare, nel senso che può capitare a chiunque, a chi, prigioniero delle logiche del capitalismo, abbia lo sguardo offiuscato e non riesce più a capire il valore di quello che ha, di sua moglie, dell'affettività, della vita insomma, tant'è che si uccide. Non è un caso che quando Biagio oltrepassa la linea del reale e si ritrova in un aldilà che viene rappresentato come fosse un luogo di purificazione, un magnifico albergo dei primi del novecento dove ti indicano a che piano sei destinato per via della tua condotta sulla terra, ad accoglierlo ci sono proprio i nemici del capitalismo, Carlo Marx in persona! Ma le sorprese non si fermano qui e tutti i nodi che un tempo soffocavano la vita di Biagio si sciogleranno....
Il resto della storia va visto al cinema ma ciò che sorprende del film è la capacità del regista di raccontare un tema così profondo e drammatico - morte/vita - con brillante ironia, strizzando l'occhio allo spettatore per la serie di sciagurati e paradossali eventi a cui va incontro il suo tenerissimo protagonista e conducendolo verso il finale ad una riflessione nostalgica sull'esistenza e tutto ciò che ci lasciamo una volta finita.
Il film ha tanti registri ma la possibilità di coinvolgere un'eterogeneità di spettatori. Film consigliato soprattutto a chi ama il cinema e pretende dall'arte una parola in più per acchiappare il senso più profondo dell'esistente. Straordinari gli attori sia per la scelta - come in molti film di Rubini azzeccatissima e fuori dalle mode della nuova generazione di quarantenni che non sanno nemmeno cosa sia il teatro e spesso sono protagonisti di commedie di costume che montate una dietro l'altra equivalgono a una lunga serialità da vedersi tra un piatto di spaghetti e una birra e che non richiedono alcun approfondimento se non un'identificazione piatta con la scialba realtà che vivono - sia per la resa effettiva. Lillo attore surreale che in America farebbe tutti i film dei Cohen, Solfrizzi attore alla Jerry Lewis pochissimo utilizzato in questa sorprendente veste. Marcorè finalmente nei panni di un cattivo in realtà molto sfigato, e infine Rubini, attore poliedrico che vorremmo vedere più protagonista, perché stella tra le stelle. Un film che ricorda Capra, Wilder, Lubich, come molti critici hanno scritto. Assolutamente da non perdere e per il grande pubblico.
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