trammina93
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venerdì 2 maggio 2014
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bello bello bello
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Io adoro Ozpetek e ho visto tutti i suoi film ma credo che questo sia il mio preferito. Il cast è favoloso. Tutti i personaggi sono ben caratterizzati, dai due fratelli gay (Scamarcio e Preziosi), ai genitori che non possono accettare l'omosessualità del figlio in un clima così chiuso di mente e basato sull'apparenza come quello del sud (Ennio Fantastichini e Lunetta Savino), alla sorella sottovalutata perchè è donna e sposata con un idiota, la zia (Elena Sofia Ricci) un pò svampita, alla ricerca di una nuovas avventura amorosa fino alla mina vagante, la serva maltrattata ma gentile, la fantastica nonna (Ilaria Occhini) che non sembra appartenere a quella famiglia per quanto si differenzia dal resto della famiglia e per la schiettezza con cui affronta i famigliari.
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Io adoro Ozpetek e ho visto tutti i suoi film ma credo che questo sia il mio preferito. Il cast è favoloso. Tutti i personaggi sono ben caratterizzati, dai due fratelli gay (Scamarcio e Preziosi), ai genitori che non possono accettare l'omosessualità del figlio in un clima così chiuso di mente e basato sull'apparenza come quello del sud (Ennio Fantastichini e Lunetta Savino), alla sorella sottovalutata perchè è donna e sposata con un idiota, la zia (Elena Sofia Ricci) un pò svampita, alla ricerca di una nuovas avventura amorosa fino alla mina vagante, la serva maltrattata ma gentile, la fantastica nonna (Ilaria Occhini) che non sembra appartenere a quella famiglia per quanto si differenzia dal resto della famiglia e per la schiettezza con cui affronta i famigliari. Un film molto leggero, molto divertente ma che a tratti è molto profondo, persino drammatico. Ozpetek sa affrontare la tematica dell'omosessualità sempre in modo originale e in questo film lo fa divinamente, con ironia, senza essere pesante. Ottimo connubio di comico e tragico. Scaglio una freccia a favore di Scamarcio che, pur partendo da film adolescenziali come Tre metri sopra il cielo (scelta furba perchè si è fatto conoscere al grande pubblico), si è mosatrato sempre più talentuoso. In questo film è più bravo che mai. Come passare da bello e tenebroso a gay che balla davanti lo specchio Cinquantamila. Bellissima scena. Anche gli altri attori che inyerpretano i suoi amici di Roma sono stati fantastici (in particolare Daniele Pecci è stato fantastico). Il monologo finale poi è bellissimo e anche toccante. Se vi piace Ozpetek non potete non vedere questo film, se invece non vi piace Ozpetek dopo questo film cambierete idea.
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jonnylogan
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sabato 31 agosto 2024
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segreti inconfessati
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Ennesima pellicola dal respiro estremamente familiare, perché è nella famiglia che spesso si consumano soprusi fra i meno tollerati, e film che quindi ancora una volta riesce a ripercorrere alcuni dei temi più cari al regista Turco: La convivialità che si può raccogliere attorno a una tavola imbandita, il nucleo familiare incapace di accettare un titolo di studio inadatto per essere utilizzato all'interno dell'azienda di famiglia e a maggior ragione l'inclinazione sessuale, l'omosessualità del protagonista.
Un’omosessualità che è vista come una malattia da debellare da parte di due genitori impersonati da attori credibili, consumati da anni di teatro e cinema, e idonei nell'incarnare gli stilemi di una solida coppia patriarcale del sud Italia: Lunetta Savino edEnnio Fantastichini, quest'ultimo abbandonatosi velocemente a una facile ira che a causa della scoperta della 'diversità' di uno dei suoi figli si troverà, esattamente come previsto, costretto a cacciarlo di casa per poi disconoscerlo.
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Ennesima pellicola dal respiro estremamente familiare, perché è nella famiglia che spesso si consumano soprusi fra i meno tollerati, e film che quindi ancora una volta riesce a ripercorrere alcuni dei temi più cari al regista Turco: La convivialità che si può raccogliere attorno a una tavola imbandita, il nucleo familiare incapace di accettare un titolo di studio inadatto per essere utilizzato all'interno dell'azienda di famiglia e a maggior ragione l'inclinazione sessuale, l'omosessualità del protagonista.
Un’omosessualità che è vista come una malattia da debellare da parte di due genitori impersonati da attori credibili, consumati da anni di teatro e cinema, e idonei nell'incarnare gli stilemi di una solida coppia patriarcale del sud Italia: Lunetta Savino edEnnio Fantastichini, quest'ultimo abbandonatosi velocemente a una facile ira che a causa della scoperta della 'diversità' di uno dei suoi figli si troverà, esattamente come previsto, costretto a cacciarlo di casa per poi disconoscerlo.
Una pellicola che ha anche la capacità di toccare il tema delle scelte, più o meno obbligate, alle quali può sottoporti sia una famiglia, sia una vita decisa da altri e da altro. A iniziare da Ilaria Occhini, nel ruolo della nonna di Antonio e Tommaso, che attraversa tutta la durata della pellicola con un segreto inconfessato che l’affligge da sempre. Una serie di scelte che lo stesso Antonio ha dovuto provare sulla propria pelle, ovvero la rinuncia ai propri desideri per non far morire quelli della famiglia e quelli del fratello Tommaso (Riccardo Scamarcio), andato a Roma per studiare e tornato con un desiderio nuovo e suo: quello di diventare scrittore.
Un film che, come conviene al miglior Özpetek, risulta essere corale, ben diretto ma dove però alcune tessere di un mosaico apparentemente perfetto, non si riescono a incastrarsi al meglio. La figura di Alba (Nicole Grimaudo), figlia del nuovo socio della famiglia Cantone, combattuta per un amore impossibile per Tommaso e quella altrettanto trasversale di Antonio (Alessandro Preziosi) troppo poco sfruttata e assente dalla pellicola per lunghi tratti. Una presenza – assenza che alla fine lascia campo aperto alla figura di Scamarcio e a quella di Tommaso. Trasformando un film che avrebbe potuto dire molto di più in un potpourri dove troppa carne è stata messa al fuoco e pochi pezzi di carne che risultano alla fine cotti a dovere.
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c-claudia
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mercoledì 17 marzo 2010
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quando leggerezza è sinonimo di grazia
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2010, Puglia. 2010, non 2000. Il duemila era l'anno della novità, era l'anno dove barriere europee, culturali, mondiali, almento idealmente, sarebbero dovute precipitare per dar spazio a libertà e anticonformismi vari. Un regredimento, quindi, quello che mestamente fa osservare il protagonista? Un regredimento verso la società ben compatta, verso il perbenismo, verso la paura di mettere il naso fuori se la gente dovesse chiacchierare troppo?
Tommaso è il figlio più giovane dei Cantone, un'agiata famiglia con tanto di cameriere che abita nella soleggiatissima Puglia. Sensibile e incompreso, sfugge al destino familiare che prende la forma di un pastificio rifugiandosi a Roma, zittendo remissivo la famiglia con la scusa dell'economia e commercio, assecondando combattuto la sua indole con una laurea in lettere e il sogno dello scrittore.
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2010, Puglia. 2010, non 2000. Il duemila era l'anno della novità, era l'anno dove barriere europee, culturali, mondiali, almento idealmente, sarebbero dovute precipitare per dar spazio a libertà e anticonformismi vari. Un regredimento, quindi, quello che mestamente fa osservare il protagonista? Un regredimento verso la società ben compatta, verso il perbenismo, verso la paura di mettere il naso fuori se la gente dovesse chiacchierare troppo?
Tommaso è il figlio più giovane dei Cantone, un'agiata famiglia con tanto di cameriere che abita nella soleggiatissima Puglia. Sensibile e incompreso, sfugge al destino familiare che prende la forma di un pastificio rifugiandosi a Roma, zittendo remissivo la famiglia con la scusa dell'economia e commercio, assecondando combattuto la sua indole con una laurea in lettere e il sogno dello scrittore. C'è un terzo, inoltre. A Tommaso piacciono gli uomini. E' omosessuale, orrenda parola che provoca l'orticaria (e un infarto, seppur lieve) addosso al padre dalla risata forzata, la faccia pulita ma la coscienza che si infanga quando sostituisce la solida moglie con una melensa adultera. Quando il giovane sta per decidersi a dare la sconcertante rivelazione, il fratello Antonio ne trae spunto, e rivela anticipandolo di essere anch'egli afflitto da quella grave, gravissima e impronunciabile "malattia". Ed è così che Tommaso è costretto a restare a vestire i panni di quello che non è, troppo altruista, o forse troppo spaventato, per farsi sbattere la porta in faccia dalla famiglia così perbene.
Ozpetek calca un tema delicato come quello della diversità con eleganza e leggerezza, non per questo banale o comica. Almeno, quasi mai. Il tormento interiore di un uomo non diventa un'angoscia drammatica ed esasperante, bensì un malinconico e pacato riflettere, senza incatenarsi egoisticamente in sé stessi, ma continuando a osservare i drammi di un fratello diseredato, di una zia cieca e alcolizzata e quelli di una ragazza segnata e sola.
La commedia all'italiana non sfocia così in un'esilaranza forzata né in una scadenza inutile (sorvolando sulle decisamente divertenti, ma altrettanto decisamente inappropriate gag degli amici di Tommaso), mantenendosi su un tono scorrevole e misurato, condito piacevolmente da tiepide battute, e portato avanti dal ritmo gentile e spontaneo di un cast italiano nel vero senso della parola, dalla straordinaria Lunetta Savino alla tristemente comica Elena Sofia Ricci, passando per la drammaticità fiera della Occhini fino a un inaspettato, piacevole Scamarcio.
I flashback silenziosi della giovane nonna che vaga nella Puglia con tutto il suo assolato splendore, la danza impacciata finale, la Occhini che, fiera e diritta, si trucca dinanzi a uno specchio nonché tante, delicatissime frasi quasi impercettibili, conferiscono al tutto una gradevolissima poeticità. Poeticità che continua nel, forse, più giusto senso di questo morbido, malinconico schiaffo alla società delle apparenze. La liberazione di sé stessi, dei propri sogni e del coraggio necessario a prendere la decisione di crearsi un destino pur incerto, come quello già programmato non lo sarà invece mai. Senza alcuna fremente o scenografica ribellione, è ovvio. E senza aver bisogno di precisare i gusti sessuali. Solo una caratteristica, come tante altre.
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antrace
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lunedì 27 settembre 2010
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l'amore negato
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Il mondo attraverso lo sguardo degli omosessuali appare talora tenero ed esuberante , altre volte severo e cupo.
L'alternanza degli umori , il dissidio interiore perenne di individui in cerca di equilibrio , è solo in parte segnato
dalla critica o dall'ostilità altrui . Se il padre di Tommaso reagisce goffamente e con rozzezza alla dichiarata condizione del primogenito , allontanando da se il dubbio che anche il fratello abbia analoghi comportamenti ,
se c'è un muro di diffidenza ed incomprensione tra una famiglia tradizionale e le schegge dei figli gay , tuttavia
le inquietudini non si fermano qui , e la vicenda ha sullo sfondo inesauribile il senso vacuo delle relazioni affettive incompiute , di una saga domestica malinconica e sofferta , vista da due ragazzi particolari .
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Il mondo attraverso lo sguardo degli omosessuali appare talora tenero ed esuberante , altre volte severo e cupo.
L'alternanza degli umori , il dissidio interiore perenne di individui in cerca di equilibrio , è solo in parte segnato
dalla critica o dall'ostilità altrui . Se il padre di Tommaso reagisce goffamente e con rozzezza alla dichiarata condizione del primogenito , allontanando da se il dubbio che anche il fratello abbia analoghi comportamenti ,
se c'è un muro di diffidenza ed incomprensione tra una famiglia tradizionale e le schegge dei figli gay , tuttavia
le inquietudini non si fermano qui , e la vicenda ha sullo sfondo inesauribile il senso vacuo delle relazioni affettive incompiute , di una saga domestica malinconica e sofferta , vista da due ragazzi particolari .
Negli occhi di Tommaso e di Alba , l'amica e socia di lavoro , c'è forse il rimpianto per un rapporto non consumato , poichè lui ha un compagno , così il racconto di famiglia è interamente pervaso da nostalgie,
delusioni , ricordi amari . Il film è decadente , patinato , le scene sono affreschi , le musiche intense, un pò
gitane . Il pregio maggiore del regista far coincidere la sensibilità morbosa dei giovani protagonisti con
le domande, i tormenti , le ferite di una famiglia tranquilla e agiata che porta in grembo tanti dissidi irrisolti .
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miss golightly
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sabato 11 settembre 2010
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una vivacità diversa
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Ozpetek abbandona il suo complice cast di sempre e si avventura in un film che fonde alla perfezione la simpatia e l’amarezza della vita.“Mine vaganti” è lo specchio delle nostre vite, delle nostre paure e delle nostre scelte sempre condizionate dal giudizio della gente o dall’affetto stesso delle persone e quindi mai del tutto libere. Spettacolare e poetica, la sequenza in cui Scamarcio e Grimaudo gustano dei tramezzini;essa ci lascia incantati permettendoci di riscoprire la potenza del linguaggio dello sguardo e del cinema stesso.
E se qualcuno dovesse pensare ancora che i personaggi di Ozpetek e le loro vite pecchino di esagerazione allora è il caso che apra gli occhi, si guardi intorno e si renda conto di quanto “l’esagerazione” faccia parte di questo mondo.
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Ozpetek abbandona il suo complice cast di sempre e si avventura in un film che fonde alla perfezione la simpatia e l’amarezza della vita.“Mine vaganti” è lo specchio delle nostre vite, delle nostre paure e delle nostre scelte sempre condizionate dal giudizio della gente o dall’affetto stesso delle persone e quindi mai del tutto libere. Spettacolare e poetica, la sequenza in cui Scamarcio e Grimaudo gustano dei tramezzini;essa ci lascia incantati permettendoci di riscoprire la potenza del linguaggio dello sguardo e del cinema stesso.
E se qualcuno dovesse pensare ancora che i personaggi di Ozpetek e le loro vite pecchino di esagerazione allora è il caso che apra gli occhi, si guardi intorno e si renda conto di quanto “l’esagerazione” faccia parte di questo mondo.
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director's cult
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mercoledì 26 giugno 2013
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normalità, che brutta parola
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Ferzan Oxpetek abbandona i toni drammatici e sperimenta la commedia, e per farlo utilizza il pampleth dei parenti serpenti, colladauta sin dai film di Mario Monicelli e Dino Risi. L'immancabile tavolata (ormai divenuto un leit motiv del regista) presenta portate intrise di ipocrisie, amarezze, velleità, cose non dette, cose dette (che non dovevano essere dette), malori e sorrisi tirati, servite per l'occasione in una cittadina pugliese (per una volta non si vede la solita Roma o Milano) che sembra un po' ferma nel tempo, sostenuta dai pettegolezzi, mal dicenze e malignità.
E se da un lato il regista italo-turco presenta una famiglia alto-borghese al collasso dei sentimenti, finita in mille pezzi che tenta faticosamente di rimettere i cocci insieme, dall'altro punta lo sguardo sulle ipocrisie della borghesia italiana fatta di sguardi, risate (vere o presunte), voci, commenti sotto voce, verità che non si accettano e tutti portano delle maschere pseudo pirandelliane.
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Ferzan Oxpetek abbandona i toni drammatici e sperimenta la commedia, e per farlo utilizza il pampleth dei parenti serpenti, colladauta sin dai film di Mario Monicelli e Dino Risi. L'immancabile tavolata (ormai divenuto un leit motiv del regista) presenta portate intrise di ipocrisie, amarezze, velleità, cose non dette, cose dette (che non dovevano essere dette), malori e sorrisi tirati, servite per l'occasione in una cittadina pugliese (per una volta non si vede la solita Roma o Milano) che sembra un po' ferma nel tempo, sostenuta dai pettegolezzi, mal dicenze e malignità.
E se da un lato il regista italo-turco presenta una famiglia alto-borghese al collasso dei sentimenti, finita in mille pezzi che tenta faticosamente di rimettere i cocci insieme, dall'altro punta lo sguardo sulle ipocrisie della borghesia italiana fatta di sguardi, risate (vere o presunte), voci, commenti sotto voce, verità che non si accettano e tutti portano delle maschere pseudo pirandelliane.
Tutti recitano un ruolo: la madre tenta in tutti i modi di tenersi stretta la rispettabilità di donna borghese e sorvola sul tradimenti del marito, anche se non risparmia battute al vetriolo contro le malelingue.
Il padre vede complotti ovunque, gli amici di Tommaso devono recitare il ruolo dell'uomo macho per poi sfogarsi in spiaggia con un balletto (è la parte più divertente del film, ricca di humour, dove il regista si prende scherzosamente in giro).
Il personaggio della nonna è l'unica a non accettare di fingersi ciò che non è, e allora viene considerata una mina vagante, ma in realtà per un modo o per un altro lo sono tutti o quasi, perché alla fine Tommaso decide di mantenere la finzione, sacrificandosi in parte e diventando una sorta di collante per quei cocci rotti che è la sua famiglia.
Tommaso alla fine rivela di avere la mentalità più borghese perché non ha il coraggio di sfidare fino in fondo le convenzioni (rappresentate dalla famiglia e dalla società) rimanendo legato alle convenzioni,. Alla fine tutto si ricompone e si accettano i difetti.
Ozpetek osa ma si frena, avrebbe dovuto mettere un po' più di cinismo e sana cattiveria nelle pietanze che ha cucinato.
Normalità che brutta parola. Ma forse non è così brutta come sembra.
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jordan daniel
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martedì 2 giugno 2015
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troppo forte! si ride e si medita con ozpetek
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un bel film, veloce, divertente, soprattutto ironico, con un cast di bravissimi attori, scelti perfettamente nel ruolo che devono interpretare. Finalmente un film italiano intelligente, non ovvio, anzi attuale, contro i pregiudizi. L'ambientazione è intrigante, i dialoghi serrati e arguti - c'è la mano di Cotroneo, questo è evidente - la fotografia un capolavoro. Bello anche questo sovrapporsi di epoche, di storie, di un vissuto altamente emotivo. E poi il lato comico, grottesco. Un film da vedere, anche istruttivo, un inno alla libertà di essere e alla bellezza. Bravo il regista che finalmente esce da certi tentennamenti come in harem suarè, magnifiche presenze, cuore sacro.
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un bel film, veloce, divertente, soprattutto ironico, con un cast di bravissimi attori, scelti perfettamente nel ruolo che devono interpretare. Finalmente un film italiano intelligente, non ovvio, anzi attuale, contro i pregiudizi. L'ambientazione è intrigante, i dialoghi serrati e arguti - c'è la mano di Cotroneo, questo è evidente - la fotografia un capolavoro. Bello anche questo sovrapporsi di epoche, di storie, di un vissuto altamente emotivo. E poi il lato comico, grottesco. Un film da vedere, anche istruttivo, un inno alla libertà di essere e alla bellezza. Bravo il regista che finalmente esce da certi tentennamenti come in harem suarè, magnifiche presenze, cuore sacro... insomma molto molto meglio!
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carlosantoni
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lunedì 26 ottobre 2015
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come perdere un’ora e mezza inutilmente
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Ogni tanto capita di assistere alla proiezione di un film di cui non si sentiva affatto il bisogno: questo è capitato a me vedendo questo film men che mediocre, dal titolo fin troppo furbesco. Me la sbrigo con poche osservazioni, a cominciare dagli aspetti meno urtanti, a quelli proprio insopportabili. Primo: la recitazione. Mediocre, quasi svogliata, quella di Placido; a dir poco noiosa quella di Maria Pia Calzone, con le labbrone botuliniche perennemente inchiodate in un sorrisetto melenso, incapace di cambiare registro. A parte qualche figura di secondo piano, si salva solo Scamarcio, grazie alla sua abilità (e intelligenza recitativa) di mantenere un basso profilo. Secondo: la location. Va bene che la Regione Puglia ha concorso a foraggiare questo lungometraggio (che dunque più che da storiella improbabile ma con immancabile happy end, deve funzionare da spot pubblicitario per il Tacco), ma trovo offensivo per lo spettatore l’inutile sfoggio di continue cartoline supersature di scorci paesaggistici, con tanto di fiori alle finestre che incorniciano questo o quel personaggio, stradicciuole leziosette corse in vespa senza casco, facciate di tufo biondo, strapiombi su un mare invitante, olivi ultracentenari e via di questo passo, insomma ammennicoli che non hanno a che fare con la storia raccontata, ma sono messi lì per distrarre dal più e il meglio che manca, cioè un film degno di questo nome.
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Ogni tanto capita di assistere alla proiezione di un film di cui non si sentiva affatto il bisogno: questo è capitato a me vedendo questo film men che mediocre, dal titolo fin troppo furbesco. Me la sbrigo con poche osservazioni, a cominciare dagli aspetti meno urtanti, a quelli proprio insopportabili. Primo: la recitazione. Mediocre, quasi svogliata, quella di Placido; a dir poco noiosa quella di Maria Pia Calzone, con le labbrone botuliniche perennemente inchiodate in un sorrisetto melenso, incapace di cambiare registro. A parte qualche figura di secondo piano, si salva solo Scamarcio, grazie alla sua abilità (e intelligenza recitativa) di mantenere un basso profilo. Secondo: la location. Va bene che la Regione Puglia ha concorso a foraggiare questo lungometraggio (che dunque più che da storiella improbabile ma con immancabile happy end, deve funzionare da spot pubblicitario per il Tacco), ma trovo offensivo per lo spettatore l’inutile sfoggio di continue cartoline supersature di scorci paesaggistici, con tanto di fiori alle finestre che incorniciano questo o quel personaggio, stradicciuole leziosette corse in vespa senza casco, facciate di tufo biondo, strapiombi su un mare invitante, olivi ultracentenari e via di questo passo, insomma ammennicoli che non hanno a che fare con la storia raccontata, ma sono messi lì per distrarre dal più e il meglio che manca, cioè un film degno di questo nome. Terzo: il film “Mine vaganti” di Ozpetek, già piuttosto mediocre, si svolgeva in Puglia, proprio come “Io che amo solo te”; anche in quello si parlava di una ricca famiglia, padrona arrogante e “democristiana”, produttrice di generi alimentari, di due fratelli uno dei quali destinato a succedere al padre nella direzione della ditta, l’altro a giro per il mondo in cerca di una propria dimensione; anche in quello si parlava dei problemi dell’omosessualità nascosta in famiglia, che alla fine si trovava il modo e il coraggio di rivelare all’interno di una circostanza importante; e c’era perfino Scamarcio, in quello come in questo. Insomma, dire che tutto quanto era già stato raccontato e visto è il minimo: che bisogno c’era di ripetere a calco, ma molto in peggio, la storielletta scarsa già raccontata da Ozpetek? Quarto: la sceneggiatura. È qualcosa di penosamente improbabile, i profili personali e le storie sono raccogliticci, un minestrone dove la somma degl’ingredienti non riesce affatto ad aumentarne il sapore, ma solo a creare confusione e stanchezza. Con una Littizzetto stridula e nevrotica che non stanca né irrita così tanto come in genere fa, semplicemente perché di stanchezza e irritazione ce ne sarebbe già abbastanza anche senza la sua presenza.
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[+] bravo ozpetek
(di montalbanovigata)
[ - ] bravo ozpetek
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dandy
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venerdì 26 agosto 2011
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certe mine è giusto che esplodano a volte.
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Dopo il trascurabile"Un giorno perfetto",il regista torna ai temi che più gli si confanno(le tensioni in famiglia,l'orgoglio nella propria "diversità",il peso del quotidiano)e gira quasi un remake di "Saturno contro",molto più libero e slanciato però.Alla solita ambientazione "romana" sceglie il Lecce e spinge il pedale sull'eccesso e l'ironia,riuscendo a essere frizzante e contagioso.E a evitare il political correct tipico di questo nostro cinema in fatto di omosessualità e non solo.Certi personaggi sono volutamente caricaturali e la mancanza di controllo in certe scene(il balletto gay in spiaggia,tanto ridicolo quanto liberatorio)da ulteriore forza alla tesi che le "mine vaganti"debbano far esplodere convenzioni e conflitti piccoli o grandi che siano.
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Dopo il trascurabile"Un giorno perfetto",il regista torna ai temi che più gli si confanno(le tensioni in famiglia,l'orgoglio nella propria "diversità",il peso del quotidiano)e gira quasi un remake di "Saturno contro",molto più libero e slanciato però.Alla solita ambientazione "romana" sceglie il Lecce e spinge il pedale sull'eccesso e l'ironia,riuscendo a essere frizzante e contagioso.E a evitare il political correct tipico di questo nostro cinema in fatto di omosessualità e non solo.Certi personaggi sono volutamente caricaturali e la mancanza di controllo in certe scene(il balletto gay in spiaggia,tanto ridicolo quanto liberatorio)da ulteriore forza alla tesi che le "mine vaganti"debbano far esplodere convenzioni e conflitti piccoli o grandi che siano.La parentesi semi-sentimentale tra Tommaso e Alba è decisamente gratuita,e non è molto chiaro il dramma della nonna(che da giovane dovette sposare il fratello del ragazzo che amava perchè omosessuale),intuito dai continui pesanti flashback che inframmezzano la storia.Così come pure il finale enigmatico col ballo.Scamarcio gay non è molto diverso da quello solito etero,ma per me è a oggi il miglior film in cui abbia preso parte.Grandissima Elena Sofia Ricci nel ruolo della zia sempre ubriaca e un pò vogliosa,e l'ex Cettina di "Un medico in famiglia"Lunetta Savino tratteggia bene il personaggio della madre impotente e nevrotica.Carolina Crescentini è la nonna da giovane,e per fortuna sta sempre zitta.Consideratndo cosa il cinema italiano sta diventando,è,senza essere un capolavoro,un film da rispettare.
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giuseppe tumolo
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giovedì 1 aprile 2010
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"sedotta ed abbandonata" dei nostri giorni.
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Il pudore oggi non ha più limiti e vorrei subito precisare che non intendo il pudore riferito a tematiche simil-moraliste riguardo la sessualità (trattata nel film), ma al rispetto di opere cinematografiche di altri. Lo so che Ozpetek realizza film un po' particolari, è un genere tutto suo, ma questa volta ha superato ogni limite. Ha ripreso, se non plagiato, di sana pianta un film bellissimo, adattandolo ai giorni nostri realizzando così un mostro, insomma un "Sedotta ed abbandonata" dei giorni nostri, " ... de noi artri". Il film: "Sedotta e abbandonata", un film commedia italiano del 1964, diretto da Pietro Germi, interpretato da Saro Urzì e Stefania Sandrelli.
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Il pudore oggi non ha più limiti e vorrei subito precisare che non intendo il pudore riferito a tematiche simil-moraliste riguardo la sessualità (trattata nel film), ma al rispetto di opere cinematografiche di altri. Lo so che Ozpetek realizza film un po' particolari, è un genere tutto suo, ma questa volta ha superato ogni limite. Ha ripreso, se non plagiato, di sana pianta un film bellissimo, adattandolo ai giorni nostri realizzando così un mostro, insomma un "Sedotta ed abbandonata" dei giorni nostri, " ... de noi artri". Il film: "Sedotta e abbandonata", un film commedia italiano del 1964, diretto da Pietro Germi, interpretato da Saro Urzì e Stefania Sandrelli. Gli ingredienti sono identici, solo traslati nel nostro tempo, il resto è identico, se non fosse per il fatto che sia una pellicola a colori. Forse gli è piaciuto così tanto quel film che ha voluto rifare in modo identico la scena del padre-padrone che passeggiando in piazza con gli altri componenti della famiglia, mentre va a prendere qualcosa al bar, cerca di dimostrarsi indifferente a quanto gli stia accadendo in famiglia dimostrando un atteggiamento gioviale e divertito, e ciononostante si sente addosso lo sguardo giudicante degli altri, sebbene solo frutto del suo pensiero. E' un tema fortemente copiato dall'originale anche l'idea del padre-padrone che è disposto a tutto pur di salvare le apparenze, anche a costo di far diventare secondario un malessere fisico rispetto a quello interiore. Ma possibile che si è è così a corto d'idee che bisogna per forza copiarle dagli altri? Con tanta vita che ci è intorno, basta solo saper guardare per avere spunti ed idee. Ho sempre creduto che la realtà e la vita vera supera qualsiasi immaginazione.
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[+] insomma...
(di marezia)
[ - ] insomma...
[+] meglio
(di marezia)
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