| Anno | 2011 |
| Genere | Documentario |
| Produzione | USA |
| Durata | 84 minuti |
| Regia di | Ross McElwee |
| MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 24 agosto 2011
Il documentario racconta la storia di un padre che vuole avvicinarsi al proprio figlio, riscoprendo il passato. Presentato al Festival di Venezia 2011, nella sezione Orizzonti.
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CONSIGLIATO SÌ
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Il regista Ross McElwee si trova spesso in conflitto con il figlio Adrian, non più l'adorabile bambino che amava, ma un giovane adulto scostante che vive nel mondo virtuale di internet. Adrian appare al padre costantemente distratto, dipendente dalle nuove tecnologie, incapace di portare a termine qualsiasi progetto e pericolosamente attratto dal rischio e dall'adrenalina che gli procura la pratica dello sci estremo, di cui è appassionato. Incapace di entrare in contatto col figlio e di comunicare veramente con lui, il regista decide di guardare al proprio passato, alle aspettative che suo padre nutriva nei suoi confronti all'età che ha ora Adrian e al suo fuggirgli di proposito in Francia, in cerca di una strada propria, per quanto all'epoca ancora impossibile da intravedere. McElwee parte dunque dagli Stati Uniti alla volta di St. Quay Portrieux, in Bretagna, dove aveva lavorato una stagione come assistente ad un fotografo di matrimoni, a 24 anni, e non era mai più tornato. Spera che il viaggio lo aiuti a ricordare com'era la propria vita, a ritrovare Maurice il fotografo-filosofo, e Maud, la donna con cui aveva avuto una relazione sentimentale quella primavera di 38 anni fa.
Documentarista sui generis, redattore di riflessioni ricche di ironia e profondità, McElwee realizza con Photographic memory un video-diario più personale di altri, un film-saggio nel quale è più volte costretto a guardarsi (non solo metaforicamente) allo specchio.
La memoria fotografica in senso stretto è proprio ciò che Ross uomo, prima ancora che regista del documentario, non possiede in questo particolare frangente; al punto che non si accorge che il negozio di Maurice si trovava esattamente nell'edificio che ora vede tutti i giorni, di fronte ai propri occhi. Eppure il film, che non sfrutta materiale d'archivio alcuno, fatta eccezione per un paio di filmati di Adrian bambino, è fatto essenzialmente proprio dei due ingredienti del titolo: ricordi e fotografie.
Meditazione proustiana sul passare del tempo, sulla pratica della fotografia e del cinema, sul conflitto tra digitale e analogico e parallelamente sullo strappo anagrafico tra padre e figlio, il film è tanto più gradevole in quanto, pur avendo a che fare con una materia tra le più sfuggenti, perviene ad un risultato onesto e commovente, spoglio di qualsiasi tentazione retorica o narcisistica.