markerbet
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venerdì 28 marzo 2008
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anime di acciaio
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C’è una parte primitiva nell’essere umano che domina i comportamenti, che disegna la smorfia del volto, che manda il linguaggio al corpo. In questi decenni è costume reprimerla e forse un dovere di civiltà. Taluni personaggi la reprimono per capacità di controllo, altri non riescono e altri ancora non ne hanno il bisogno, perché la natura ci plasma anche nell’indole rendendola più o meno possente. Il film è tutto su di un uomo, su di un essere umano per l’esattezza, e in questo sta tutto il dramma. Una figura a cui per sua disgrazia la natura non ha fatto sconti, lo ha reso schiavo della sua avidità del suo stato di comando o come lui stesso dice. “Sento la competizione dentro di me, non voglio che gli altri riescano”.
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C’è una parte primitiva nell’essere umano che domina i comportamenti, che disegna la smorfia del volto, che manda il linguaggio al corpo. In questi decenni è costume reprimerla e forse un dovere di civiltà. Taluni personaggi la reprimono per capacità di controllo, altri non riescono e altri ancora non ne hanno il bisogno, perché la natura ci plasma anche nell’indole rendendola più o meno possente. Il film è tutto su di un uomo, su di un essere umano per l’esattezza, e in questo sta tutto il dramma. Una figura a cui per sua disgrazia la natura non ha fatto sconti, lo ha reso schiavo della sua avidità del suo stato di comando o come lui stesso dice. “Sento la competizione dentro di me, non voglio che gli altri riescano”. E’ la parte più bella del film, il violento distacco dal figlio adottivo. Solo per un attimo il ragazzo vuole la sua americanissima felicità economica. Viene cacciato. Non è neanche suo figlio. Non è sangue del suo sangue. Non c’è niente di te in me. E’ la forma più spietata di avvilimento della ragione, e lo schiaffo ad ogni futura costruzione del viver civile. Vent’anni di vita in comune non valgono niente. Non c’è un legame di sangue. Quindi, “siamo solo due che ci siamo trovati per strada”. Le luci e le atmosfere sono tristi, cupe ed i paesaggi aridi, desertici, tutti in terribile sintonia con il personaggio. Una specie di automa che non riesce istintivamente ad interiorizzare la sordità del figlio, si scorna tutte le volte contro di essa. Stona forse un finale esagerato, quasi onirico, un incubo. Non c’è una donna in tutto il film, ovviamente non è casuale. Sarebbe stata certamente di troppo e fuori tono in un film tutto negativamente al maschile. Daniel Day Lewis è superbo, incriticabile, sicuramente al momento il più grande attore vivente. Bravissimo anche il predicatore. oooo
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francesco maria pinelli
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venerdì 28 marzo 2008
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ricchezza materiale = miseria morale.
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La vicenda, ambientata all'inizio del secolo scorso, narra dell'ascesa di un "cercatore di petrolio". Il suo arrivo in California determina in lui, un crescendo di affermazione economica e declino umano. L'inserimento, in una piccola comunità contadina, porta il protagonista a scontrarsi con il predicatore attorno a cui i fedeli erigono la loro chiesa. E' proprio dal rapporto tra questi due personaggi che il film trae buona parte della sua linfa vitale; sono i loro scontri, dall'alterno e speculare risultato, che scandiscono l'intero plot. L'altro importante filone è quello del legame con il figlio "adottivo" del petroliere che è, anch'esso, destinato a un tragico epilogo. Il titolo originale rendeva più giustizia alla pellicola: There Will Be Blood, ci sarà sangue, metaforicamente e non.
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La vicenda, ambientata all'inizio del secolo scorso, narra dell'ascesa di un "cercatore di petrolio". Il suo arrivo in California determina in lui, un crescendo di affermazione economica e declino umano. L'inserimento, in una piccola comunità contadina, porta il protagonista a scontrarsi con il predicatore attorno a cui i fedeli erigono la loro chiesa. E' proprio dal rapporto tra questi due personaggi che il film trae buona parte della sua linfa vitale; sono i loro scontri, dall'alterno e speculare risultato, che scandiscono l'intero plot. L'altro importante filone è quello del legame con il figlio "adottivo" del petroliere che è, anch'esso, destinato a un tragico epilogo. Il titolo originale rendeva più giustizia alla pellicola: There Will Be Blood, ci sarà sangue, metaforicamente e non. I toni e i caratteri sono da tragedia greca; le ambientazioni da western; la regia, come sempre, è molto rigorosa e tesa a una spettacolirà che strizza l'occhio ai cinefili con sofisticati movimenti di macchina e grande cura del dettaglio visivo e sonoro; la recitazione superlativa e premiata con l'oscar al protagonista. Il tutto bagnato in un fiume d'oro nero e il nero, si sa, crea forti contrasti. E' il petrolio a determinare la "discesa agli inferi" del protagonista della storia ed è, quindi, il nero a pervadere gran parte delle immagini chiave del film. In definitva è un buon film che purtroppo non mantiene le aspettative che lo desideravano il nuovo capolavoro del regista, dopo Magnolia.
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paleutta
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martedì 25 marzo 2008
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daniel "bad" lewis
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ci sta prendendo gusto questo attore a fare la parte del cattivo. Sarà per via di quegli occhi piccoli da serpente velenoso e dalla corporatura nerboruta e spigolosa. Poi viene doppiato con quella voce che sembra che abbia appena bevuto un bicchiere di acqua ragia. Il film l'ho trovato interessante anche se, non dice niente che non si sapeva già. Un pò lento qua e là ma godibile. Intriso di cruda retorica coglie comunque abbastanza nel segno. La sete di denaro che supera ogni moralità. La furbizia e l'assenza di scrupolo come strumenti per ottenere successo, successo che inevitabilmente ci presenta il conto prima o poi, se ottenuto in quel modo. La figura del protagonista l'ho trovata un pò eccessiva, specialmente nell'epilogo.
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ci sta prendendo gusto questo attore a fare la parte del cattivo. Sarà per via di quegli occhi piccoli da serpente velenoso e dalla corporatura nerboruta e spigolosa. Poi viene doppiato con quella voce che sembra che abbia appena bevuto un bicchiere di acqua ragia. Il film l'ho trovato interessante anche se, non dice niente che non si sapeva già. Un pò lento qua e là ma godibile. Intriso di cruda retorica coglie comunque abbastanza nel segno. La sete di denaro che supera ogni moralità. La furbizia e l'assenza di scrupolo come strumenti per ottenere successo, successo che inevitabilmente ci presenta il conto prima o poi, se ottenuto in quel modo. La figura del protagonista l'ho trovata un pò eccessiva, specialmente nell'epilogo. Forse non era necessario per rendere efficace il messaggio, colorare di tinte così forti la personalità del petroliere. Ogni tanto sembrava di vedere Gangs of New York e il che è tutto dire. Insomma, è un film che vale la pena di vedere se non altro per la cura della ricostruzione ambientale e la fotografia. Una storia personale che è un epopea ma che ogni tanto scivola nel retorico e nel violento un pò gratuito e tanto caro al cinema degli ultimi tempi. Qui il cattivo non si redime, è cattivo fino alla fine, anzi lo diventa senpre di più.
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odissea 2001
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lunedì 24 marzo 2008
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(solo) per chi ama la frontiera americana
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Daniel Day Lewis è certamente un bravo attore, serio e preparato. Un ottimo "tecnico" dell'arte di recitare, capace di tenere la scena per tutta la durata del film, eppure fatica a farsi apprezzare da una parte del suo pubblico. Ha molti estimatori, ma anche detrattori, spettatori che non si sentono mai veramente coinvolti dalle storie di cui diviene protagonista. Anche per il Petroliere il "miracolo" non si avvera e alla fine si resta freddi di fronte ad una storia che è già stata raccontata troppe volte da grandi e piccoli cineasti, quella del successo che porta dritto al "male" rappresentato dall'avidità, dall'egoismo e dal "peccato" o abisso morale. E' questo il tema del film, che mostra l'effetto corruttivo del potere e del denaro sull'animo umano, e non ci sono differenze se è quello di un capitalista e padre scellerato o quello di un pastore di anime, cinico e senza scrupoli come l'imprenditore che si inchina solo di fronte al dio denaro.
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Daniel Day Lewis è certamente un bravo attore, serio e preparato. Un ottimo "tecnico" dell'arte di recitare, capace di tenere la scena per tutta la durata del film, eppure fatica a farsi apprezzare da una parte del suo pubblico. Ha molti estimatori, ma anche detrattori, spettatori che non si sentono mai veramente coinvolti dalle storie di cui diviene protagonista. Anche per il Petroliere il "miracolo" non si avvera e alla fine si resta freddi di fronte ad una storia che è già stata raccontata troppe volte da grandi e piccoli cineasti, quella del successo che porta dritto al "male" rappresentato dall'avidità, dall'egoismo e dal "peccato" o abisso morale. E' questo il tema del film, che mostra l'effetto corruttivo del potere e del denaro sull'animo umano, e non ci sono differenze se è quello di un capitalista e padre scellerato o quello di un pastore di anime, cinico e senza scrupoli come l'imprenditore che si inchina solo di fronte al dio denaro. La storia è una storia di frontiera, epica e dura, come ci si potrebbe aspettare da un film western dell'epoca d'oro. Il taglio drammatico arriva a sconfinare talvolta nella farsa e nel grottesco, con un finale che sembra decisamente sopra le righe anche se l'intento è esplicito: rappresentare nel suo modo più tragico ed esplosivo il cammino dell'odio e della sete di vendetta, la natura bestiale e irredimibile dell'uomo ridotto ad un concentrato di interessi, vittima motore e della propria cupidigia. Consigliato per i cultori del cinema di frontiera; a tratti la narrazione si fa prolissa, soprattutto all'inizio. Un'altra buona interpretazione di Paul Dano, l'adolescente "muto" di Little Miss Sunshine.
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vincent
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domenica 23 marzo 2008
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un'opera imponente e intensa
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Il Petroliere si apre con una lunga sequenza del tutto priva di dialoghi, che immerge lo sconcertato spettatore in un mare di sangue e petrolio per una ventina di minuti. Si tratta di un prologo estenuante e perfetto, allucinante e pregno di simbolismi.
Poi la storia inizia. La vita di Daniel Plainview si srotola davanti agli occhi dello spettatore senza stacchi temporali avvertibili, sebbene copra l'arco di diversi anni. Daniel Day-Lewis è immenso e vale da solo il prezzo del biglietto. Bravi i comprimari, costretti agli straordinari per uscire dall'ombra monumentale del protagonista.
Straordinario e grottesco l'epilogo della lunga lotta tra Daniel e il predicatore.
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malinho
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sabato 22 marzo 2008
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finale deludente
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Ma il finale mi ha lasciato perplesso, degna più di uno psicopatico che di un magnate petrolifero, credo che rovini quanto di buono la trama aveva costruito prima.
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everyone
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venerdì 21 marzo 2008
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guarda al passato per capire gli usa di oggi
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Un grande film che aiuta a capire gli USA di oggi,i piloni su cui si basa la loro società spietata,il motore che muove la loro politica estera di cui una parte non trascurabile del mondo paga le conseguenze.
Da un punto di vista artistico grandi interpretazioni.
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(di reiver)
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plexy
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sabato 15 marzo 2008
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prova ecellente
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La polemica sul fatto che questo sia un film d'essai o commerciale e' puramente sviante, questo e semplicemente grande cinema al quale forse non ci siamo più tanto abituati, le lezioni dei registi del passato sono riproposte in chiave più vicina ai nostri tempi (es. l' uso dei suoni nella colonna sonora). Uno dei piu meritati oscar alla recitazione degli ultimi 10 anni ad un grande Daniel Day Lewis, eccezionali pure il piccolo che interpreta il figlio e Paul Dano nella parte del predicatore. In definitiva un film da mettere nella propria collezione di casa.
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ciro
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venerdì 14 marzo 2008
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lo spirito di frontiera secondo anderson
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Vedere l’ultima opera di Paul Thomas Anderson significa aprire una serratura dopo l’altra, tante sono le chiavi di lettura ed i livelli di interpretazione. Partiamo dalla metafora più evidente: Daniel Planview, ostinato e fortunato cercatore di petrolio, è l’incarnazione perfetta del capitalismo americano: spirito d’iniziativa, ottimismo, perseveranza, egoismo, forza di volontà nel superare ogni sorta di ostacolo. Lo vediamo nascere dal nulla, solo e sperduto nel deserto, ed arrivare al successo, immerso in una villa californiana. Nel mezzo, una vita fatta di scelte coraggiose ed azzardate (l’acquisto di enormi appezzamenti di terreno senza avere la certezza che lì sotto ci sia petrolio), e di gesti al limite del disumano (l’abbandono sul treno del figlio adottivo, rimasto sordo a seguito dell’esplosione di un pozzo petrolifero).
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Vedere l’ultima opera di Paul Thomas Anderson significa aprire una serratura dopo l’altra, tante sono le chiavi di lettura ed i livelli di interpretazione. Partiamo dalla metafora più evidente: Daniel Planview, ostinato e fortunato cercatore di petrolio, è l’incarnazione perfetta del capitalismo americano: spirito d’iniziativa, ottimismo, perseveranza, egoismo, forza di volontà nel superare ogni sorta di ostacolo. Lo vediamo nascere dal nulla, solo e sperduto nel deserto, ed arrivare al successo, immerso in una villa californiana. Nel mezzo, una vita fatta di scelte coraggiose ed azzardate (l’acquisto di enormi appezzamenti di terreno senza avere la certezza che lì sotto ci sia petrolio), e di gesti al limite del disumano (l’abbandono sul treno del figlio adottivo, rimasto sordo a seguito dell’esplosione di un pozzo petrolifero). E poi c’è l’alter-ego di Daniel Planview, il giovane e folle predicatore che si serve dell’ignoranza della gente per affermare sulla comunità un altro tipo di autorità, fondata su un misto di fede e paura. Tra i due si svilupperà un confronto aspro, fatto di accordi ma anche di veri e propri scontri fisici. E non si può non leggere, dietro tale dicotomia, un’altra lampante metafora, quella delle due anime dell’America: capitalismo ed evangelismo, ora in feroce lotta tra loro, ora felicemente a braccetto (leggi: l’attuale amministrazione Bush).
Ridurre però il film alla sola interpretazione in senso metaforico sarebbe ingiusto nei confronti di Paul Thomas Anderson, che si conferma essere, a mio parere, uno dei più potenti narratori cinematografici attualmente in circolazione. Manierismo? Forse, ma mai non fine a se stesso. Autocompiacimento? Sicuramente, ma da parte di chi se lo può permettere.
Il Petroliere sembra così essere un’unica lunga sequenza, tanta è la solidità della messa in scena, durante la quale si toccano vette stilistiche di conturbante bellezza: la scena dell’esplosione del pozzo, in particolare, caratterizzata da una colonna sonora che ne rappresenta quasi la protagonista principale, mette i brividi. E poi il finale... Beh, cosa dire del finale… E' sufficiente l'ultimo qurto d'ora per legittimare l’Oscar dato a Daniel Day-Lewis: un duello shakespeariano tra il capitalista e il predicatore, quest’ultimo pronto a umiliarsi e a urlare “God is supertstition!” pur di scampare al tracollo finanziario del ’29. Volendo tornare alla metafora, un finale che rappresenta al meglio lo smascheramento dell’ipocrisia del radicalismo religioso a fronte dell’arroganza del capitalismo alimentata dal successo. Ma per apprezzare la tragica magnificenza del più bel finale visto al cinema negli ultimi anni bastano i volti e le interpretazioni di Daniel Day-Lewis e Paul Dano, perfetti nei movimenti e nella teatralità dei gesti, protagonisti di una sorta di balletto che acquista ancor più forza nella versione originale in lingua inglese: “I drink you milkshake!” urlato dai Daniel Planview alla volta del predicatore vi risuonerà a lungo nel cervello, statene certi. Così come sarà impossibile non provare un brivido dinanzi al surreale distacco del maggiordomo, che alla vista di un corpo senza vita disteso a terra e con la testa sanguinante, chiede a Planview se tutto va bene.
“I’m finished”, è la sua laconica risposta.
E con lui, forse, l’America.
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[+] i'm finished
(di fanolgepu)
[ - ] i'm finished
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giuseppe acciaro
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venerdì 14 marzo 2008
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"nero nella terra e nel cuore"
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Dopo l'"eastern" "Gangs of Newe York",ritroviamo Daniel Day-Lewis impegnato nell'ennesima recitazione di grande livello. Qui interpreta un petroliere roso da una crescente e incontenibile ambizione, che lo porterà a distruggere ogni legame affettivo,che gli inibirà poi qualsiasi rapporto sociale. Il petroliere squarcia la terra alla ricerca dell'oro nero, e all'inizio rischia di venirne inghiottito senza speranza, per poi "rinascere" e procedere nella sua scalata alla ricchezza con la furbizia, l'inganno, l'opportunismo, mentre la paranoia e la misantropia apriranno un crepaccio fra lui e gli altri.Di grande interesse gli scontri,
sia subdoli che dichiarati, con l'ambiguo Paul, finto apostolo della salvezza.
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Dopo l'"eastern" "Gangs of Newe York",ritroviamo Daniel Day-Lewis impegnato nell'ennesima recitazione di grande livello. Qui interpreta un petroliere roso da una crescente e incontenibile ambizione, che lo porterà a distruggere ogni legame affettivo,che gli inibirà poi qualsiasi rapporto sociale. Il petroliere squarcia la terra alla ricerca dell'oro nero, e all'inizio rischia di venirne inghiottito senza speranza, per poi "rinascere" e procedere nella sua scalata alla ricchezza con la furbizia, l'inganno, l'opportunismo, mentre la paranoia e la misantropia apriranno un crepaccio fra lui e gli altri.Di grande interesse gli scontri,
sia subdoli che dichiarati, con l'ambiguo Paul, finto apostolo della salvezza. Film al contempo teso, vitale, cupo, angoscioso....Carico di implosioni ed esplosioni anche a livello psicologico.Paul Anderson si conferma regista versatile,operante su più registri.Magnolia fu indubbiamente un buon film, ma un conto è lavorare con Tom Cruise, un altro con l'eccellente Daniel Day-Lewis.
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