paolp78
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domenica 4 luglio 2021
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travagliato e godibile
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A dispetto del titolo, che potrebbe indurre in errore, il film è essenzialmente una commedia sentimentale con tinte drammatiche qua e là, mentre la parte giallistica è marginale.
Tra i punti di forza dell’opera c’è senz’altro la storia travagliata, divertente e profondamente umana, molto bene sceneggiata e raccontata con brio e con ottimo gusto. La pellicola risulta godibilissima per lo spettatore, che resta completamente rapito dalle vicende narrate.
La direzione del semisconosciuto regista televisivo Richard J. Lewis si rivela molto efficace e ben realizzata.
Buono l’effetto conseguito con la scelta narrativa di raccontare la storia nella forma di vari ricordi che affiorano alla mente del protagonista ormai anziano, avendo però cura di svelare il meno possibile della sua vita attuale, creando così un po’ di confusione e qualche sorpresa tra gli spettatori.
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A dispetto del titolo, che potrebbe indurre in errore, il film è essenzialmente una commedia sentimentale con tinte drammatiche qua e là, mentre la parte giallistica è marginale.
Tra i punti di forza dell’opera c’è senz’altro la storia travagliata, divertente e profondamente umana, molto bene sceneggiata e raccontata con brio e con ottimo gusto. La pellicola risulta godibilissima per lo spettatore, che resta completamente rapito dalle vicende narrate.
La direzione del semisconosciuto regista televisivo Richard J. Lewis si rivela molto efficace e ben realizzata.
Buono l’effetto conseguito con la scelta narrativa di raccontare la storia nella forma di vari ricordi che affiorano alla mente del protagonista ormai anziano, avendo però cura di svelare il meno possibile della sua vita attuale, creando così un po’ di confusione e qualche sorpresa tra gli spettatori.
Il film induce anche a riflessioni profonde sul senso della vita, i valori della famiglia, dell’amicizia ed in particolare sui sentimenti di amore, fiducia e stima reciproca che legano una coppia.
Il ruolo del protagonista è affidato a Paul Giamatti, bravo caratterista di tante pellicole a cui vennero offerte alcune occasioni in ruoli principali dopo la buona performance avuta in “Sideways - In viaggio con Jack” di Alexander Payne; questo film rappresenta probabilmente la sua migliore occasione dopo il film di Payne e deve dirsi che l’attore americano, di origini per metà italiane, sfrutta egregiamente l’occasione entrando nello spirito del personaggio e risultando infine molto convincente. La protagonista femminile è Rosamund Pike, molto seducente e amabile; capace anch’ella di ben figurare in una delle prime parti di maggiore rilievo avute in carriera. Del resto del cast si ricordano Minnie Driver, azzeccatissima nella parte della ricca, bella e superficiale; Mark Addy, molto credibile nei panni dello sbirro arcigno ed implacabile; ma soprattutto uno stupendo Dustin Hoffman che, seppur in una parte non principale, lascia assolutamente il segno, divertendo e illuminando la scena con la sua autentica classe.
Ottimi il trucco e le acconciature che consentono di rendere perfettamente credibile l’effetto invecchiamento dei vari personaggi ed in particolar modo del protagonista.
Presenti alcune battute e sequenze comiche davvero esilaranti.
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spike
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giovedì 10 febbraio 2011
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divertente
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Il meglio della commedia americana. Interpreti eccezionali che sanno divertire ed emozionare. Dalle lacrime alle risa. Ottimo Paul Giammatti, buona l'interpretazione di Dustin Hoffman e Rosamund Pike. Buona regia ed ottima sceneggiatura. CONSIGLIATO
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domenico a
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martedì 25 gennaio 2011
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il cuore del libro non c'è: un barney piatto.
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Abbiamo visto “ La versione di Barney “ regia di Richard J. Lewis.
Barney beve come una spugna, fuma sigari Montecristo, ha in gioventù come amici geniali artisti ( nel libro vive a Parigi, nel film invece a Roma ), anche le tre donne che sposa sono belle e la summa di tre epoche differenti della sua vita, ha una carriera professionale ricca di danaro e bella vita. Eppure Barney, vero uomo senza qualità, senza carisma e fisicamente bruttino, non si rende conto della fortuna che ha avuto nella vita, Il fatto che lo rende simpatico però è l’essere generoso a modo suo, essere diretto, linguacciuto, pronto alla rissa e alla battuta.
Tratto dal bel libro, e di notevole successo internazionale, scritto da Mordecai Richler ( scrittore canadese morto settantenne nel 2001 che con Barney ha molto in comune: è canadese, nato nello stesso quartiere, da una famiglia non ricca ebrea, ha vissuto a Parigi, è stato amico di artisti come Ginsberg e Southern e pur in settore differente anche lui ha lavorato per la televisione.
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Abbiamo visto “ La versione di Barney “ regia di Richard J. Lewis.
Barney beve come una spugna, fuma sigari Montecristo, ha in gioventù come amici geniali artisti ( nel libro vive a Parigi, nel film invece a Roma ), anche le tre donne che sposa sono belle e la summa di tre epoche differenti della sua vita, ha una carriera professionale ricca di danaro e bella vita. Eppure Barney, vero uomo senza qualità, senza carisma e fisicamente bruttino, non si rende conto della fortuna che ha avuto nella vita, Il fatto che lo rende simpatico però è l’essere generoso a modo suo, essere diretto, linguacciuto, pronto alla rissa e alla battuta.
Tratto dal bel libro, e di notevole successo internazionale, scritto da Mordecai Richler ( scrittore canadese morto settantenne nel 2001 che con Barney ha molto in comune: è canadese, nato nello stesso quartiere, da una famiglia non ricca ebrea, ha vissuto a Parigi, è stato amico di artisti come Ginsberg e Southern e pur in settore differente anche lui ha lavorato per la televisione. Eppure si è sempre ostinato a negare qualsiasi rassomiglianza esistenziale con Barney ) il film cambia l’ambientazione temporale dei fatti, li adegua all’oggi, sposta il periodo bohemienne dagli anni Cinquanta francese a quello dei figli dei fiori romano della fine degli anni Sessanta, da’ un maggiore ordine agli avvenimenti giacchè nel romanzo Barney Panofsky impugna la penna per difendersi dall'accusa di omicidio e da calunnie imbarazzanti scritte dal suo vecchio amico Terry Mciver nel libro “ Il tempo, le febbri “ e quindi la sua memoria divenuta fallibile lo fa andare di qua e di là nel tempo.
Barney Panofsky ( un ottimo Paul Giamatti, dalla lunga carriera - misconosciuta -nonostante abbia solo quarant’anni. Lo ricordiamo nel notevole “ Sideways – In viaggio con Jack di Alexander Payne e “ Duplicity “ di Tony Gilroy) è un produttore televisivo di origine ebrea che ha avuto molto successo con le soap opera in Canada, ed è figlio di un simpatico e arzillo ex poliziotto Izzi ( Dustin Hoffman ). Lo incontriamo al crepuscolo della sua vita, ormai solo, con un rapporto difficile con il figlio e affettuoso con la figlia e con una ex moglie che ama ancora nonostante lei si sia risposata. E’ stato un uomo senza qualità e privo di talento, ma la vita gli ha dato tutto: l’Amore, quello unico, dei bravi figli, degli amici, una carriera professionale che gli ha dato molto danaro e poco impegno. La storia della sua vita si può dividere in tre parti, come tre sono state le mogli. Nella prima, negli anni Sessanta a Roma e un po’ in giro ( un po’ ci ricorda Hemingway di “ Fiesta Mobile “ ), vive alla giornata a Trastevere o giù di lì, tra mansarde incasinate, mostre di pittori , bevute, sballate con droga, e pure sesso a gogò e frequentando amici futuri grandi artisti. Barney vive questa vita senza però esserne protagonista, è solo il buon amico su cui ci si può contare; si sposa anche con una bellissima pittrice ebrea Clara Charnofsky, un po’ folle e dalla vita promiscua che è rimasta incinta non si sa bene di chi ma a cui Barney accetta di riconoscere il bebè. Nella seconda “ vita “, è ritornato in Canada ed è alla ricerca di una sua strada; inizia a lavorare come producer televisivo e qualcuno gli presenta una giovane e bella ragazza ebrea figlia di milionari della comunità. Forse quella vita che sta facendo non gli piace e si lascia trascinare in un fastoso matrimonio con una ragazza di cui non prova nemmeno un briciolo d’affetto, al punto che al pranzo di nozze sbevazza col padre in continuazione e si innamora immediatamente di una ospite, Miriam ( la brava e deliziosa Rosamund Pike – l’abbiamo vista e recensita nei film “ An Education “, “ We Want Sex “, “ Terra Promessa “ di Amos Gitai ). Decide di corteggiarla a distanza, mandandole fiori ogni settimana a New York dove lei lavora; e forse organizza il suo divorzio, lasciando nella casa di campagna sua moglie e il suo amico Boogie, tossico ma anche bello e immorale. E proprio nello stesso giorno in cui scopre i due a letto, l’amico cade in acqua e scompare, Barney viene sospettato ma non accusato, ma nel tempo si fa un nemico acerrimo, l'agente investigativo O' Hearne che pubblica un libro su Barney, e la misteriosa scomparsa dell'amico Boogie ( Scott Speedman ). Ma la vita di Barney, lo abbiamo già detto, è sfacciatamente fortunata, riesce ad avere un appuntamento con Miriam a New York, e nonostante si presenti ubriaco e vomiti anche l’anima, riesce a conquistarla e diverrà l’amore della sua vita, la donna che gli farà conoscere il vero senso dell’amore, la fedeltà e la passione. Con lei vivrà più di venti anni, avrà due figli ( tre nel libro e non riuscirà ad avere con nessuno dei tre un relazione serena ) ma la perderà per il caratteraccio che si ritrova e per una scappatella stupida dettata dalla gelosia. Il film termina con Barney…
Probabilmente agli aficionados del libro, il film è sembrato tradire l’essenza e la struttura romanzesca; forse è vero ma è anche giusto che il linguaggio e la struttura di un film tradiscano il testo letterario proprio perché sono, un libro e un film, due arti così lontane e così vicine allo stesso tempo. Però, se ci sembra giusto che a dei personaggi del romanzo sia stata tolta o aggiunta qualcosa in più nel film, ci dispiace che alcuni aneddoti ( che rendevano Barney “ mitico “ ) siano stati tolti. Un po’ come se a un buon quadro venisse tolta parte ella luce.
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alessandro guatti
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venerdì 22 giugno 2012
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un adattamento non riuscito
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Qualcuno sostiene che non bisognerebbe parlare di un film confrontandolo con il romanzo da cui è tratto. In parte sono d'accordo, perché ritengo che essi rappresentino due opere d’arte distinte. Eppure bisogna farlo, perché il rapporto con la fonte è uno dei tratti caratteristici di un adattamento. Non si può realizzare un film traendolo da un libro e poi aspettarsi e che il pubblico non confronti le due opere. Siamo tutti consapevoli del fatto che misurarsi con una trasposizione non sia cosa semplice. Tentare di portare sullo schermo un romanzo, di trasformare un’opera letteraria in un’opera cinematografica, è un’impresa ardua, che spesso fallisce.
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Qualcuno sostiene che non bisognerebbe parlare di un film confrontandolo con il romanzo da cui è tratto. In parte sono d'accordo, perché ritengo che essi rappresentino due opere d’arte distinte. Eppure bisogna farlo, perché il rapporto con la fonte è uno dei tratti caratteristici di un adattamento. Non si può realizzare un film traendolo da un libro e poi aspettarsi e che il pubblico non confronti le due opere. Siamo tutti consapevoli del fatto che misurarsi con una trasposizione non sia cosa semplice. Tentare di portare sullo schermo un romanzo, di trasformare un’opera letteraria in un’opera cinematografica, è un’impresa ardua, che spesso fallisce. La complessità della tessitura di un racconto non sempre riesce ad essere tradotta o trasposta in un medium altro rispetto alla letteratura. D’accordo, nel passaggio non dobbiamo necessariamente ambire ad una fedele trasposizione. Anzi: quando si decide di tradurre un romanzo in un film bisogna cercare di realizzarne una rielaborazione che aggiunga qualcosa all’opera di partenza. Non fraintendetemi: non sto dicendo che sia necessario stravolgere l’impianto narrativo o inventare ambienti e personaggi. L’aggiunta può essere data anche dalla semplice offerta della visualizzazione di ambienti, storie e soprattutto atmosfere che il romanzo di partenza aveva scatenato nella nostra mente e nella nostra fantasia. Vedere lì, sullo schermo davanti ai proprio occhi, ciò che prima era soltanto una proiezione immaginifica delle parole scritte rappresenta già per lo spettatore una gratificazione cinematografica. Ma questa versione della Versione di Barney è un’operazione (chiaramente commerciale) che ha come effetto un togliere anziché un aggiungere. Qual è infatti il valore aggiunto di questo film? Tanto per cominciare, non è chiaro a cosa dovrebbe riferirsi il titolo. Se nel romanzo è Barney stesso a narrare la sua vita per raccontare la sua versione (dei fatti), diversa da quella che il mondo è stato indotto a credere, in questo film non c’è alcuna versione! C’è unicamente la storia raccontata. Concordo sul fatto che la voce fuori campo offra una via d’uscita troppo facile alle difficoltà della narrazione letteraria e quindi non disprezzo la scelta di un racconto esposto attraverso una narrazione oggettiva a focalizzazione zero anziché una in prima persona come quella del romanzo. Ma che si sia perso per strada il fatto che Barney inizi a raccontare la sua vita per offrire la sua versione dei fatti in merito all’omicidio dell’amico, mi pare davvero troppo. Oltretutto in questo modo si è persa anche la dialettica con gli altri personaggi a proposito della fiducia in Barney (sarà colpevole o no?), nonchè l'introduzione di un secondo narratore che prosegua la storia e sveli il mistero (praticamente assente nel film) quando Barney muore. La struttura narrativa è completamente alterata per riportarla ad un’ordinaria narrazione cronologica, perdendo così la complessità della narrazione a ritroso e soprattutto la dualità tra il presente dell’atto della narrazione e il passato dell’oggetto della narrazione. La storia è talmente appiattita che non solo non dà spazio sufficiente ad alcuno dei temi salienti del libro (la malattia, la memoria, l’amicizia, l’amore), ma non rende quasi nemmeno comprensibile quali siano i temi di cui l’opera ci stia parlando. La morte dell’amico è rappresentata come uno dei tanti eventi della vita di Barney (e invece nel romanzo è avvertito profondamente e perseguita Barney per tutta la vita, arrivando ad essere per via indiretta - ma neanche più di tanto - proprio il motivo per cui egli senta il bisogno di offrire la sua versione). L’innamoramento e l’amore eterno per Miriam sono descritti nel romanzo con una tale poesia e un tale impeto vitale che nel film sembrano davvero “ridotti”, imprigionati in una lunghezza prestabilita. Le particolarità del carattere del protagonista (pur se ottimamente interpretato da Paul Giamatti) sembrano passate sotto una pialla che le abbia talmente uniformate a quelle di un qualsiasi protagonista di una qualsiasi storia da renderlo irriconoscibile. L’identità ebraica della famiglia Panofsky sarebbe praticamente ignorata, se non fosse per qualche “Mazel Tov” e il dialogo con la prima moglie all’aeroporto, oppure per il personaggio del padre (un Dustin Hoffman in gran forma) che avrebbe meritato più spazio. Alla luce di tutte queste riflessioni, non voglio dire che quello di Richard J. Lewis sia un brutto film, perché non è così: gli interpreti sono bravi e la regia è buona, ma la sceneggiatura risente moltissimo del confronto con il romanzo e ne esce purtroppo perdente. Il film è bello, ma francamente lo ritengo inutile.
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salvo
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domenica 16 gennaio 2011
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un ebreo canadese
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La versione di Barney è un film che non ti coinvolge emotivamente, piuttosto ti incuriosisce e ti lascia in balia di considerazioni negative sulla vita che potrebbe riservarti brutte sorprese, come la fine dello stesso Barney. Hoffman e Giamatti sono bravissimi, ma la loro bravura non è sufficiente a dare al film quella tensione che lo potrebbe salvare da appiattimento e monotonia. La storia di Barney non è particolare, è quella di un uomo qualunque che attraversa tre esperienze matrimoniali sbagliate e che alla fine ti richiede una certa commiserazione. Il regista, comunque, è stato molto bravo nella trasposizione cinematografica di tantissimi avvenimenti che si sono succeduti nella via di Barney.
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La versione di Barney è un film che non ti coinvolge emotivamente, piuttosto ti incuriosisce e ti lascia in balia di considerazioni negative sulla vita che potrebbe riservarti brutte sorprese, come la fine dello stesso Barney. Hoffman e Giamatti sono bravissimi, ma la loro bravura non è sufficiente a dare al film quella tensione che lo potrebbe salvare da appiattimento e monotonia. La storia di Barney non è particolare, è quella di un uomo qualunque che attraversa tre esperienze matrimoniali sbagliate e che alla fine ti richiede una certa commiserazione. Il regista, comunque, è stato molto bravo nella trasposizione cinematografica di tantissimi avvenimenti che si sono succeduti nella via di Barney. I tratti psicologici di questo ebreo canadese sono ben tracciati. SALVO
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olgadik
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giovedì 20 gennaio 2011
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barney l'incorreggibile
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Eccomi di fronte all’improba impresa di chiacchierare di un film tratto da un libro, per gli inevitabili fraintendimenti che si ottengono confrontando creazioni di diversa nascita e carattere. L’impresa, poi, è resa ancora più improba se si pensa che il libro in oggetto, La questione di Barney, di Mordecai Richler provocò alla sua uscita una netta divisione tra truppe innamorate e truppe insorte contro il politicamente scorretto del personaggio principale. Allora non mi rimane altra via d’uscita che dichiarare il peccato originale: anch’io ho istintivamente fatto il paragone tra il racconto per immagini e il suo antecedente di carta. Del resto non si poteva eludere l’ “errore”, tanto il linguaggio del film appare sfocato rispetto alla ridda di fatti, osservazioni, battute luciferine, affermazioni da macho consumato (tali da far tremare qualsiasi femminista), humour iddish che come sempre copriva inguaribili malinconie nonché pudichi gesti da sentimentale o da persona sensibile e insopportabile.
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Eccomi di fronte all’improba impresa di chiacchierare di un film tratto da un libro, per gli inevitabili fraintendimenti che si ottengono confrontando creazioni di diversa nascita e carattere. L’impresa, poi, è resa ancora più improba se si pensa che il libro in oggetto, La questione di Barney, di Mordecai Richler provocò alla sua uscita una netta divisione tra truppe innamorate e truppe insorte contro il politicamente scorretto del personaggio principale. Allora non mi rimane altra via d’uscita che dichiarare il peccato originale: anch’io ho istintivamente fatto il paragone tra il racconto per immagini e il suo antecedente di carta. Del resto non si poteva eludere l’ “errore”, tanto il linguaggio del film appare sfocato rispetto alla ridda di fatti, osservazioni, battute luciferine, affermazioni da macho consumato (tali da far tremare qualsiasi femminista), humour iddish che come sempre copriva inguaribili malinconie nonché pudichi gesti da sentimentale o da persona sensibile e insopportabile. Non meravigli che queste affermazioni vengano da una che detesta il machismo e la volgarità; il libro di Richler, scritto in prima persona, è tutt’altra cosa. Lo spirito acuto, l’infelicità, l’umorismo, l’amore, i fallimenti non sono di una parte politica o dell’altra e, pure incarnandosi in un personaggio a volte sgradevole, riguardano quell’umano di cui siamo tutti partecipi, piaccia o non piaccia. Quando vestiamo l’abito del rigido dottrinario, chiamiamo escort le prostitute e non diciamo mai male di un nero perché le minoranze hanno sempre ragione. Ma sarà poi vero? E veniamo a uno sguardo più ravvicinato sul film. L’autore non è un regista noto e ha affrontato con dignità un’operazione difficile, facendo la consapevole scelta di annacquare, come ho detto sopra, l’insieme disordinato e irruente delle pagine, per sostituirlo con un racconto lineare e scorrevole, che disorienta di meno. E’ mantenuta la divisione fra i blocchi narrativi che corrispondono ai tre matrimoni del nostro incorreggibile produttore ebreo di sitcom televisive, perlopiù inguardabili. Il regista elimina anche la voce narrante per spersonalizzare, senza darlo a vedere, la narrazione. Infine sostituisce alla Parigi che fa da sfondo al primo periodo ruggente del personaggio, cittadino canadese, una Roma trattata da cartolina troppo colorata, di cui si privilegiano gli scenari più convenzionali. Riguardo agli interpreti non mi è parsa felice la scelta di Paul Giamatti, giustamente malinconico, ma non sufficientemente strafottente, eccentrico, presuntuoso come è Barney. Più adatto invece Dustin Hoffman nei panni del padre ex-poliziotto, credibile come anziano ebreo, sostanzialmente saggio, anche lui incline alle battute. Tra le attrici che interpretano il ruolo delle mogli, soprattutto Miriam, la terza, non risulta particolarmente efficace, risentendo del generale appiattimento. Quanto detto non deve però far pensare a un film brutto, perché i rapporti umani di Barney con i suoi amici, la sua sostanziale generosità sono dipinti con toni giusti, la malinconia di fondo fa capolino e si ispessisce al momento opportuno (vedi inizio del degrado fisico di Barney) né mancano sequenze francamente divertenti…. Ma quel libro lì, edizioni Adelphi, con sulla copertina rossa la faccia da intellettuale volpino di Mordecai, era tutt’altra cosa!
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colibrì
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domenica 8 gennaio 2012
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una specie di bignami del libro...
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Conclusa la lettura de La versione di Barney, mi sono buttata sul film. Classico esempio di trasposizione cannata, a mio modesto parere... Intanto non si capisce il titolo: se nel libro io interpreto che "la versione" si riferisca all'ipotetico omicidio di Boogie, nel film non c'è nemmeno un accenno al processo e comunque la scomparsa di Boogie resta un puntino piccolo piccolo, al massimo il "deus ex machina" per giustificare il sacrosanto divorzio dalla seconda signora Panofsky.
Poi non esistono praticamente i flashback, che nel libro fanno percorrere tre epoche storiche. Nel film poco o niente e solo una scena sulla gioventù strapazzata, giusto per presentare Clara che avrebbe meritato molto di più.
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Conclusa la lettura de La versione di Barney, mi sono buttata sul film. Classico esempio di trasposizione cannata, a mio modesto parere... Intanto non si capisce il titolo: se nel libro io interpreto che "la versione" si riferisca all'ipotetico omicidio di Boogie, nel film non c'è nemmeno un accenno al processo e comunque la scomparsa di Boogie resta un puntino piccolo piccolo, al massimo il "deus ex machina" per giustificare il sacrosanto divorzio dalla seconda signora Panofsky.
Poi non esistono praticamente i flashback, che nel libro fanno percorrere tre epoche storiche. Nel film poco o niente e solo una scena sulla gioventù strapazzata, giusto per presentare Clara che avrebbe meritato molto di più.
Poi i figli di Barney sono tre e sono adulti e anche la loro storia è interessante a sè. Nel film sono due giovani anonimi, uno rancoroso e l'altra tenerina come la madre.
Avvocato ebreo zero, eppure era anche forte.
Terry Mc Iver, amico-nemico inesistente, eppure "la versione" potrebbe riferirsi anche a lui: l'autobiografia di Panofsky nasce proprio dall'esigenza di smontare i racconti di Terry, compresa la sua versione del presunto omicidio.
Miriam è splendida e dolcissima, e si capisce che la famiglia è felice come è felice nel libro. Ma è una patatina lessa, sempre con la solita espressione da donna perfetta, quella che chiunque vorrebbe avere a fianco. Di quanto Barney si sia macerato per lei dopo la separazione, nulla.
Azzeccatissima invece la Seconda signora Panofsky, proprio come me l'aspettavo! Uno spasso di snobismo!
Infine il caro Dustin Hoffman. Splendido. Ma troppo tenero e saggio rispetto al libro dove Izzy è un beone, maniaco, sporcaccione, simpaticissimo ex sbirro, che imbarazza costantemente il figlio. Troppo signorile, quando se la cava con i suoceri di Barney alla cena e, se non ho ascoltato male, nemmeno un rutto! Comunque degnissimamente rappresentato il rapporto tra padre e figlio.
L'alzheimer, che nel film si trova in un finale precipitoso e drammatico, nel libro "convive" con flashback, ricordi e rapporti confusi.
In generale, se dal libro avevo comunque ricavato il messaggio che vale la pena di vivere, anche negli eccessi, non fosse altro che per amicizia e amore, dal film sono uscita con la bocca impastata di tristezza e vecchiaia.
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franco cesario
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lunedì 17 gennaio 2011
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la versione non combacia
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Ottima recitazione dei personaggi (Paul Giamatti assolutamente su tutti), qualche momento di vera ilarità e poco più nella trasposizione cinematografica del libro del canadese Mordecai Richler "La versione di Barney": un vero peccato e un'occasione mancata.
L'opera, infatti, è prolissa, lenta e praticamente non succede quasi nulla per tutto il film che si limita a narrare con qualche guizzo istrionico (anche del sempre convincente Hoffman) una storia resa ordinaria dal regista Lewis, evidentemente più a suo agio con telefilm tutto fumo e poco arrosto alla Csi che dietro la cinepresa per il grande schermo.
Lo spettatore non riesce, nonostante il soggetto lo permetta, ad immedesimarsi nell'anti-eroe Barney ma nemmeno a volergli male perchè la sceneggiatura non concede chances a Paul Giamatti di eccedere nè in positivo nè in negativo.
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Ottima recitazione dei personaggi (Paul Giamatti assolutamente su tutti), qualche momento di vera ilarità e poco più nella trasposizione cinematografica del libro del canadese Mordecai Richler "La versione di Barney": un vero peccato e un'occasione mancata.
L'opera, infatti, è prolissa, lenta e praticamente non succede quasi nulla per tutto il film che si limita a narrare con qualche guizzo istrionico (anche del sempre convincente Hoffman) una storia resa ordinaria dal regista Lewis, evidentemente più a suo agio con telefilm tutto fumo e poco arrosto alla Csi che dietro la cinepresa per il grande schermo.
Lo spettatore non riesce, nonostante il soggetto lo permetta, ad immedesimarsi nell'anti-eroe Barney ma nemmeno a volergli male perchè la sceneggiatura non concede chances a Paul Giamatti di eccedere nè in positivo nè in negativo.
Lewis tralascia particolari importanti della storia: non fa capire il senso della versione di Barney nella morte dell'amico Boogie, trascura la figura di Clara, la prima moglie del protagonista e si dilunga invece quando si tratta di far vedere le scene riguardanti gli eccessi alcolici del duo Barney-Boogie.
La possibilità di innamorarsi, perdutamente e in modo ossessivo, a prima vista, sviscerata molto meglio da decine di altri film, è banalizzata e non esaltata da Lewis che rende questo evento piatto, vuoto, routinario.
Tra le cose da salvare, oltre a molti dei personaggi calati perfettamente nello spirito originario voluto da Richler, la colonna sonora (come quasi sempre quando si tratta di film che hanno a che fare con i mitici anni '70 a dire il vero) e una buona riflessione sul mondo yiddish e la sua bonaria "follia".
Tra le negatività, invece, la recitazione di Rosamund Pike, Miriam Grant e terza moglie di Barney, troppo algida e scontata e tutt'altro che capace di far girare la testa a chicchessia.
Sconsigliato.
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il conformista
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lunedì 24 gennaio 2011
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gradevole, ma giamatti senza charme, non simpatico
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Un buon film con alcune pecche perchè talvolta soffre della matrice letteraria complessa. La parte "romana" troppo ridotta, tale da rendere superficiale la storia della prima moglie. Visivamente ineccepibile, ricco di ambienti, costumi, situazioni diverse. Il protagonista a differenza del romanzo, NON è simpatico, non si fa il tifo per lui, non ha charme neanche quando corteggia le donne. Sarebbe stato meglio se fosse stato un Dustin Hoffman giovane, oggi ormai troppo vecchio per la parte. E poi uno così brutto e sgradevole non avrebbe mai avuto degli amici così "boni". Comunque un film piacevole.
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oigres62
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lunedì 24 gennaio 2011
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ogni due anni
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.... ogni due anni circa esce una rivisitata edizione delle "invasioni barbariche" : stesso clima, stessa patinata irriverenza, guardacaso stessa ambientazione - Canada - stesse atmosfere d'imminente ma mai realizzata perdita d'identità. Mi chiedo perchè .... perché immolare un'opera letteraria di discreto livello, con profonde implicazioni psicologiche e inaspettate letture dell'animo umano, ad un cliché già visto e riconosciuto... perché sennò non venderebbe, perché è ciò che è atteso, ciò che ci si aspetta ... la nostra programmazione a rispondere solo a stimoli di mercato fa il resto.
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.... ogni due anni circa esce una rivisitata edizione delle "invasioni barbariche" : stesso clima, stessa patinata irriverenza, guardacaso stessa ambientazione - Canada - stesse atmosfere d'imminente ma mai realizzata perdita d'identità. Mi chiedo perchè .... perché immolare un'opera letteraria di discreto livello, con profonde implicazioni psicologiche e inaspettate letture dell'animo umano, ad un cliché già visto e riconosciuto... perché sennò non venderebbe, perché è ciò che è atteso, ciò che ci si aspetta ... la nostra programmazione a rispondere solo a stimoli di mercato fa il resto. Uscire dal consueto è difficile e rischioso come nella fuga di Logan.
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