
Parla il doppiatore italiano di Ken il guerriero.
di Ilaria Ravarino
Kenshiro da qualche anno ha la stessa voce di He-Man. E quando nessuno lo ascolta, nella solitudine della sua tana postatomica, è molto probabile che faccia autocoscienza con leggero accento milanese.
Doppiatore di tanti eroi vintage dei cartoni animati, di alcuni dei più grandi protagonisti postmoderni dell’intrattenimento videoludico (Vito Scaletta in Mafia II, Volpe in Assassin's Creed: Brotherhood), prestato spesso anche al cinema e alla tv, dal 2008 il lombardo Lorenzo Scattorin ha sostituito lo storico doppiatore romano Alessio Cigliano, non più in parte per motivi di età, nel dare voce all’eroe più maschio, schivo e laconico dell’universo cartoonistico giapponese. Nata nel 1983 dalla penna degli autori Buronson e Tetsuo Hara e conclusasi ufficialmente nel 1988, la battle-saga postatomica di Kenshiro è risorta nel 2008 tornando (anche) al cinema con quattro nuovi capitoli, La leggenda di Hokuto, La leggenda di Julia, La leggenda di Raoul e La leggenda di Toki, fedeli alla serie originale tranne che per un particolare: la voce del protagonista. Un dettaglio da non sottovalutare nel caso di Kenshiro, eroe ombroso e vagamente sociopatico che, pur parlando pochissimo, riesce a lasciare il segno ogni volta che apre bocca. Per esempio con la celebre battuta «Tu sei già morto», pronunciata puntualmente appena tre secondi prima di lasciar implodere l’avversario, un cult che i fan di qualsiasi età ricordano ancora oggi con nostalgica e orgogliosa nerditudine: «Sapevo che il pubblico si sarebbe aspettato una voce simile all’originale – diceva Scattorin all’alba del suo primo Kenshiro – ma non ho voluto copiare quella di Cigliano. Ho cercato piuttosto di mantenere inalterato il timbro». Da oggi al cinema con il prequel Ken il guerriero – La leggenda del vero salvatore, il bravo doppiatore milanese si è ormai rodato sul timbro cupo del picchiatore giapponese, meritando in pieno l’investitura ufficiale. La sua voce è quella di Ken, e pazienza se le orecchie più fini la riconosceranno anche altrove: in tutt’altro mood, e su altri campi di battaglia, c’è un po’ di Scattorin persino nel colorato mondo dove non si muore mai. Quello dei Pokemon.
Come ha preparato il doppiaggio del nuovo Kenshiro?
Esattamente come la prima volta, con la stessa percezione di attesa e affetto da parte dei fan. Quando cominciai ebbi la tentazione di rivedere le vecchie puntate della serie, per modellare la mia voce su quella originale. Poi ho capito che sarebbe stato meglio lasciarmi andare, anche ai miei stessi ricordi di fan. Se avessi copiato l’altra voce, avrei solo fatto un cattivo lavoro di imitazione.
L’aspetto più difficile di questo doppiaggio?
Doppiare è sempre difficile. La cosa più complicata è convincere il pubblico: purtroppo non si può piacere a tutti.
Come ha lavorato sulla voce di Kenshiro?
Come faccio sempre, cioè partendo dalla psicologia del personaggio. Quella di Ken è semplice: è un uomo schivo ma buono, che quando si arrabbia diventa una bestia.
Era un fan della serie?
Sì. Mia madre mi permetteva di vederlo, per fortuna. Adoravo Kenshiro, Mazinga, Lupin, Carletto, Goldrake. E non mi vergogno di dire che guardavo anche Candy Candy e Charlotte.
Qual era il suo personaggio preferito della saga?
Ken. Mi concentravo soprattutto su di lui, gli altri me li filavo poco. Mi interessavano solo in quanto gruppo che aiuta l’eroe in difficoltà.
L’amore per i cartoni giapponesi anni Ottanta accomuna tutta una generazione: perché tanta passione?
Bisogna pensare che a quei tempi non c’erano canali digitali, non c’era Sky, e nei palinsesti delle tv tradizionali c’era più spazio per i cartoni. Quelli della mia generazione sono cresciuti nel pieno del boom, ne abbiamo visti tantissimi. E le voci italiane che li doppiavano hanno contribuito al successo. Le voci sono state fondamentali.
Quali sono le più grandi differenze tra i cartoni di ieri e quelli di oggi?
Il linguaggio. Quello dei cartoni di oggi è edulcorato, soprattutto da certi concetti. La morte, per esempio.
E secondo lei è un linguaggio adatto ai bambini?
Quello della Disney e della Pixar è un linguaggio adatto. Quello di Kenshiro no: ho un figlio di due anni e mezzo e non glielo farei vedere adesso. È un cartone duro, con tanti riferimenti al dolore. Con questo non voglio dire che si debba censurare: è pur vero che basta accendere la tv su un telegiornale per rendersi conto che il problema dei bambini di oggi non è certo Kenshiro.
Qual è il primo cartone che ha fatto vedere a suo figlio?
I Barbapapà. Un evergreen.
Qual è secondo lei il pubblico ideale per un film di Kenshiro?
Prima di tutto gli appassionati della saga, che possono godersi i loro eroi sullo schermo di un cinema. Ma questo film in particolare, Ken il guerriero – La leggenda del vero salvatore, è una specie di prequel e quindi può piacere e incuriosire anche chi non sa niente della storia.
Chi sono gli eroi dell’età moderna?
Non identifico l’eroe in una persona, piuttosto in uno stato d’animo. La voglia di ribellarsi alle ingiustizie, di far cambiare le cose, quello sì che è eroico. C’è un po’di Ken in questo atteggiamento.
Cartoni adulti come Kenshiro hanno ancora spazio nell’era del gioco tridimensionale?
Il 3D lo trovo fantastico se preso a piccole dosi, io sono un amante delle tradizioni. Se spettacolari e coinvolgenti, i film in 3D hanno senz’altro ragione di essere. Credo però che per film come Kenshiro rimarrà sempre spazio. In questa lotta impari ce la faranno solo i cartoni che fanno sognare e quelli che permettono anche agli adulti di tornare ragazzini.