The Square |
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Un film di Nash Edgerton.
Con David Roberts, Claire van der Boom, Joel Edgerton, Anthony Hayes, Lisa Bailey.
continua»
Thriller,
durata 105 min.
- Australia 2008.
- I Wonder Pictures
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Nessuno entrerà in quel quadratodi ZararFeedback: 13464 | altri commenti e recensioni di Zarar |
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martedì 28 novembre 2017 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Finalmente torna un’opera in cui si respira a pieni polmoni un grande specifico filmico. L’interazione di immagini, sonoro, inquadrature, recitazione, dialogo è totale e crea una tensione e un ritmo che non ti abbandonano dall’inizio alla fine del film. Il tema riflette l’approccio etico rigoristico di stampo protestante che avevamo già apprezzato in Forza maggiore: basta grattare appena la vernice di umanità, correttezza, buone intenzioni di cui ci rivestiamo tanto più quanto più siamo ‘civilizzati’, ben educati, ben integrati nella società, che si rivela la bestia che è in noi, le crudeltà di cui siamo capaci, delle cui conseguenze non siamo neppure consapevoli. Un simbolo la splendida, verissima battuta del passante frettoloso ed educato che dice: “No grazie”, a chi gli chiede un’elemosina. Quel che è peggio, per una specie di primitivo istinto di sopravvivenza, la società cospira per riannodare, ricucire, minimizzare, fagocitare tutti gli strappi di coscienza che una fugace lucidità genera nell’individuo. Il protagonista Christian (un bravo Claes Bang) è il curatore di un museo di arte contemporanea a Stoccolma. Il regista gioca da par suo a livello visivo e simbolico con le provocazioni di cui quest’arte è portatrice: mai come in questo caso abbiamo la percezione che non è l’oggetto, ma il significato che gli assegniamo che conta: una borsetta, persino una pila di ghiaia, assumono valenza simbolica se “li metto lì” e decido di renderli veicolo di un messaggio. L’evento intorno a cui ruota il film è la promozione di una mostra relativa ad un’opera appena acquisita: un quadrato recintato sul selciato (the square) così etichettato: questo quadrato è un "santuario di fiducia e altruismo”, all’interno del quale tutti hanno gli stessi diritti e doveri. Che dire? La quintessenza del patto sociale. Ma tanto più il significato che assegno è nobile e alto, tanto più appare consumato e piatto, al punto che solo un’immagine atroce, capace di parlare alla pancia – diremmo oggi – spregiudicatamente proposta da un’agenzia pubblicitaria, può attrarre l’ attenzione su di esso. Si sa già che ci sarà il rituale scandalo, le rituali prevedibili proteste, che il più sprovveduto magari ci rimetterà il posto, ma alla fine l’obiettivo di attrarre l’attenzione sarà perfettamente raggiunto proprio grazie a chi ha protestato di più. E non occorre scavare molto per capire che alla fin fine dietro al santuario di fiducia e altruismo c’è il business del museo. Parafrasando in modo un po’ atipico McLuhan , potremmo veramente dire che i mezzi usati diventano i veri, desolanti, messaggi. Di fronte a questo, la perfetta vanità degli sforzi di chi, pur riluttante, pur insicuro, tenterebbe di fare qualcosa di pulito: Christian, nei suoi intermittenti lampi di consapevolezza, ci prova e noi facciamo il tifo per lui: vuole riparare il torto fatto a un bambino a causa di una stupida iniziativa per recuperare qualcosa che gli è stato rubato e quando finalmente si decide, il bambino non è più rintracciabile; ammette le sue responsabilità per la bieca campagna pubblicitaria e il suo gesto è immediatamente svilito e finalmente del tutto ignorato. Non c’è veramente via d’uscita, e tutto è inghiottito dalle asettiche geometrie, dai flussi insieme convulsi e rituali del quotidiano, da un rimbombo aggressivo di rumori non significanti sullo sfondo. Resta come rifugio (un po’ troppo facile? Un po’ disperato?) lo sguardo innocente/indignato dei bambini.
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