stefano capasso
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sabato 19 settembre 2020
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la ricerca delle proprie origini
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Tedo è un ragazzino georgiano, rifugiato dalla Abkhazia dove une guerra di indipendenza ha assunto i toni del genocidio. Vive a Tblisi dove la madre si prostituisce e lui passa il tempo compiendo piccoli furti con gli amici. Quando decide di mettersi in cerca del padre, rimasto in Abkhazia, viene messo in guardia sulla pericolosità dell’impresa, ma lui deciso a tutto parte per un lungo viaggio.
George Ovashvili coniuga road movie e racconto di formazione raccontando la storia di questo adolescente determinato a ritrovare il padre e in fondo se stesso. Scoprire le proprie origini, i luoghi e gli affetti diviene per Tedo un punto fondamentale per poter procedere nella propria vita.
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Tedo è un ragazzino georgiano, rifugiato dalla Abkhazia dove une guerra di indipendenza ha assunto i toni del genocidio. Vive a Tblisi dove la madre si prostituisce e lui passa il tempo compiendo piccoli furti con gli amici. Quando decide di mettersi in cerca del padre, rimasto in Abkhazia, viene messo in guardia sulla pericolosità dell’impresa, ma lui deciso a tutto parte per un lungo viaggio.
George Ovashvili coniuga road movie e racconto di formazione raccontando la storia di questo adolescente determinato a ritrovare il padre e in fondo se stesso. Scoprire le proprie origini, i luoghi e gli affetti diviene per Tedo un punto fondamentale per poter procedere nella propria vita. Il viaggio che farà sarà interminabile, pieno di incontri, di difficoltà e anche di solidarietà, diviso tra amici georgiani e nemici abkhazi. Il regista sceglie un protagonista strabico, che spesso serra gli occhi, una simbologia che sta a rappresentare la difficoltà di interpretare gli eventi in modo univoco, proprio come ambigui sono i comportamenti delle persone che incontra. Il protagonista imparerà a sopportare le frustrazioni della vita, sempre pronta ad offrire una prospettiva diversa rispetto a quella auspicata. Forte dell’amore che nutre per il padre e per la vita, Tedo sarà in grado di trarre profitto dalla sua esperienza.
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figliounico
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sabato 4 febbraio 2023
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un altro mondo è possibile
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Giorgi Ovashvili, regista georgiano, racconta la tragedia del suo popolo, costretto all’esodo dalla terra natia agli inizi degli anni ’90 a seguito di un conflitto etnico che portò alla dichiarazione di indipendenza dell’Abcasia, attraverso la storia di un ragazzo poco più che bambino che lascia Tiblisi per avventurarsi alla ricerca del padre. La narrazione è lineare, senza fronzoli pseudoartistici e non ci sarebbe, peraltro, nulla da aggiungere alla auto evidente potenza delle immagini che rappresentano, nella prima parte, le condizioni misere in cui vivono i rifugiati in Georgia, indicati spregiativamente dalla popolazione locale con il termine di “esodati”, e, nella seconda, a peregrinazione ultimata, la città natale distrutta dalla guerra e la povertà estrema della neonata nazione dell’Abcasia.
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Giorgi Ovashvili, regista georgiano, racconta la tragedia del suo popolo, costretto all’esodo dalla terra natia agli inizi degli anni ’90 a seguito di un conflitto etnico che portò alla dichiarazione di indipendenza dell’Abcasia, attraverso la storia di un ragazzo poco più che bambino che lascia Tiblisi per avventurarsi alla ricerca del padre. La narrazione è lineare, senza fronzoli pseudoartistici e non ci sarebbe, peraltro, nulla da aggiungere alla auto evidente potenza delle immagini che rappresentano, nella prima parte, le condizioni misere in cui vivono i rifugiati in Georgia, indicati spregiativamente dalla popolazione locale con il termine di “esodati”, e, nella seconda, a peregrinazione ultimata, la città natale distrutta dalla guerra e la povertà estrema della neonata nazione dell’Abcasia. Nella sequenza finale il linguaggio minimalista e realista del racconto lascia il posto alla poesia delle ultime suggestive immagini. Il sogno di un mondo diverso, metaforicamente simboleggiato dalla savana popolata da animali esotici, irrompe nella desolazione quotidiana rompendo per un attimo lo schema di una realtà inaccettabile e davanti alla quale il piccolo protagonista impotente chiude gli occhi strizzandoli. Se durante il film, però, strizzare gli occhi era segno di negazione passiva del mondo, nell’ultima scena lo stesso gesto diventa invece simbolo di apertura ideale alla possibilità di realizzare un’utopia, ovvero un mondo, come la savana, in cui esseri diversi tra loro convivono in un equilibrio naturale e pacifico.
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