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Il film è una bella commedia, gli incassi in Francia ne fanno fede, la versione romanzata di una quasi amicizia poi diventata grande, esistente nella realtà. Da un lato c’è Driss, giovanotto di origini senegalesi: una nidiata di fratelli, una zia che si arrabatta con un umile lavoro per crescerli, appena uscito da 6 mesi di galera per rapina, sussidio di disoccupazione e quache canna condivisa con gli amici di strada, dove è cresciuto e si è fatto le ossa per affrontare la giungla cittadina. Dall’altro c’è Philippe alla ricerca di un nuovo badante: miliardario immobilizzato e insensibile dal collo in giù per la paraplegia, una splendida Maserati ormai anch’essa immobilizzata, una moglie che non c’è più e tanta solitudine, la figlia di 16 anni che avrebbe bisogno di una “leggera inquadratina”, una casa da sogno con la servitù, aria di perbenismo e convenzioni come si conviene all’alta società, dove ci si cura delle “barbabietole un po’ indietro e i ravanelli invece pronti”.
Sembra impossibile ma è proprio Driss che Philippe sceglie tra i tanti che cercano l’impiego, eppure il quasi energumeno poco educato era andato lì solo per avere una firma che attestasse la sua ricerca di lavoro ed avere il rinnovo del sussidio. Per Philippe e per le sue collaboratrici, la champagn-osa Yvonne dalle bollicine sopite e la procace bionda e compassata Magalie, che definisce Driss uno dall’”approccio piuttosto basic” che in fondo lei pare apprezzare, questo incontro rappresenta una “botta di vita”, un ciclone, una deregulation che spazza via tante forme insulse e noiose. La Maserati rivivrà scorribande mozzafiato dei due e inseguimenti dei poliziotti ma Driss non ha neppure la patente. Con lui Philippe riscopre “com’è bello respirare a Parigi di notte” e l’autentico piacere di vivere e ridere. E’ lui che fa scoprire a Philippe altri angoli di osservazione: la corrispondenza aulica e impermeata di poesia che questo ha da 6 mesi con una sconosciuta Eleonore da Dunquerque è vista da Driss come una perdita di tempo, per lui è chiaro che una che scrive tre puntini dopo una frase vuole arrivare al “punto”, una a cui andrebbe chiesto “a chiappe come stai messa?” invece di inviarle una prosa sognante e colta, sebbene per l’elegante e raffinato Philippe “l’arte è la sola traccia del nostro passaggio sulla terra”. Tramite lui scopre però come viene vista un’opera lirica da un incolto con “approccio basic” e come la festa del suo compleanno ripetuta ormai quasi noiosamente coi parenti e un’orchestrina di musica classica si possa trasformare in un evento rock con balli liberatori per gli invitati.
E’ proprio per questa “botta di vita” che Philippe parte con Driss sul suo aereo personale a rivivere una discesa col parapendio, che fu la causa della sua invalidità. E’quasi un riflesso condizionato accostare questo film all’antico nostro indimenticabile “Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d’agosto” della Wertmuller con la Melato e Giannini, dove due classi sociali si mischiano e producono scintille di vario genere. Driss si erudirà un po’ e Philippe in cambio ritroverà il “gusto vero della vita”, accanto a qualcuno che gli ha parlato chiaro della sua invalidità scherzandoci sopra e senza sguardi compassionevoli o pietosi. Momenti di emozione a pelle ma anche risate di cuore, come la rasatura di Driss sul volto di Philippe, che lo acconcia a guisa di Fuhrer e scherza su come sarebbe (andata la storia) se i gerarchi nazisti fossero pure loro stati paraplegici, impossibilitati a fare il saluto romano.
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