Tanto teatro in questo remake di Kenneth Branagh, il proscenio si respira sin dalle prime inquadrature grazie alla preziosa collaborazione di Harold Pinter. Il drammaturgo inglese rende più cinematografico il romanzo di Anthony Schaffer, eppure “Sleuth” non deve solo vincere la naturale diffidenza del pubblico ma deve anche confrontarsi con la versione del ’72 diretta da Mankievicz. Ostacoli superati con due attori british che duellano a colpi di recitazione, una scenografia raffinata e una fotografia gelida che rende l’atmosfera rarefatta. “Sleuth” non è un film facile perché è prima di tutto un’opera teatrale, molti punti interrogativi per una trama che sembra un divertissement pensato solo per i protagonisti. Michael Caine e Jude Law in uno scontro generazionale che non delude le aspettative, due cavalli di razza che riescono ad incantare il pubblico con un’interpretazione fuori dall’ordinario: mimica facciale portata all’estremo, recitazione schizofrenica che oscilla tra drammaturgia e commedia tout court. Branagh sfrutta i primissimi piani, la telecamera indugia sugli sguardi di un ricco scrittore che vive nel suo castello pieno di diavolerie elettroniche e le smorfie di un giovane amante affascinato dal potere. Finale che lascia un po’ sconcertati, ma qui non importa conoscere i dettagli: Law e Caine illuminano con sprazzi di genialità un film che non sa fino in fondo dove vuole parare.
Antonello Villani
(Salerno)
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