olgadik
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giovedì 24 settembre 2009
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woody è sempre woody
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Doppio ben tornato a Woody come regista e come cittadino della Grande Mela. Era un po’ di tempo che aveva preferito l’Europa, ma forse una sottile nostalgia lo ha riportato a una New York meno borghese di quella di Manhattan ma pur sempre riconoscibile e importante. Ormai settantenne il regista affida di nuovo a quest’opera, fin dal titolo, le sue considerazioni sul mondo, sull’amore, sull’ebraismo, cioè su tutto l’insieme dei temi lasciati da parte nelle ultime produzioni tese più a costruire storie piuttosto che fornire una sua visione dell’esistenza. Lo fa a modo suo con la verve e il ritmo giusto di un tempo, per mezzo di una commedia sapientemente strutturata, rivolgendosi direttamente al pubblico come interlocutore in sala.
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Doppio ben tornato a Woody come regista e come cittadino della Grande Mela. Era un po’ di tempo che aveva preferito l’Europa, ma forse una sottile nostalgia lo ha riportato a una New York meno borghese di quella di Manhattan ma pur sempre riconoscibile e importante. Ormai settantenne il regista affida di nuovo a quest’opera, fin dal titolo, le sue considerazioni sul mondo, sull’amore, sull’ebraismo, cioè su tutto l’insieme dei temi lasciati da parte nelle ultime produzioni tese più a costruire storie piuttosto che fornire una sua visione dell’esistenza. Lo fa a modo suo con la verve e il ritmo giusto di un tempo, per mezzo di una commedia sapientemente strutturata, rivolgendosi direttamente al pubblico come interlocutore in sala. S’intrecciano nella narrazione cinismo e nuova pacatezza; senza moralismi Woody ci dice che tutto è possibile e tutto va bene nella vita purché funzioni in qualche maniera, non faccia del male ad altri e corrisponda a ciò che vogliamo veramente. E ciò è tanto più vero quanto più il tempo ci sfugge e quanto più lo sguardo sull’esistente si fa amaro se non disperato. Non siamo comunque nel dramma. Allen recupera intera la sua capacità di coniare battute fulminanti e profonde che tutti vorrebbero ricordare. Sono però tante che non ci si riesce e scorrono con grande naturalezza come un nastro che si dipana senza annoiare, combinandosi con situazioni spesso surreali ma possibili. Il suo alter ego nel film è cinico e pessimista ma anche disposto in fondo a capire che nessuna teoria può racchiudere per intero quel gomitolone chiamato esistenza che si svolge spesso con moto proprio, senza logica, imprevedibile e da comprendere, in quanto legato anche ai sentimenti e al caso, non solo alla ragione. Ragione simboleggiata dal protagonista che però si scontra e confronta con l’opposto, cioè il “cuore” di cui è metafora il personaggio femminile. Ma a essere efficaci, pur se tratteggiati con poco, sono anche diversi ritrattini minori, come accade nei film migliori del nostro. Qui si tratta appunto di uno di quelli, dove tutto si tiene: musica, fotografia, sceneggiatura, interpretazione. L’unico neo che riesco a trovare riguarda una certa esagerazione nell’ingenuo buonismo attribuito al personaggio di Melody, un po’ troppo Cappuccetto Rosso, giacché anche la provincia partorisce situazioni e vite molto complicate e spesso violente.
E veniamo alla sintesi del contenuto. Geniale ed egocentrico, Boris Yellnikof (Harry David, ottimo attore di commedie televisive) è un ex-fisico brillante che dopo un matrimonio fallito e un tentativo di suicidio, si è rifugiato in uno squallido appartamentino di periferia newyorkese. Insegna ai ragazzini, insultandoli, il gioco degli scacchi, odia il mondo, dialoga con implacabile durezza e sarcasmo con tutti e si ritiene superiore al resto dell’umanità. Questo finché non arriva una ragazzetta bionda, Melody (Evan Rachel Wood), fuggita da casa, la quale a poco a poco si installa nella sua vita e si innamora di lui. I due si sposeranno senza che “vada tanto male”, finché l’irruzione sulla scena dei genitori di lei non complicherà le cose, rendendo tutto possibile.
Per questa favola, un po’ alla Frank Capra (citato nel film) si può ben spendere una serata e ritrovare l’amico geniale, musone e spassoso, di sempre.
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federicarlo
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giovedì 24 settembre 2009
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boris allen..?
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“Basta che funzioni” si sarà detto fra se e se Woody Allen prima che uscisse il suo ultimo film. In effetti ha funzionato: tutti gli spettatori si saranno divertiti passando una serata davanti ad una simpatica e divertente commedia americana. In realtà io mi permetterei di definirla una tragedia alleniana, il coronamento di una carriera volta a descrivere e ironizzare sull’ inettitudine umana. Parlo di coronamento non perché ritenga questo il più bel film di Woody Allen, ma il più tragico. Mentre in altri film il finale aperto spesso lasciva un velo di speranza, in “Basta che funzioni” il finale aperto in realtà è chiuso. Il protagonista (Boris Yelnikoff) sembra essere l’alter ego del regista americano: una persona che crede nella scienza e odia la religione, paranoica, che ha paura del buio (forse il buio rappresenta ciò che è estraneo alla ragione), che si interroga continuamente sui problemi esistenziali, che si rivolge al pubblico (come in “Amore e guerra”), che all’ improvviso incontra una giovane e affascinante ragazza… Fin qua sembra tutto visto e rivisto, ma in realtà il protagonista si rivela completamente diverso dal vero Woody Allen, come se fosse un Allen invecchiato: non prova attrazione fisica verso la ragazza, ripudia il sesso, è deciso e fermo nei suoi ideali e non è più un caos mentale in continuo mutamento, non va dallo “strizzacervelli”.
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“Basta che funzioni” si sarà detto fra se e se Woody Allen prima che uscisse il suo ultimo film. In effetti ha funzionato: tutti gli spettatori si saranno divertiti passando una serata davanti ad una simpatica e divertente commedia americana. In realtà io mi permetterei di definirla una tragedia alleniana, il coronamento di una carriera volta a descrivere e ironizzare sull’ inettitudine umana. Parlo di coronamento non perché ritenga questo il più bel film di Woody Allen, ma il più tragico. Mentre in altri film il finale aperto spesso lasciva un velo di speranza, in “Basta che funzioni” il finale aperto in realtà è chiuso. Il protagonista (Boris Yelnikoff) sembra essere l’alter ego del regista americano: una persona che crede nella scienza e odia la religione, paranoica, che ha paura del buio (forse il buio rappresenta ciò che è estraneo alla ragione), che si interroga continuamente sui problemi esistenziali, che si rivolge al pubblico (come in “Amore e guerra”), che all’ improvviso incontra una giovane e affascinante ragazza… Fin qua sembra tutto visto e rivisto, ma in realtà il protagonista si rivela completamente diverso dal vero Woody Allen, come se fosse un Allen invecchiato: non prova attrazione fisica verso la ragazza, ripudia il sesso, è deciso e fermo nei suoi ideali e non è più un caos mentale in continuo mutamento, non va dallo “strizzacervelli”. Alla fine tutto sembra rientrare nella norma: Boris pare riuscire ad innamorarsi e ad accettare molto di ciò che ripudiava e in cui prima non credeva, ma anche gli altri personaggi sembrano avvicinarsi al mondo un tempo tanto lontano del protagonista. Tutto è apparentemente in perfetto equilibrio e il film lascia fra gli spettatori pareri contrastanti fra chi si è divertito di più e chi meno nel vedere una semplice, carina e originale commedia americana. Ma in realtà non credo che Woody Allen avesse in mente proprio questo, o meglio, sapeva che la gente avrebbe reagito così, forse voleva tale reazione; per me il film ha tutt’altro significato. Ho precedentemente parlato di un finale chiuso: in effetti è la prima volta che il protagonista di un film di Allen esce completamente sconfitto: Boris, prima ostile e arrabbiato nei confronti dell’ umanità, sembra rassegnarsi del tutto e calarsi nella parte dell’ uomo che vive per propria volontà nel falso, nell’ assurdo. Perdono le sue catastrofiche teorie e vince la fortuna; ed è proprio la fortuna che lo spinge ad innamorarsi di una maga (antitesi di razionalità, di scienza)... Perde l’umanità, la ragione, il senso di vivere la vita: non ha più senso scervellarsi per anni in chissà quali assurde teorie esistenziali, meglio lasciare vivere la gente nella totale ignoranza e alla fine “basta che funzioni”... Perde soprattutto l’alter ego di Allen. È forse per questo che il film non è stato interpretato proprio da Woody? È come se il regista americano facesse scendere in campo la sua parte dionisiaca ed è come se non se la fosse sentita di interpretarla, o forse non l’avesse ancora del tutto riconosciuta. Insomma non mi sorprende che Allen non abbia scelto Brad Pitt nel ruolo di protagonista: meglio un Larry David zoppo e vestito male, uno che sappia perdere.
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(di manuelfloyd)
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pipay
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mercoledì 23 settembre 2009
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il caso e il caos nella nostra vita
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Film intelligente, davvero originale, anche se non è il miglior lavoro di Woody Allen e nemmeno uno dei migliori. Boris, il fisico che è stato "sfiorato" dal premio Nobel è diventato un vecchio misantropo capace solo di criticare tutto e tutti. Ma la sua genialità è rimasta intatta. E alla sua genialità si accompagna una buona dose di ironia e una visione del mondo che non è da tutti. Lui "vede" e intuisce più degli altri. Il protagonista, in apertura del film e in altre occasioni si rivolge direttamente al pubblico in sala provocando lo sconcerto e l'ilarità di coloro che gli sono accanto perché non riescono a comprendere con chi lui stia comunicando. Questo espediente, dell'attore che dialoga direttamente col pubblico, può sembrare scontato e stucchevole.
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Film intelligente, davvero originale, anche se non è il miglior lavoro di Woody Allen e nemmeno uno dei migliori. Boris, il fisico che è stato "sfiorato" dal premio Nobel è diventato un vecchio misantropo capace solo di criticare tutto e tutti. Ma la sua genialità è rimasta intatta. E alla sua genialità si accompagna una buona dose di ironia e una visione del mondo che non è da tutti. Lui "vede" e intuisce più degli altri. Il protagonista, in apertura del film e in altre occasioni si rivolge direttamente al pubblico in sala provocando lo sconcerto e l'ilarità di coloro che gli sono accanto perché non riescono a comprendere con chi lui stia comunicando. Questo espediente, dell'attore che dialoga direttamente col pubblico, può sembrare scontato e stucchevole. ma è un espediente che rende bene quanto Boris sia lungimirante, geniale e capace di "vedere" il mondo da un punto di vista privilegiato: lui, insomma, sta un gradino più in alto degli altri. Lui davvero riesce a comprendere gli aspetti oscuri, bislacchi, stravaganti della vita. Lui va a braccetto con il caso e con il caos. Perché questa è la vita: un misterioso miscuglio di caos e di caso. L'imponderabile è sempre in agguato. Nel film di Allen il destino viene cancellato, annullato, a tutto vantaggio dell'imponderabile, della sorpresa, del "non programmato". Così come non è programmato l'incontro con la ragazza che andrà a vivere con lui. E soprattutto non sono prevedibili e programmati gli spassosi e radicali mutamenti che subiranno sia la madre della ragazza, che darà libero sfogo ai suoi istinti sessuali dividendo il letto e la casa con due uomini contemporaneamente, sia il padre, che scoprirà in età ormai più che matura, la sua inclinazione omosessuale. Insomma: ci sono occasioni per riflettere e occasioni per ridere. Come dicevo, e sottolineo, questo non è tra i migliori film di Allen, ma certamente è un film che va visto, da non perdere.
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[+] pensavo di essere l'unica...
(di des_demona)
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palindromerossa
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mercoledì 23 settembre 2009
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un film alla allen
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Finalmente un film alla "Allen"! Davvero carino , divertente e veloce.
Da vedere assolutamente!
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boffese
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mercoledì 23 settembre 2009
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woody torna a new york
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basta che funzioni, segna il ritorno di woody nella sua new york e coincide con il ritorno alla grande commedia stile Allen, l'influenza della grande mela, fa' trovare la giusta ispirazione al geniale regista .
sceneggiatura fittissima di battute divertenti e di pure verita', monologhi fantastici appropriatissimi al fantastico larry david, jazz,dialoghi folgoranti, psicanalisi, personaggi divertenti...........insomma il buon vecchio woody allen.
la scrittura di woody allen, e' ineguagliabile,anche se ultimamente sembrava in fase calante, ma in basta che funzioni torna quello d'un tempo(infatti, la sceneggiatura era stata riposta in cassetto una trentina d'anni).
nella prima mezz'ora e' straripante, poi quando sembra calare , si ritorna a sorridere, anzi a tratti a ridere di gusto.
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basta che funzioni, segna il ritorno di woody nella sua new york e coincide con il ritorno alla grande commedia stile Allen, l'influenza della grande mela, fa' trovare la giusta ispirazione al geniale regista .
sceneggiatura fittissima di battute divertenti e di pure verita', monologhi fantastici appropriatissimi al fantastico larry david, jazz,dialoghi folgoranti, psicanalisi, personaggi divertenti...........insomma il buon vecchio woody allen.
la scrittura di woody allen, e' ineguagliabile,anche se ultimamente sembrava in fase calante, ma in basta che funzioni torna quello d'un tempo(infatti, la sceneggiatura era stata riposta in cassetto una trentina d'anni).
nella prima mezz'ora e' straripante, poi quando sembra calare , si ritorna a sorridere, anzi a tratti a ridere di gusto.
bentornato woody!
"Una volta, mentre facevamo all'amore, si è verificata una stranissima illusione ottica: sembrava quasi che lei si fosse mossa."
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[+] magnifica la frase finale!!
(di lucycana)
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fabrizio cirnigliaro
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mercoledì 23 settembre 2009
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dio è gay e fa l'arredatore!
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Dopo 4 film girati in Europa, Woody Allen ritorna a New York, ma senza far rimpiangere quelle pellicole girate in questa città e che l’hanno reso celebre negli anni 70. La sceneggiatura è perfetta, il ritmo incalzante, non c’è il tempo per memorizzare le battute che si susseguono, soprattutto nella seconda parte, quando arriverà al punto di far dire ad uno dei personaggi che per aver ”creato un mondo con i fiori, le piante, le montagne, i laghi”… “Dio è Gay, perché è un arredatore”. Boris ritiene l’uomo un essere davvero stupido, altrimenti come spiegare ad esempio il fatto che sia arrivato al punto di inserire lo sciacquone automatico nelle toilette, perché non gli va di tirare la catenella.
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Dopo 4 film girati in Europa, Woody Allen ritorna a New York, ma senza far rimpiangere quelle pellicole girate in questa città e che l’hanno reso celebre negli anni 70. La sceneggiatura è perfetta, il ritmo incalzante, non c’è il tempo per memorizzare le battute che si susseguono, soprattutto nella seconda parte, quando arriverà al punto di far dire ad uno dei personaggi che per aver ”creato un mondo con i fiori, le piante, le montagne, i laghi”… “Dio è Gay, perché è un arredatore”. Boris ritiene l’uomo un essere davvero stupido, altrimenti come spiegare ad esempio il fatto che sia arrivato al punto di inserire lo sciacquone automatico nelle toilette, perché non gli va di tirare la catenella. La religione, le associazioni in difesa delle armi, sono solo alcuni dei bersagli del regista in “Basta che funzioni” . Sebbene l’attore sia molto diverso fisicamente da Woody Allen , certe sue espressioni ricordano molto il regista. L’interpretazione è straordinaria, malgrado la pessima qualità del doppiaggio italiano. Nella pellicola si parla, tra le altre cose, di Entropia, fisica quantistica, di utilitarismo, solo Woody Allen poteva riuscire a trattare questi argomenti in una commedia facendo divertire, e allo stesso tempo riflettere, gli spettatori; sulla vita, l’amore, il destino, le atrocità del mondo, anzi , l’orrore. Quello stesso orrore che ossessionava il colonnello Kurtz de La Linea D’ombra, tormenta le notti di Boris. Una volta Woody Allen ha detto che “Il mondo e’ diviso in buoni e cattivi. I buoni dormono meglio la notte, i cattivi se la spassano meglio il giorno.” Nel suo ultimo film invece il regista ci mostra un lato “oscuro” dell’intelligenza, del sapere. Una diversa visione del mondo, non in linea con il pensiero dominante delle masse di “vermetti” , spesso può causare un disagio della persona a vivere e interagire con gli altri. Boris reagisce con il cinismo, non fermandosi neanche davanti a dei bambini “incapaci” di apprendere i suoi insegnamenti sugli scacchi. Sarà una persona non del suo “livello” ad aiutarlo a stare bene e vivere in un mondo in cui è difficile cogliere il lato buono, quando tale persona lo “tradirà” lui, dopo un breve attimo di smarrimento, affermerà che se riesce a decifrare i numeri della fisica quantistica non avrà nessuna difficoltà ad affrontare i capricci e le delusioni d’amore. Ma le cose non stanno cosi, i sentimenti, le emozioni non si possono decifrare con degli algoritmi, per cui Boris tenterà nuovamente il suicidio. Quasi mai le cose vanno come vogliamo o come speriamo nella vita di tutti i giorni, Woody Allen ci ricorda che il mondo non è perfetto, anzi tutt’altro, ma che bisogna comunque avere una visione ampia della realtà, senza stare a lamentarci sempre per ogni cosa che va storta nella nostra vita, l’importante è che funzioni. Lo stesso discorso lo si può applicare ai film di Woody Allen, inutile rimpiangere le pellicole in cui faceva coppia con Diane Keaton o Mia Farrow, lagnarsi del fatto che si sia fatto sponsorizzare un film dall’ente del turismo spagnolo (Vicky Cristina Barcellona), o lamentarsi della sua assenza come attore. Sarà perché il cinema di oggi non offre molto come scelta, ma alla fine è sempre e comunque un film di Woody Allen, basta che funzioni, appunto.
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[+] basta che funzioni...
(di vincenzo carboni)
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fulvieri
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mercoledì 23 settembre 2009
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l'inno all'amore cantato da un misantropo
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In questo film l'ambientazione a mio avviso non è molto chiara; sebbene si parli della New York dei giorni nostri (vi è un riferimento al presidente nero, che contrasta con gli altri neri, cui non è concesso nemmeno di salire su un taxi), non c'è nessuno col cellulare, col computer o con uno strumento supertecnologico, senza i quali la vita ci appare inconcepibile (credo che la stessa cosa valga per i newyorkesi).
Con un sottofondo di musica jazz di inizio novecento il buon Woody ci parla di un argomento senza tempo, quale è quello dell'amore, fonte di tutte le pene, eppure di tutte le gioie, da un punto di vista cupo e depressivo, scegliendo però il registro della solarità.
Il misantropo Boris, uomo attempato, nichilista, tentato suicida, attraverso la giovane Melody riesce a plasmare intorno a sé, grazie alla sua "visione di insieme", che fa di lui una grande mente, una società intera, in cui ciascuno, compreso se stesso, riesce a trovare la sua vocazione autentica e, evidentemente per questo, scopre la possibilità di amare a modo suo la persona o le persone (menage a trois) che più sono adatte a sé; Melody, affrancata dalla madre che la vorrebbe sempre vincente alle gare di bellezza, quindi non più spinta a scegliere per reazione un uomo molto più grande di lei e anticonvenzionale, incontra un bel giovane, sentimentale e sognatore,
la madre Marietta si innamora di due uomini che eccitano la sua vena artistica, e a quanto pare
non solo quella, il marito Joe, da bacchettone con relazioni eterosessuali fallimentari alle spalle diventa il compagno di un gay col quale finalmente trova la sua strada, e Boris, infine, ex fisico e scacchista iper-razionale finisce letteralmente addosso a una medium in un ennesimo tentativo di suicidio.
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In questo film l'ambientazione a mio avviso non è molto chiara; sebbene si parli della New York dei giorni nostri (vi è un riferimento al presidente nero, che contrasta con gli altri neri, cui non è concesso nemmeno di salire su un taxi), non c'è nessuno col cellulare, col computer o con uno strumento supertecnologico, senza i quali la vita ci appare inconcepibile (credo che la stessa cosa valga per i newyorkesi).
Con un sottofondo di musica jazz di inizio novecento il buon Woody ci parla di un argomento senza tempo, quale è quello dell'amore, fonte di tutte le pene, eppure di tutte le gioie, da un punto di vista cupo e depressivo, scegliendo però il registro della solarità.
Il misantropo Boris, uomo attempato, nichilista, tentato suicida, attraverso la giovane Melody riesce a plasmare intorno a sé, grazie alla sua "visione di insieme", che fa di lui una grande mente, una società intera, in cui ciascuno, compreso se stesso, riesce a trovare la sua vocazione autentica e, evidentemente per questo, scopre la possibilità di amare a modo suo la persona o le persone (menage a trois) che più sono adatte a sé; Melody, affrancata dalla madre che la vorrebbe sempre vincente alle gare di bellezza, quindi non più spinta a scegliere per reazione un uomo molto più grande di lei e anticonvenzionale, incontra un bel giovane, sentimentale e sognatore,
la madre Marietta si innamora di due uomini che eccitano la sua vena artistica, e a quanto pare
non solo quella, il marito Joe, da bacchettone con relazioni eterosessuali fallimentari alle spalle diventa il compagno di un gay col quale finalmente trova la sua strada, e Boris, infine, ex fisico e scacchista iper-razionale finisce letteralmente addosso a una medium in un ennesimo tentativo di suicidio.
Sono tutte storie false, da film, presentate sinceramente nella loro finzione da un regista che è autoironico e umile anche nel proprio lavoro; sembra che ci dica, in fondo non ho da raccontare
nessuna storia vera che vi possa colpire veramente. Eppure, ancora una volta Woody colpisce per la sua capacità di raccontare se stesso e la società di privilegiati in cui vive, senza esaltarne nessun aspetto, anzi, irridendo la figura dell'artista che pensa di essere più importante dei comuni mortali, mostrando della stessa società il suo lato più comico, suscitando risate, sorriso e insieme voglia di vivere e di pensare.
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[+] ambientazione non chiara, ecco un dettaglio in più
(di felicino)
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felicino
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martedì 22 settembre 2009
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attori che parlano al pubblico in sala
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Film che mi è piaciuto molto e in cui ho notato che si è riutilizzata una tecnica che circa trent'anni fa si utilizzava con le commedie all'italiana oggi definite trash: un attore/attrice interrompe volutamente la recitazione per fungere da narratore o dire altre cose agli spettatori che seguono il film. Il film di Woody non è affatto trash, ma Larry David si è comportato allo stesso modo.
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(di andrea d)
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topkarol88
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martedì 22 settembre 2009
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torna a casa woody!
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E se per un attimo spegnessimo la mente, o almeno soltanto quella parte di essa che ci spinge in quest'affannosa e continua ricerca del momento perfetto, della vita perfetta, dell'amore perfetto, se la smettessimo di pensare a cosa inutili e superflue e ci fermassimo a riprendere fiato, riusciremmo ad essere completamente felici? Se ci accontentassimo di un'esistenza dominata solo da una mediocre e cinica razionalità, ci sentiremmo davvero appagati? Tutto si ridurrebbe ad una sola regola di comportamento....basta che funzioni!
E' proprio su questa massima che Boris Yellnikoff basa tutta la propria vita. Ex fisico famoso nonchè genio incompreso (il più delle volte) e quasi premio Nobel, Boris (Larry David) è ormai un sessantenne zoppicante, cinico, intollerante allergico alle buone maniere che si limita ad esistere più che a vivere veramente; bloccato in un evidente stato depressivo, tenta il suicidio e, non riuscendo nell'impresa, si arrende quindi, seppur riluttante, a quest'indesiderato cambio di programma.
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E se per un attimo spegnessimo la mente, o almeno soltanto quella parte di essa che ci spinge in quest'affannosa e continua ricerca del momento perfetto, della vita perfetta, dell'amore perfetto, se la smettessimo di pensare a cosa inutili e superflue e ci fermassimo a riprendere fiato, riusciremmo ad essere completamente felici? Se ci accontentassimo di un'esistenza dominata solo da una mediocre e cinica razionalità, ci sentiremmo davvero appagati? Tutto si ridurrebbe ad una sola regola di comportamento....basta che funzioni!
E' proprio su questa massima che Boris Yellnikoff basa tutta la propria vita. Ex fisico famoso nonchè genio incompreso (il più delle volte) e quasi premio Nobel, Boris (Larry David) è ormai un sessantenne zoppicante, cinico, intollerante allergico alle buone maniere che si limita ad esistere più che a vivere veramente; bloccato in un evidente stato depressivo, tenta il suicidio e, non riuscendo nell'impresa, si arrende quindi, seppur riluttante, a quest'indesiderato cambio di programma. Divorziato da una donna insopportabilmente brillante e preda ormai di una per lui rassicurante routine, Boris incontrerà all'improvviso una giovane, bella e molto poco istruita "vagabonda" di nome Melodie (Evan Rachel Wood) a cui darà rifugio e che, innamorandosi di lui e del suo essere così fuori dal comune, in poco tempo lo ricondurrà in modo totalmente irrazionale all'altare e in una nuova stravagante vita matrimoniale.
Dopo essersi messo alla prova in Europa con i suoi ultimi quattro film, finalmente Woody Allen torna a girare a casa, nella sua (e anche nostra) cara vecchia New York regalandoci il suo ultimo gioiello "Whatever Works - Basta che funzioni".
Scritta dal regista ben trent'anni fa, la sceneggiatura di questo film esplode solo ora in tutta la sua attuale comicità. Ritroviamo in ogni singola battuta il Woody di una volta, con il suo cinismo tagliente ed una rinnovata irriverente blasfemia. La storia è volutamente surreale e provocatoria (un sessantenne che sposa una ventenne...roba da matti!), dissacrante nei confronti della religione e del matrimonio (nemici giurati del regista) e così incredibilmente divertente.
Tutta la pellicola è piena zeppa di monologhi brillanti racchiusi in lunghi meravigliosi piani sequenza: come nel famosissimo "Io e Annie", il protagonista torna a fare da voce narrante parlando direttamente in camera, addirittura rivolgendosi al pubblico in sala. Non mancano di certo le citazioni, o meglio, le "autocitazioni" che il regista fa di suoi precendenti film come "Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere" e film come "Match Point".
A fare ancora una volta da colonna sonora è la bellissima musica classica stavolta mescolata sapientemente a canzoni tratte dai film del grande Fred Astaire, gli unici in grado di sedare gli attacchi di panico notturni del nostro disturbato protagonista.
Nonostante si senta la mancanza del Woody protagonista dei propri film, uno dei punti di forza questa volta è sicuramente il cast che vede, oltre ad uno strepitoso Larry David protagonista, la stupenda Evan Rachel Wood finalmente in un ruolo comico (è una svampita assolutamente perfetta) e vanta attori del calibro di Patricia Clarkson e Ed Begley Jr. insuperabili nei panni dei religiosissimi fanatici genitori di Melodie.
Non c'è nient'altro da dire se non che questo film è geniale, assolutamente uno dei più belli del regista degli ultimi anni. Bentornato Woody!
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[+] assolutamente d'accordo
(di andrea d)
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