Nuovomondo |
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Un film di Emanuele Crialese.
Con Charlotte Gainsbourg, Vincenzo Amato, Francesco Casisa, Aurora Quattrocchi, Filippo Pucillo.
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Titolo originale The Golden Door.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 111 min.
- Italia, Francia 2006.
- 01 Distribution
uscita venerdì 22 settembre 2006.
MYMONETRO
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Nuovomondo, gli uomnini e le pietre
di Giovanni SemeraroFeedback: 0 |
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giovedì 26 ottobre 2006 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nuovomondo Pietre, gli uomini sono pietre. Sono le pietre a comporre le prime immagini di questo film: le pietre che portano in bocca il protagonista e suo figlio, come voto per propiziare un consiglio ad una grande croce piantata in un mucchio di pietre, su una montagna di pietre, in un deserto di pietre. L’umanità della Sicilia dei primi del novecento è un’umanità che, come gli uomini di mille anni fa, vive nelle pietre e tra le pietre, in case di pietre, circondata da muri di pietre…l’umanità siciliana di inizi novecento è un’umanità di pietra. Come di pietra è la vecchia madre di Salvatore, legata indissolubilmente alle tradizioni ed agli usi della propria terra, e interpretata da una Aurora Quattrocchi che, con il suo viso arcaico, il suo dialetto incomprensibile ed i filtri magici di cui è in possesso, sembra la reincarnazione di una delle inconsapevoli protagoniste dei documentari etnografici di demartiniana e desetiana memoria (ormai sepolti tra le pietre). La prima ora del film scorre così, con la rappresentazione di un paesaggio siciliano, umano e topografico, che si presenta rude, brullo, arido, aspro, tutto il contrario di come agli occhi ed alla mente dei protagonisti si presenta il Nuovo Mondo del titolo, l’America, un vero e proprio paradiso terrestre, in cui scorrono fiumi di latte e crescono sulle piante monete d’oro, ed in cui gli ortaggi e gli animali da cortile sono più grandi degli uomini che li coltivano e li allevano. Salvatore vuole andare lì, con la scusa (in realtà un po’ debole) di andare a cercare il proprio gemello, ma con l’intento, più forte che mai, di cambiare radicalmente la propria esistenza e quella dei propri familiari. Un desiderio, quello di Salvatore, neanche tanto originale, visto che quello di cambiar vita è il desiderio di migliaia e migliaia di uomini, forse di tutti gli uomini. Tutti noi abbiamo sognato almeno una volta di cambiar vita, e di solito quando si sogna di cambiar vita si pensa subito ad andare lontano, in un paese lontano, e cosa c‘è di più lontano ai nostri occhi che l’America? (una distanza più metafisica che fisica). Tra il sogno e la sua realizzazione però, c’è l’oceano, ed è il coraggio di attraversarlo a costituire la grande discrimante che divide, così come la striscia d’acqua che pian piano si allarga, il popolo in partenza sulla nave da quello che, con un meraviglioso effetto ottico, rimane ancorato alla banchina, alla vita, alla miseria siciliana (italiana). Se la storia d’amore che pian piano sboccia tra il protagonista e la giovane passeggera anglosassone risulta in un certo senso forzata e comunque insignificante per lo svolgersi dell’intreccio, notevoli sono alcune scene ed alcuni momenti vissuti sulla nave in alto mare. Parlo ad esempio dei momenti in cui decine di dialetti e cadenze diverse si trovano a convivere nello stesso stanzone (notevole la scena del botta e risposta a voce e tamburello tra un salentino ed un…siciliano?), o di scene come la “toletta di gruppo” che fanno le donne in una splendida catena di montaggio umana per pettinarsi i capelli. Di grande potenza risulta inoltre la scena in cui la nave – scossa fortemente da una tempesta che rimane invisibile ma di cui sentiamo però gli spaventosi e metallici rumori – scaraventa violentemente a terra e sulle pareti decine e decine di corpi, che alla fine vanno a formare un grande e variegato tappeto di carne umana in cui è ormai saltata la rigida separazione fatta all’inizio tra uomini e donne, e nel cui tessuto variegato si incrociano teste, gambe e braccia maschili e femminili, vivi e morti. L’arrivo a destinazione è a dir poco surreale: l’America tanto sognata ed immaginata, una volta raggiunta, risulta invisibile perché completamente avvolta dalla nebbia…un po’ come per dire “continuate a sognarla, che forse è meglio”. Se la routine delle visite e dei test subiti all’arrivo negli Stati Uniti sembra in un certo senso “già visto”, nonostante i tentativi di “alleggerire” le scene un po’ noiose con piccoli inserti e gag comiche, da rilevare è senza dubbio l’imprevisto (ma neanche tanto) “miracolo finale”: il figlio sordomuto di Salvatore, che sta per essere rimpatriato insieme all’anziana nonna causa il suo handicap che lo rende “non buono” all’ammissione in quel paese efficiente ed intelligente, riacquista miracolosamente la voce e l’udito per dire al padre che la nonna vuole tornare in Sicilia e probabilmente (ma questo non lo sentiamo) che lui non ne ha nessuna voglia, e che anzi vuole restare a giocarsi le proprie carte nel Nuovo Mondo così come faranno tutti coloro che alla fine vediamo galleggiare beatamente nei bianchi fiumi di latte di cui avevano tanto sentito parlare. Dal punto di vista luministico, salta subito all’occhio un certo “grigiore perenne” che domina tutte le scene, comprese quelle siciliane, che il cinema i genere preferisce rappresentare invase di luce, di cielo e di sole. Leggermente troppo “sganciate” dall’atmosfera generale del film (ma anche dallo svolgersi dell’intreccio), risultano essere le scene oniriche, che se a ragione tentano di rappresentare la semplicità dei sogni che una mente semplice ed in un certo senso “infantile” è capace di elaborare, risultano a parer mio comunque troppo infantili anch’esse. Il regista ha avuto comunque il pregio in questo film di prendersi il tempo, di non accelerare, di farsi attendere in un certo senso e di far attendere lo spettatore, che si trova come sospeso a mezz’aria tra un passato ed un futuro dei protagonisti solo detto o immaginato, ed un presente rappresentato con ritmi lenti, quasi documentari. Una buona prova in ogni caso, che a tratti regala forti, forti emozioni. Giovanni Semeraro
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