the mikemaister
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mercoledì 2 novembre 2011
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mentes insanae in corpore sano
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Un film instabile e statico al tempo stesso, regia e fotografia non hanno avuto un granché da fare, eppure il risultato è sbalorditivo. Un eccellente risultato che osccilla costantemente tra interpretazione teatrale e genialità cinematografica. Un risultato tenuto stretto per mano e accompagnato al successo dalle splendide interpretazioni di Michael Caine e Jude Law, pienamente all’altezza di un prodotto la cui riuscita i bookies avrebbero quotato come favorita una bella X, che non sta a significare pareggio bensì…. mah.
Non molti gradiscono le trasposizioni da teatrali a cinematografiche, in vero non molti gradiscono il semplice accostamento delle due parole nello stesso pensiero, ma questa volta il paragone è d’obbligo, e, ipocrisia e prevenzione in tasca, il paragone ha di certo un valore indiscusso.
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Un film instabile e statico al tempo stesso, regia e fotografia non hanno avuto un granché da fare, eppure il risultato è sbalorditivo. Un eccellente risultato che osccilla costantemente tra interpretazione teatrale e genialità cinematografica. Un risultato tenuto stretto per mano e accompagnato al successo dalle splendide interpretazioni di Michael Caine e Jude Law, pienamente all’altezza di un prodotto la cui riuscita i bookies avrebbero quotato come favorita una bella X, che non sta a significare pareggio bensì…. mah.
Non molti gradiscono le trasposizioni da teatrali a cinematografiche, in vero non molti gradiscono il semplice accostamento delle due parole nello stesso pensiero, ma questa volta il paragone è d’obbligo, e, ipocrisia e prevenzione in tasca, il paragone ha di certo un valore indiscusso. Tra Anthony Shaffer , ideatore dello sceneggiato del ’70, a Kenneth Branagh, regista della riproduzione dello stesso quarant’ anni dopo, l’unica differenza che si viene a notare è che la genialità è atemporale, e che un lavoro fatto dalle persone giuste con i mezzi giusti e le menti giuste mantiene sempre alto il livello di soddisfazione, che si passi da teatro a cinema o no.
Ovviamente, se la psicologia è la marionetta, l’allegoria non può essere se non il palco. Si comincia facilmente dalla scelta dei due attori, Law e Caine, uno giovane e l’altro meno, l’uno un fallito, l’altro famoso. Ma cosa implica questa demarcazione professionale? Denaro?! Ambizione?! Conoscenze?! Abitudini?! Noia?!! Ebbene, signori, di tutto un po’, è il classico sillogismo per venire a capo di una mente egocentrica. Il secondo conflitto allegorico demarca tutto l’iter da seguire: la casa di Wyke, un plusultra tecnologico, si trova in una distesa erbosa, in campagna, due fattori non da poco conto, dal quale si evincono le linee guida della psiche del nostro Wyke. Campagna contro tecnologia, natura contro progresso scientifico, società contro emarginazione; questo è il risultato di QUESTA casa in campagna, la casa di un proprietario emarginato, e di conseguenza paranoico, che implica a sua volta un egocentrismo spropositato. Ultima demarcazione da sottolineare è il connubio mens-corpus. Wyke, uomo importante, vissuto, carismatico e brillante contro Tindle, giovane fallito, arrogante, bello ed intelligente. Sissignori, avete capito bene, BELLO ED INTELLIGENTE, ed è proprio questa la geniale conflittualità finale: Tindle Si confronta con un saggio, un esperto, ma la cui carne ormai ha abbracciato i tempi che furono mentre lui è ancora nel fiore degli anni, e il suo corpo non ha nulla da invidiare a nessuno. Forse un po’ stereotipata l’immagine che bellezza e intelligenza non vadano a braccetto, ma in questo caso, in una visione generale dell’organico, assume lo steso sapore di una ciliegina sulla torta, un sapore metaforico ovviamente.
Per finire parliamo di lei, la signora Wyke, o meglio, la futura aspirante EX signora Wyke. Lei è la protagonista vera, l’origine di tutto, l’intuizione di questa genialità,la dea ex machina… e per tutta la durata del film, lei non si vede, mai. Se la casa in campagna ultra moderna rappresenta l’ambiguità e l’imprevedibilità del carattere de proprietario, sua moglie rappresenta l’ambiguità e l’imprevedibilità del genio di Shaffer prima, e di Branagh sicuramente dopo.
Come si può definire tutto questo mal loppone iperconcentrato in quasi novanta minuti? Dark Comedy?! Thriller? Psycho?! Ebbene, signori, di tutto un po’.
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mostofall
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giovedì 25 dicembre 2008
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il teatro portato al cinema
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Un film come pochi, bisogna ammetterlo. La storia viene dal teatro e si vede, ma la trasposizione cinematografica in questo caso è, a mio modesto avviso, riuscita. I dialoghi sono tesi e di ottima fattura, la storia praticamente non esiste, di fatto potrebbe essere considerato più un "racconto" che una storia. L'ambientazione è fantastica: (come alcuni mi hanno fatto notare, devo essere sincero) tra l'interno e l'esterno dei muri passa tutta la differenza che c'è tra antico e moderno. Gli interni avanzati e spicci, sebbene molto eleganti, sono racchiusi da una residenza maestosa e molto classica. L'effetto risultante è a volte disarmonico, a volte armonico. Senza dubbio è eclettico.
La cosa che più mi ha colpito, non so se volontariamente da parte del regista ma lo credo, è che il flim rispetta le tre regole Aristoteliche del teatro, e cioè Unità di Tempo, Unità di Luogo e Unità di Azione.
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Un film come pochi, bisogna ammetterlo. La storia viene dal teatro e si vede, ma la trasposizione cinematografica in questo caso è, a mio modesto avviso, riuscita. I dialoghi sono tesi e di ottima fattura, la storia praticamente non esiste, di fatto potrebbe essere considerato più un "racconto" che una storia. L'ambientazione è fantastica: (come alcuni mi hanno fatto notare, devo essere sincero) tra l'interno e l'esterno dei muri passa tutta la differenza che c'è tra antico e moderno. Gli interni avanzati e spicci, sebbene molto eleganti, sono racchiusi da una residenza maestosa e molto classica. L'effetto risultante è a volte disarmonico, a volte armonico. Senza dubbio è eclettico.
La cosa che più mi ha colpito, non so se volontariamente da parte del regista ma lo credo, è che il flim rispetta le tre regole Aristoteliche del teatro, e cioè Unità di Tempo, Unità di Luogo e Unità di Azione. La resa è davvero compatta e organica, non c'è dubbio. E complimenti ai due attori, la cui bravura è stata qui decisamente messa alla prova e senza la quale la struttura non avrebbe retto. Se per Michael Caine ciò era risaputo, per Jude Law è stata una bella prova di recitazione. Un film di questo tipo senza attori robusti non avrebbe avuto senso, nè anima. Così non è stato, complimenti a chi ci ha creduto. E a chi l'ha realizzato, ovviamente.
La fotografia, spesso tendente al blu, ha carattere, non c'è che dire. Son d'accordo con molte persone (si vedano alcune recensioni anche su questo sito) riguardo al fatto che la storia, specialmente nel finale, ha alcune pecche. A volte contorta e sottintesa, una strizzata d'occhio a chi conosce già il testo teatrale, ma effettivamente forse un pò troppo "contorta" o semplicemente tendente all'assurdo, specialmente nel finale. Detto qeusto, che in effetti non è un vero è proprio neo quanto magari un gusto personale, il film è interessante, non noioso, riesce a tenerti attento con un ritmo incalzante e colpi di scena ben dosati.
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fabal
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domenica 17 novembre 2013
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remake dal carattere teso e intimista
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Da Mankiewicz a Branagh, Sleuth compie un salto di ben 35 anni e si ripresenta come nuovo. Emblema di questa evoluzione è Micheal Caine, dall'altra parte della barricata rispetto al film del '72. Allievo già in grado di far penare l'Andrew Wyke interpretato da Olivier, ora Caine ne prende il ruolo senza volontà tributarie, mostrando un personaggio nuovo, che si attiene al percorso narrativo originale ma con enfasi diversa. Il Wyke di Caine è un istrione meno ciarliero e più cerebrale, i suoi dialoghi mirano al sottinteso e sono spesso smorzati da pause espressive. La regia di Branagh, fatta di atmosfere buie e primi piani in chiaroscuro, favorisce gli sguardi inquietanti e i sorrisi ambigui sul volto dei due interpreti.
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Da Mankiewicz a Branagh, Sleuth compie un salto di ben 35 anni e si ripresenta come nuovo. Emblema di questa evoluzione è Micheal Caine, dall'altra parte della barricata rispetto al film del '72. Allievo già in grado di far penare l'Andrew Wyke interpretato da Olivier, ora Caine ne prende il ruolo senza volontà tributarie, mostrando un personaggio nuovo, che si attiene al percorso narrativo originale ma con enfasi diversa. Il Wyke di Caine è un istrione meno ciarliero e più cerebrale, i suoi dialoghi mirano al sottinteso e sono spesso smorzati da pause espressive. La regia di Branagh, fatta di atmosfere buie e primi piani in chiaroscuro, favorisce gli sguardi inquietanti e i sorrisi ambigui sul volto dei due interpreti. Quelli di Law mostrano l'efficacia di un attore moderno, che non avrà sulle spalle un confronto con il mostro sacro Olivier, ma sa disporre della sua fisicità in modo totale e consapevole, muovendosi con il pizzico di giusta arroganza per il giovane Milo.
La sceneggiatura è di Harold Pinter, le cui opere hanno una certa affinità con il dramma di Shaffer. Rispetto alla versione del 1972 (e sceneggiata dallo stesso Shaffer), questo Sleuth è più conciso, snellito innanzitutto della longevità di oltre due ore del film di Mankiewicz. Ma la vera differenza risiede nell'ultimo terzo di trama, in cui la "proposta" - non sappiamo se autentica o fittizia- di Wyke a Milo accenna il tema dell'amore omosessuale, mai insinuato nell'opera originaria. Da qui alla fine Pinter dimostra di intraprendere un cammino tutto suo, discostandosi con qualche rischio dall'ultima macchinazione di Shaffer, ma giungendo alla medesima conlcusione. Che però, occorre notarlo, appare un tantino slegata e meno solida. E' difficile, comunque, stabilire se questo remake sia davvero inferiore all'originale: se lo è per il finale, non lo è per l'efficacia visiva, in grado di donare alle interpretazioni di Law e Caine (doppiati da Niseem Onorato e da Oreste Rizzini) un carattere teso e intimista.
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jean remi
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martedì 19 novembre 2013
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sleuth – il teatro si fa cinema con kenneth branag
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Con la sceneggiatura di Harold Pinter (drammaturgo, attore e regista teatrale, scrittore e poeta, premio Nobel per la letteratura nel 2005) Kenneth Branagh ha avuto lavoro facile a proporci questa trasposizione cinematografica di una commedia teatrale di Anthony Schaffer.
Certo ci ha messo del suo, nella scelta di due grandi attori e nella magnifica ambientazione della casa supertecnologica in cui tutta la vicenda si svolge, dove le porte si aprono telecomandate così come le luci, le scale, le tende e dove ogni punto e spiato dall’occhio delle telecamere; tale scelta da movimento al film che altrimenti avrebbe rischiato la lentezza dei ritmi tipici della rappresentazione teatrale.
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Con la sceneggiatura di Harold Pinter (drammaturgo, attore e regista teatrale, scrittore e poeta, premio Nobel per la letteratura nel 2005) Kenneth Branagh ha avuto lavoro facile a proporci questa trasposizione cinematografica di una commedia teatrale di Anthony Schaffer.
Certo ci ha messo del suo, nella scelta di due grandi attori e nella magnifica ambientazione della casa supertecnologica in cui tutta la vicenda si svolge, dove le porte si aprono telecomandate così come le luci, le scale, le tende e dove ogni punto e spiato dall’occhio delle telecamere; tale scelta da movimento al film che altrimenti avrebbe rischiato la lentezza dei ritmi tipici della rappresentazione teatrale.
La storia racconta dello scontro tra due personaggi maschili che sembrano contendersi una donna, che non compare mai, moglie dell’uno Andrew (Michael Caine) e amante dell’altro Milo (Jude Law); in effetti è uno scontro tra personaggi pieni di autostima, convinti di poter prevaricarsi grazie alla propria intelligenza e furbizia in una continua gara di colpi di genialità che ribaltano situazioni filmiche quando oramai sembravano definitivamente orientate.
Difficile collocare il film in un preciso genere, potrebbe essere un thriller, una commedia noir o un film drammatico; allo spettatore la scelta.
Sleuth è un remake, anche se radicalmente “nuovo”, di un film del '72 intitolato Gli Insospettabili (ultimo film della carriera di Joseph J. Mankiewicz noto per pellicole famose come Eva contro Eva, Un americano tranquillo o il colossalCleopatra) dove è presente il confronto tra generazioni ma dove Michael Caine rappresenta, contrariamente all’opera in questione, il giovane, mentre l’uomo maturo è interpretato da Laurence Olivier.
Branagh, dopo i bellissimi Enrico V, Hamlet, Molto rumore per nulla, As You Like It o Come vi piace, tutti ispirati ad opere di Shakespeare, ci propone quest’altra opera teatrale e coinvolgendo sino in fondo lo spettatore la trasforma in uno splendido film.
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luigi chierico
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giovedì 9 ottobre 2014
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grande conflitto verbale
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Non aspettarti di vedere un film, preparati invece ad assistere ad uno spettacolo teatrale tra i più classici, condotto egregiamente dal regista Kenneth Branagh, che ci ha già regalato in passato, nel 1996, un grandissimo Hamlet. Un lavoro teatrale non ha bisogno di sceneggiatura, il dialogo è stato concepito dall’autore che sia Shakespeare o sia Anthony Shaffer non ha importanza. Il regista ha il grave compito di portare sulla scena degli attori in grado di dare al testo la forza delle parole dettate dallo scrittore. Deve dirigere gli interpreti in modo che diano il massimo delle loro potenzialità. K. Branagh ci è riuscito in pieno, e sebbene tu non abbia assistito ad un film, hai seguito uno spettacolo degno di essere visto e che non potevi perdere.
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Non aspettarti di vedere un film, preparati invece ad assistere ad uno spettacolo teatrale tra i più classici, condotto egregiamente dal regista Kenneth Branagh, che ci ha già regalato in passato, nel 1996, un grandissimo Hamlet. Un lavoro teatrale non ha bisogno di sceneggiatura, il dialogo è stato concepito dall’autore che sia Shakespeare o sia Anthony Shaffer non ha importanza. Il regista ha il grave compito di portare sulla scena degli attori in grado di dare al testo la forza delle parole dettate dallo scrittore. Deve dirigere gli interpreti in modo che diano il massimo delle loro potenzialità. K. Branagh ci è riuscito in pieno, e sebbene tu non abbia assistito ad un film, hai seguito uno spettacolo degno di essere visto e che non potevi perdere. Il regista ha voluto affidare la parte di Andrea Wike, scrittore di gialli, ad un grande attore del passato quale è Michael Caine, ancora in grado di reggere il confronto e la fatica con un giovane Jude Law, amante della moglie. Per la cronaca nel 1972, quando nasceva J.Law, M.Caine faceva la sua parte nello stesso lavoro teatrale insieme ad un memorabile sir Laurence Oliver.
A 74 anni M. Caine calca le scene con lo stesso vigore, non c’ è un solo momento in cui non reciti con tutto se stesso, entrato nel personaggio non ne esce un solo istante.
Non è da meno J:Law con i suoi 35 anni anagrafici, ma con un curriculum alle spalle di tutto rilievo. Dei 50 film val la pena citare almeno “Closer”, tratto anch’esso da un opera teatrale di Patrick Marber, il cui personaggio non si discosta da Milo Tindolini (Tindle,se preferisci), appunto l’altro protagonista di questo drammatico confronto che si svolge tra i due soli attori, in unico ambiente, come si conviene ai più rigidi canoni teatrali del più lontano passato teatro sell’epoca aristotelica.
I protagonisti, marito ed amante, dicono di giocare, può sembrare un gioco tra gatto e topo, ma in effetti non è affatto così. Si tratta di un magnifico duello tra le due parti, sono colpi di fioretto, sono schivate e toccate, come si dice in gergo. Assistiamo ad un confronto serratissimo, non solo in un dialogo delirante, ma con una interpretazione indimenticabile.
Si passa da una calma olimpica ad un furore incontrollabile. Non c’è momento o parola da perdere, un’altalena su cui marito ed amante si muovono cadendo e rialzandosi, finché uno dei due o entrambi devono soccombere. È una partita a tennis dove entrambi perdono, inimmaginabile in questo sport dove si gioca a set, e sul set si gira la scena di questo gioco virtuale. I momenti drammatici o tragici si alternano a quelli ilari, non si sa mai per chi parteggiare tra i due sfidanti, due duellanti capaci in ogni momento di capovolgere le sorti dell’incontro, o meglio dello scontro prima dialettico, poi fisico.
La metamorfosi di Jude Law è veramente da antologia, la sua trasformazione nel fisico come nelle espressioni verbali è da manuale, bravo, bravissimo. Si assiste ad un lavoro, ad un impresa epica tra marito ed amante, non è il caso di andare per il sottile per commentare: “poco credibile”, “la storia non regge”,”ma come ha fatto a non accorgersi” e commenti del genere. Non contano qui i dettagli conta il dialogo serrato, l’interpretazione magnifica di entrambi, sebbene tra i due vi siano quasi 40 anni di differenza non solo d’età ma anche e soprattutto di carriera cinematografica. Una volta tanto un remake non solo non oglie ma anzi aggiunge qualcosa alla prima versione.chibar22@libero.it
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antonello villani
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giovedì 15 novembre 2007
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due mattatori per un film cervellotico
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Tanto teatro in questo remake di Kenneth Branagh, il proscenio si respira sin dalle prime inquadrature grazie alla preziosa collaborazione di Harold Pinter. Il drammaturgo inglese rende più cinematografico il romanzo di Anthony Schaffer, eppure “Sleuth” non deve solo vincere la naturale diffidenza del pubblico ma deve anche confrontarsi con la versione del ’72 diretta da Mankievicz. Ostacoli superati con due attori british che duellano a colpi di recitazione, una scenografia raffinata e una fotografia gelida che rende l’atmosfera rarefatta. “Sleuth” non è un film facile perché è prima di tutto un’opera teatrale, molti punti interrogativi per una trama che sembra un divertissement pensato solo per i protagonisti.
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Tanto teatro in questo remake di Kenneth Branagh, il proscenio si respira sin dalle prime inquadrature grazie alla preziosa collaborazione di Harold Pinter. Il drammaturgo inglese rende più cinematografico il romanzo di Anthony Schaffer, eppure “Sleuth” non deve solo vincere la naturale diffidenza del pubblico ma deve anche confrontarsi con la versione del ’72 diretta da Mankievicz. Ostacoli superati con due attori british che duellano a colpi di recitazione, una scenografia raffinata e una fotografia gelida che rende l’atmosfera rarefatta. “Sleuth” non è un film facile perché è prima di tutto un’opera teatrale, molti punti interrogativi per una trama che sembra un divertissement pensato solo per i protagonisti. Michael Caine e Jude Law in uno scontro generazionale che non delude le aspettative, due cavalli di razza che riescono ad incantare il pubblico con un’interpretazione fuori dall’ordinario: mimica facciale portata all’estremo, recitazione schizofrenica che oscilla tra drammaturgia e commedia tout court. Branagh sfrutta i primissimi piani, la telecamera indugia sugli sguardi di un ricco scrittore che vive nel suo castello pieno di diavolerie elettroniche e le smorfie di un giovane amante affascinato dal potere. Finale che lascia un po’ sconcertati, ma qui non importa conoscere i dettagli: Law e Caine illuminano con sprazzi di genialità un film che non sa fino in fondo dove vuole parare.
Antonello Villani
(Salerno)
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[+] sleuth remake ahiahiahi
(di mauri)
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