C’era una volta un panciuto e buffo maiale vietnamita. In una notte tempestosa cadde in mare e, portato dalle onde, arrivò in una terra lontana. I due popoli che abitavano questa terra erano in guerra tra loro e si odiavano da secoli e secoli. Entrambi disprezzavano anche il povero maiale perché le loro millenarie tradizioni lo consideravano un animale impuro e reietto … fu così che…
La storia dell’insoluto naufrago nell’inquieto mare d’oriente potrebbe iniziare anche così, come una favola, perché a tutti gli effetti proprio di una favola moderna si tratta.
Una favola surreale, spassosa ed esilarante, per ironia della sorte ambien-tata nell’odierna Palestina, nella terra più martoriata e sofferente del pianeta. Se le disavventure del goffo porcello appaiono satiriche e grottesche, benché raffinate e colte (molto più di quel che sembra), le vicende sullo sfondo e gli scenari del conflitto israelo-palestinese sono tragicamente reali, impregnati di polvere e sudore, dolore e miseria, come in un film neorealista del dopoguerra. Il protagonista della storia è Jafaar, un umile e mite pescatore palestinese, indebitato e poverissimo, che vive in una catapecchia nella Striscia di Gaza a ridosso del muro, tra l’altro con l’obbligo di ospitare sul tetto un presidio di soldati israeliani. Non potendo allontanarsi dalla costa perché proibito ai palestinesi Jafaar riesce a pescare solo ciarpame e minuscole sardine, chiaramente invendibili al mercato.
Dopo una notte di tempesta lo sventura-to pescatore si ritrova nella rete un grosso maiale, forse caduto da una nave. Sconvolto e in preda al panico perché sia l’Islam che l’Ebraismo lo considerano una bestia impura, che non deve nemmeno essere toccata, prima cercherà maldestramente di disfarsene, poi, avendo saputo che una colonia ebraica li alleva (come anti-mina per il loro straordinario olfatto), cercherà di guadagnarci un po’ di soldi.
Sarà l’inizio di una sarabanda di esila-ranti equivoci, di rovesciamenti di senso e situazioni paradossali, fino allo spiazzante colpo di scena finale.
Alcune scene sono memorabili, per esempio quando il povero maiale viene travestito da pecora o quando gli vengono messi i calzini perché un porco non può calpestare il sacro suolo d’Israele, ma le trovate incredibili e le risate sono veramente moltissime.
Lo stupefacente esordio del regista franco-uruguaiano Sylvain Estibal, che tra l’altro non é arabo tantomeno ebreo, è la dimostrazione che con la satira e l’ironia si possono affrontare anche argomenti ostici e rischiosi come l’esplosiva situazione mediorientale e la tragedia del popolo palestinese. Il suo “grido di rabbia comico”, come lui stesso l’ha definito, è in grado, più di qualsiasi saggio giornalistico, di svelare ipocrisie religiose e pregiudizi culturali ancestrali, spesso strumentalizzati per mascherare interessi economici e politici. E questo senza guardare in faccia nessuno né simpatizzando per una delle due parti, lo fa con l’irriverenza e la spregiudicatezza di chi vuole capire e non criticare, unire e non dividere. Non c’è traccia di violenza nella storia dello sfortunato pescatore, nemmeno di volgarità. L’umanità e la tenerezza dei personaggi di Estibal, prima di tutto lo straordinario protagonista Jafaar, capro espiatorio per definizione, mai vinto o rassegnato, quasi un sorta di Charlie Chaplin moderno, ridicolizzano proprio l’intolleranza e la violenza di entrambe le fazioni, l’assurdità dell’odio etnico e religioso. Non a caso il regista uruguagio per il ruolo del pescatore palestinese ha voluto a tutti i costi lo strepitoso Sasson Gabay, attore israeliano di origini irachene, mentre l’attrice che interpreta la giovane allevatrice della colonia ebraica è la tunisina Myriam Tekaia, di religione mussulmana. Se la regia e la sceneggiatura hanno valso al cineasta sudamericano il prestigioso premio Cesar come miglior opera prima, è giusto evidenziare anche la bellissima colonna sonora e la qualità della fotografia. L’onirico e toccante finale, in particolare la splendida immagine con cui si chiude il film, possiedono la delicatezza e la grazia di un messaggio di pace e di speranza autentico, per nulla retorico, tanto sincero quanto necessario.
… e fu così che il buffo e panciuto maiale, da sempre simbolo di impurità e di pregiudizio riuscì a unire i due popoli rivali, prendendo il posto, per una volta, della bianca colomba della pace.
[+] lascia un commento a sergio dal maso »
[ - ] lascia un commento a sergio dal maso »
|