ozne_la
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domenica 15 settembre 2013
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la disperazione dei giovani
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Su Albanese e Amelio hanno già commentato in tanti. Io vorrei focalizzarmi su due dettagli del film: la disperazione dei due giovani, Lucia e il figlio; la mancanza di umanità nei rapporti con diversi altri "italiani" del film, dal tipo della palestra che gli offre di fare i rimpiazzi ma non lo paga, a quello che gli affida un bambino da consegnare a un pedofilo, al compagno della moglie che è immischiato in loschi traffici. Amelio lascia agli stranieri la speranza di redenzione, da quelli del suo pianerottolo con cui condivide i rari momenti di socialità, fino a far emigrare Antonio in Albania (!) a fare il minatore. Quasi come se tutta l'Italia debba in qualche modo tornare alle origini del dopoguerra e cercare lì la chiave per far ripartire le due generazioni, quella dei padri e quella dei figli.
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Su Albanese e Amelio hanno già commentato in tanti. Io vorrei focalizzarmi su due dettagli del film: la disperazione dei due giovani, Lucia e il figlio; la mancanza di umanità nei rapporti con diversi altri "italiani" del film, dal tipo della palestra che gli offre di fare i rimpiazzi ma non lo paga, a quello che gli affida un bambino da consegnare a un pedofilo, al compagno della moglie che è immischiato in loschi traffici. Amelio lascia agli stranieri la speranza di redenzione, da quelli del suo pianerottolo con cui condivide i rari momenti di socialità, fino a far emigrare Antonio in Albania (!) a fare il minatore. Quasi come se tutta l'Italia debba in qualche modo tornare alle origini del dopoguerra e cercare lì la chiave per far ripartire le due generazioni, quella dei padri e quella dei figli.
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stefano73
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domenica 15 settembre 2013
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bravo antonio albanese...ma poi tante domande
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bravo Antonio Albanese nel ruolo drammatico di Antonio Pane, 48enne milanese disoccupato e alla ricerca di sopravvivere. Per il resto poco niente, tante vicende che muiono nel nulla, lento, senza reali intrecci, tante incognite e niente brio.
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giofredo'
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giovedì 12 settembre 2013
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alla redazione
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VORREI PER QUANTO POSSIEDO LA MASSIMA COSSIDERAZIONE PER VOI (CINEMA) CHE QUANDO ESPRIMO UNA SEMPLICE, SE PUR STUPIDA OPINIONE, VOI, ESSERI, LA PUBLICASTE:INFINITAMENTE GRAZIE!
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giofredo'
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mercoledì 11 settembre 2013
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non ne facciamo un dramma!
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ho lAsciato un opinione alla Mangiaricina(se ricordo il cognome) perche nom e stata evidenziata?
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deborissimah
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mercoledì 11 settembre 2013
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l'intrepido - come non arrendersi mai
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"Fortunato chi lavora, almeno può scioperare". E' tutta racchiusa in questa frase la filosofia di fondo di un film che rispecchia se non i tempi, sicuramente la situazione psicologica in cui si trovano oggi tantissime persone che hanno perso il lavoro e non sanno cosa fare. Tanti italiani si possono riconoscere nella figura di Antonio Pane che, forse un po' paradossalmente, ogni giorno è disposto a cambiare lavoro, pur di alzarsi la mattina, farsi la barba e uscire di casa per sentirsi utile in qualche maniera perché "è brutto la mattina quando ti alzi e non sai dove andare". E allora tutti i lavori diventano belli purché lo tirino fuori da questa situazione intollerabile, dal rischio di sentirsi inutile, inadeguato, ai margini.
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"Fortunato chi lavora, almeno può scioperare". E' tutta racchiusa in questa frase la filosofia di fondo di un film che rispecchia se non i tempi, sicuramente la situazione psicologica in cui si trovano oggi tantissime persone che hanno perso il lavoro e non sanno cosa fare. Tanti italiani si possono riconoscere nella figura di Antonio Pane che, forse un po' paradossalmente, ogni giorno è disposto a cambiare lavoro, pur di alzarsi la mattina, farsi la barba e uscire di casa per sentirsi utile in qualche maniera perché "è brutto la mattina quando ti alzi e non sai dove andare". E allora tutti i lavori diventano belli purché lo tirino fuori da questa situazione intollerabile, dal rischio di sentirsi inutile, inadeguato, ai margini. Tutti i lavori, purché siano onesti, ma questo purtroppo non succede sempre, anzi si rischia, al giorno d'oggi, di trovare o lavori non pagati o situazioni poco chiare che velocemente sfociano nell'illegalità.
La ricostruzione dell'Italia di oggi di Gianni Amelio passa dall'improbabile "impiego" del protagonista, commissionato da un uomo senza scrupoli con la gotta, "la malattia dei re" che si lamenta quando gli viene chiesto il dovuto "tutti uguali, prima fammi lavorare, fammi lavorare e poi vonno esse pagati subbito"; in un improvvisato ufficio di collocamento che è una via di mezzo tra una palestra e la sala d'attesa di una stazione: spoglio, sterile, triste, che non lascia presagire nulla di buono. Nonostante tutto però Antonio Pane non perde mai la speranza e trova la forza anche per aiutare suo figlio quando è lui ad averne bisogno.
Sono forse troppe le cose che ci vuole raccontare Gianni Amelio e qualcosa si perde per strada; non aiuta la scarsità dei personaggi satellite, appena accennati e resi malino dagli interpreti. Strepitoso come sempre Albanese, che da solo regge tutto il film e che ci fa identificare in questa figura positiva, credere che è possibile, anche in un momento nero come questo, uscire dal baratro e cavarsela in qualche modo.
Consigliato a tutti.
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pressa catozzo
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martedì 10 settembre 2013
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amate sponde
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Neanche il Vaiont, il terremoto del Belice l'esondazione di fiumi incendi e cataclismi vari hanno reso questo paese come una nave da affondare. Credo che Amelio si stato buono offrendoci nel finale un barlume di speranza con la resurrezione del figlio. Sempre meglio di demenzialità americane.
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boyracer
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martedì 10 settembre 2013
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milano (italia) da ricostruire.
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Gianni Amelio è un grande regista, Antonio Albanese un grande attore (prima ancora che comico), su questi due dati di fatto, due ovvietà, potremmo azzardare, crediamo non si possano avere dubbi.
Dal loro incontro non poteva che nascere un grande film… Eppure c’è qualcosa che non torna in questo pur buon lavoro, qualcosa che lascia l’amaro in bocca e la classica impressione di occasione sprecata.
L’idea di partenza, il soggetto, è certamente azzeccata: Antonio, il protagonista (Albanese), è un lavoratore molto atipico, rimpiazza gli altri quando per qualsiasi motivo non possono recarsi sul luogo di lavoro, ma nemmeno possono restare assenti, neanche per malattia (perché magari non è contemplata nel contratto… quando il contratto c’è!).
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Gianni Amelio è un grande regista, Antonio Albanese un grande attore (prima ancora che comico), su questi due dati di fatto, due ovvietà, potremmo azzardare, crediamo non si possano avere dubbi.
Dal loro incontro non poteva che nascere un grande film… Eppure c’è qualcosa che non torna in questo pur buon lavoro, qualcosa che lascia l’amaro in bocca e la classica impressione di occasione sprecata.
L’idea di partenza, il soggetto, è certamente azzeccata: Antonio, il protagonista (Albanese), è un lavoratore molto atipico, rimpiazza gli altri quando per qualsiasi motivo non possono recarsi sul luogo di lavoro, ma nemmeno possono restare assenti, neanche per malattia (perché magari non è contemplata nel contratto… quando il contratto c’è!). E li rimpiazza nei lavori più umili e faticosi che esistono a Milano, un vero tuttofare che si adatta con “passione” a qualsiasi impiego, anche se poi non sempre viene pagato. Ha un figlio adulto ed è separato dalla moglie, si arrabatta come può in attesa un giorno di trovare uno di questi lavori in maniera stabile. Un giorno incontra una giovane ragazza sfortunata più o meno come lui, e, come sempre fa con tutti, cerca di aiutarla.
Questo buon soggetto, che può favorire la trattazione di tanti argomenti attualissimi, viene però reso “improbabile” dall’eccessiva esasperazione del personaggio. Non sappiamo se esistano veramente figure di questo tipo, ma anche se fosse non potrebbero realmente fare (e così bene) tutti i lavori che Albanese fa nel film. La precarietà è certamente uno dei mali maggiori della nostra società, ma caratterizzarlo in modo così estremo e irrealistico, rischia di farne quasi una macchietta.
Da questo spunto vengono poi affrontati diversi altri mali dell’Italia disastrata di questi anni, insieme alle sue vittime (decine di palazzi in costruzione che cancellano il cielo dalla vista e coprono di cemento la terra, extracomunitari sfruttati, giovani disadattati senza futuro né speranza, cittadini indifferenti, personaggi senza scrupoli, persone sole che non sanno più parlare con nessuno…), forse in un eccesso di argomenti che lascia un po’ confusi.
Inoltre la recitazione eccessivamente lirica e teatrale, sicuramente chiesta da Amelio ad Albanese, e non certo una peculiarità negativa di quest’ultimo, e i tempi particolarmente lunghi delle scene, pregiudicano il piacere di apprezzare la poesia delle immagini e dei dialoghi che raggiunge in certi momenti livelli molto elevati.
Un film comunque da vedere, una buona prova d’autore e da attore, ma le aspettative (giustamente) alte dall’incontro di due grandi del cinema italiano, non sono state del tutto soddisfatte.
Nota di folklore a margine.
Antonio Albanese ha regalato domenica una breve presentazione del film al pubblico delle 20,00. Prima si è concesso ad autografi e foto di rito con l’entusiasmo e la disponibilità che tutti gli attori italiani dovrebbero avere (“dovrebbero”, sì). Antonio è un vero artista appassionato del suo lavoro e pieno di riconoscenza verso il suo pubblico, che scherza e gioca con i suoi fan come un bambino felice, divertito e quasi incredulo della sua notorietà, ancora adesso dopo oltre venti anni di carriera straordinaria che l’hanno portato ad essere uno dei principali attori del panorama italiano. Ancora con l’umiltà e l’entusiasmo di un principiante. Chapeau!
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lucyelisa
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lunedì 9 settembre 2013
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film interessante
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Gianni Amelio, con la grande sensibilità che caratterizza tutta la sua produzione artistica , affida la rappresentazione della tragedia umana della disoccupazione , dello sfruttamento e della precarietà alla splendida interpretazione di Antonio Albanese, attore eclettico e versatile , capace di passare dal cinismo e rozzezza di Cettolaqualunque alla delicatezza , ingenuità e sensibilità di Antonio Pane, un uomo buono e generoso , maestro elementare privo di stabile occupazione ( separato dalla moglie ) che fa di mestiere il "rimpiazzo" ma con levità, motivazione , serietà e senza autocommiserarsi , sullo sfondo di una Milano plumbea con una efficace fotografia . Riaffiorano i temi cari ad Amelio , la realtà dell'Albania ( "Lamerica" ) i rapporti tra padre e figlio ( "le chiavi di casa" ) ed ,in genere ,l'inquietudine giovanile, ma i due giovani protagonisti , mi sembrano appena abbozzati rispetto al protagonista e le sequenze risultano un po' slegate e scarsamente omogenee ; ne risulta un ritmo narrativo piuttosto lento e cupo ,senza sussulti , con un risultato complessivo di una certa pesantezza che nuoce all'originalità dell'idea di fondo ed alla memorabile performance del protagonista.
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Gianni Amelio, con la grande sensibilità che caratterizza tutta la sua produzione artistica , affida la rappresentazione della tragedia umana della disoccupazione , dello sfruttamento e della precarietà alla splendida interpretazione di Antonio Albanese, attore eclettico e versatile , capace di passare dal cinismo e rozzezza di Cettolaqualunque alla delicatezza , ingenuità e sensibilità di Antonio Pane, un uomo buono e generoso , maestro elementare privo di stabile occupazione ( separato dalla moglie ) che fa di mestiere il "rimpiazzo" ma con levità, motivazione , serietà e senza autocommiserarsi , sullo sfondo di una Milano plumbea con una efficace fotografia . Riaffiorano i temi cari ad Amelio , la realtà dell'Albania ( "Lamerica" ) i rapporti tra padre e figlio ( "le chiavi di casa" ) ed ,in genere ,l'inquietudine giovanile, ma i due giovani protagonisti , mi sembrano appena abbozzati rispetto al protagonista e le sequenze risultano un po' slegate e scarsamente omogenee ; ne risulta un ritmo narrativo piuttosto lento e cupo ,senza sussulti , con un risultato complessivo di una certa pesantezza che nuoce all'originalità dell'idea di fondo ed alla memorabile performance del protagonista.
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goldy
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lunedì 9 settembre 2013
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che peccato!
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Avrebbe potuto essere un piccolo grande film da ricordare per leggerezza e poesia se solo regista e sceneggiatore avessero avuto le idee chiare sulla storia che volevano raccontare . Invece, dppo un inizio delizioso con un Albanese che da solo riempie lo schermo di staripante e credibile umanità struggente per l'efficacia che esprime nel saper rendere lo smarrimento e l'insostenibilità della realtà che stiamo vivendo il film si perde poi in tanti rivoli che spengono la tensione narrativa. Il film non finisce mai e abbandonare la dimensione oggettiva per entrare in quella soggettiva dei personaggi è un peccato mortale.
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Avrebbe potuto essere un piccolo grande film da ricordare per leggerezza e poesia se solo regista e sceneggiatore avessero avuto le idee chiare sulla storia che volevano raccontare . Invece, dppo un inizio delizioso con un Albanese che da solo riempie lo schermo di staripante e credibile umanità struggente per l'efficacia che esprime nel saper rendere lo smarrimento e l'insostenibilità della realtà che stiamo vivendo il film si perde poi in tanti rivoli che spengono la tensione narrativa. Il film non finisce mai e abbandonare la dimensione oggettiva per entrare in quella soggettiva dei personaggi è un peccato mortale. Possibile che Amelio non tirsca a fare un film senza rifarsi al rapporto padre-figlio che qui è assolutamente inutile nell'economia della storia?
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mangiaracina
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lunedì 9 settembre 2013
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albanese, buddista per caso
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Nel '71 Elio Petri realizzava "La classe operaia va in paradiso" denunciando il lavoro maledetto, vissuto con rabbia, quello alienante della catena di montaggio nell'era delle rivendicazioni sindacali per i dirirtti e la sicurezza. Dopo quasi mezzo secolo Gianni Amelio realizza un'opera pregevole che coglie il segno dei tempi con una rara apologia del lavoro al tempo della crisi, un lavoro desiderato in tutte le sue forme che non è più fatica ma autorealizzazione, che non logora ma nobilita davvero. Il protagonista (Antonio Albanese) lavora per il piacere non per il dovere, e in ogni lavoro trova l'autorealizzazione, la voglia di "farsi la barba tutte le mattine".
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Nel '71 Elio Petri realizzava "La classe operaia va in paradiso" denunciando il lavoro maledetto, vissuto con rabbia, quello alienante della catena di montaggio nell'era delle rivendicazioni sindacali per i dirirtti e la sicurezza. Dopo quasi mezzo secolo Gianni Amelio realizza un'opera pregevole che coglie il segno dei tempi con una rara apologia del lavoro al tempo della crisi, un lavoro desiderato in tutte le sue forme che non è più fatica ma autorealizzazione, che non logora ma nobilita davvero. Il protagonista (Antonio Albanese) lavora per il piacere non per il dovere, e in ogni lavoro trova l'autorealizzazione, la voglia di "farsi la barba tutte le mattine". E' in fondo il luogo delle relazioni umane profonde, dell'empatia, della solidarietà, della crescita personale. Buddista per caso, Albanese incede con lieve sicurezza fra i drammi grandi e piccoli dell'esistenza, osservandoli con lo sguardo di un professionista navigato più che con quello di un bambino. Un film gradevole per la sua leggerezza, che si gode d'un fiato, che permette ilstacco per guardare alla vita con disincanto, e un tema ben trattato cinematograficamente come mai è stato fatto nel passato. Regia e protagonista rendono il miglior servizio al soggetto, con un grande Albanese che rende il meglio di sé nel cinema impegnato, addirittura meglio de "La seconda notte di nozze" di Pupi Avati.
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[+] tu che ne sai dei buddisti?
(di giofredo')
[ - ] tu che ne sai dei buddisti?
[+] per la sua leggerezza?
(di gianmaurizio)
[ - ] per la sua leggerezza?
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