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mario conti
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sabato 27 maggio 2006
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mi butto su mia madre (o sul di lei fantasma)
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Questa volta Pedro (chiamiamolo cosi, rovesciando il suo vezzo di firmare le opere con il solo cognome) e le sue donne carburano con fatica. Il tema del passato e della solidarietà femminile, filo conduttore di ben altri capolavori, ha ceduto il passo a strane suggestioni iperrealistiche e ad agnizioni un po' semplicistiche. Intendamoci: una volta accettata l'idea del ritorno della madre (fantasma? mero ideale? effettiva presenza "in carne ed ossa" riemersa da un passato diverso da quello conosciuto?) la pellicola riprende quota e riparte la nota sarabonda di figure e figurine femminili che, nei consueti dialoghi frizzanti e surreali, si fanno interpreti della calda vitalità del regista e della sua filosofia, al contempo malinconica e scoppietante.
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Questa volta Pedro (chiamiamolo cosi, rovesciando il suo vezzo di firmare le opere con il solo cognome) e le sue donne carburano con fatica. Il tema del passato e della solidarietà femminile, filo conduttore di ben altri capolavori, ha ceduto il passo a strane suggestioni iperrealistiche e ad agnizioni un po' semplicistiche. Intendamoci: una volta accettata l'idea del ritorno della madre (fantasma? mero ideale? effettiva presenza "in carne ed ossa" riemersa da un passato diverso da quello conosciuto?) la pellicola riprende quota e riparte la nota sarabonda di figure e figurine femminili che, nei consueti dialoghi frizzanti e surreali, si fanno interpreti della calda vitalità del regista e della sua filosofia, al contempo malinconica e scoppietante.
E, tuttavia, la prima parte vive un po' troppo sulle spalle della fulgida Penelope Cruz, eroina proletaria che carica di inusuali tinte gialle l'eliminazione del marito (ancora una volta l'uomo,in Almodovar,- se si eccettua il capolavoro "Parla con lei" - è orpello inutile , adatto alla eliminazione, magari all'ibernazione...). Nè mancano personaggi di contorno assolutamente pleonastici, sintomo di inconsueti deficit di messa a fuoco: la compagnia di attori, il titolare del ristorante, l'acquirente facilmente trombato... Sicchè tutto inizia a ruotare su una assenza (e si sa quanto un'assenza possa fare enorme rumore nelle vite di quelli che la patiscono). E la madre (una straordinaria Carmen Maura, attrice-feticcio di Almodovar, splendidamente truccata ed invecchiata) ritorna: limitata sorpresa tra il pubblico, e qualche facile trucco di sceneggiatura (la paura del passato e, dunque, la scelta di non incontrare una delle figlie; la ricerca d una nuova identità; le lacrime quando il passato ritorna sotto le speglie di uno splendido tango di Jardel intonato dalla Cruz).
Dopo ciò, come detto, il film va: non perdetevi la comparsata in televisione di Agustina, scena in cui il regista ritrova i suoi migliori accenti salaci e la finale riconciliazone; riconciliazione che non è soltanto tra esseri umani ma anche tra uomini (meglio: donne) e la vita o la morte e tra queste e la voglia di continuare a guardare avanti, nonostante quel vento che spira impetuoso e trascina con sè il soffio delle anime e qualche senno.
"Volver" è un film sulla morte e su ciò che ne sta a monte e a valle: sulla vita, quindi, sul lutto e sulle difficoltà della sua elaborazione, sulla malattia, sull'amore che resta e non muore. Quell'amore che si trasferisce anche sulle lapidi, lucidate con passione dalle donne in nero. E' la scena iniziale del film, molto bella ma che non mantiene ogni sua promessa.
Sarà una nostra ossessione: ma, dopo "Parla con lei", Almodovar aveva ormai poco da dire (o da dire splendidamente) sulla vita e sulla morte.
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clementine89
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giovedì 5 marzo 2009
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volver
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A Madrid, nei quartieri effervescenti della classe lavoratrice, dove gli immigrati delle vari province spagnole condividono sogni, vita e fortuna con una multitudine di etnie e razze diverse, tre generazioni di donne sopravvivono al vento, al fuoco e persino alla morte, grazie alla bontà, al coraggio e ad una vitalità infinita.
In un cast eccezzionale di attrici la cui bellezza interiore risalta anche all'esterno, Pedro Almodòvar realizza un vero e proprio capolavoro riassumibile in molte immagini di fotogrammi dalla splendida inquadratura e una delicatezza infinita.
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a.l.
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lunedì 29 maggio 2006
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l'altrove non e' che un ritorno
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Nel sedicesimo film di Almodovar, “Volver”, l’assenza quasi totale di uomini è scelta felice e il femminismo c’entra sì e no: un autore così rispettoso delle differenze, è probabilmente consapevole che ciascun individuo soffre a modo suo e un sesso non ha il privilegio della sofferenza rispetto all’altro. Tuttavia la figura femminile, relegata fra le pareti domestiche, storicamente sottomessa all’autorità del padre e a un marito padrone, ha da sempre nutrito i suoi silenzi e la sua inattività obbligata con un’interiorità più complessa e con una sensibilità più acuta per gli aspetti della vita meno ovvii e visibili: madri sorelle e mogli nel corso dei secoli hanno acquisito una capacità innata di confortare e una saggezza pratica per sopravvivere ai mali del mondo.
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Nel sedicesimo film di Almodovar, “Volver”, l’assenza quasi totale di uomini è scelta felice e il femminismo c’entra sì e no: un autore così rispettoso delle differenze, è probabilmente consapevole che ciascun individuo soffre a modo suo e un sesso non ha il privilegio della sofferenza rispetto all’altro. Tuttavia la figura femminile, relegata fra le pareti domestiche, storicamente sottomessa all’autorità del padre e a un marito padrone, ha da sempre nutrito i suoi silenzi e la sua inattività obbligata con un’interiorità più complessa e con una sensibilità più acuta per gli aspetti della vita meno ovvii e visibili: madri sorelle e mogli nel corso dei secoli hanno acquisito una capacità innata di confortare e una saggezza pratica per sopravvivere ai mali del mondo. Il maschio spiazzato dall’idea della morte ne prende le distanze razionalizzando freddamente e teorizzando con linguaggio aulico su immortalità dell’anima e su materialismo oppure diventa crociato di una qualche religione per lasciare di sé impronta indelebile, la donna invece asciuga le lacrime e lucida le lapidi: il vento tutto spazza via, portando incendi e pazzia, fa girare le pale eoliche, mulini a vento per i don Chichiotte di ogni tempo, restano nella mente i volti e i gesti delle persone defunte e di loro bisogna continuare ad aver cura, come fossero ancora vivi e avessero bisogno di abiti puliti, di cibo caldo e di un po’ di compagnia nei giorni tristi. Ed è tale simbolo di pietas calda e forte che Almodovar, il più umanista del registi oggi in circolazione, recupera dai ricordi d’infanzia nel paese natio della Mancha, Calzada de la Calatrava, e da quelli di cinefilo, innamorato delle incarnazioni della magna mater mediterranea, rigogliosa datrice di vita, del cinema italiano, Sofia Loren, Claudia Cardinale ed Anna Magnani. Ma, per fare del suo dolore il dolore di tutti, egli lo priva di qualsiasi riferimento specifico e costruisce un complicato reticolo di sentimenti attorno a un intreccio volutamente pieno di luoghi comuni da fueilleton con la provvidenziale rimozione di personaggi negativi privi di spessore. In “Volver” la banalità della trama ha lo scopo di riportare alla salutare prosaicità del quotidiano dei quartieri popolari ciò che è oggetto di astratta indagine metafisica: vivi e morti si prendono per mano ed affrontano insieme il mistero insolubile dell’essere al mondo, nell’unico modo possibile a qualsiasi essere umano, perspicace o stupido, ovvero con la solidarietà e con l’intelligenza del cuore. Non è solo questo però: i fantasmi malvagi o buoni, per esercitare la loro funzione salvifica, necessitano dell’intimità familiare, di luoghi chiusi e appartati, e per colloquiare con noi devono restare invisibili agli altri. Il ritorno anacronistico all’universo arcaico della madre feconda e consolatrice e ai riti secolari di paese segna anche la volontà di rinnegare l’aridità di una società, dove il senso del pudore è sconosciuto: la televisione paga l’ ammalata di cancro, perché metta in piazza i suoi segreti, e la tragedia si trasforma in “spazzatura”, per entrare nel bidone ricettacolo dove si getta al macero ogni parte di se stessi. Pure l’illuminazione sta lì in un canto malinconico di una figlia abbandonata e nel pianto di una madre nascosta in ascolto, nella riconciliazione e nelle confidenze fatte, attraversando distanze siderali, solo ai propri cari, vivi o morti, lontani o vicini che siano: su questa terra l’altrove non è che un ritorno….
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