Il miracolo

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Un film di Edoardo Winspeare. Con Claudio D'Agostino, Stefania Casciaro, Carlo Bruni, Anna Ferruzzo, Angelo Gamarro Drammatico, durata 92 min. - Italia 2003. - 01 Distribution uscita sabato 30 agosto 2003. MYMONETRO Il miracolo * * * - - valutazione media: 3,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Federica Lamberti Zanardi

Il Venerdì di Repubblica

In questa terra salentina dove i miracoli viene il sospetto che possano accadere davvero, Edoardo Winspeare un prodigio l’ha già fatto. Il suo Il Miracolo, piccolo film prodotto da Sidercar e RaiCinema, è arrivato a Venezia in concorso contro grandi star come Marco Bellocchio e Amos Gitai ed è tra gli appuntamenti più attesi dalla critica. Lui, Edoardo Winspeare, 38 anni, l’outsider, in realtà è al suo terzo lungometraggio: Pizzicata e Sangue vivo, premiati e amati in Francia. E, nonostante il nome, è un vero salentino. O, meglio, tale si sente anche se la sua famiglia è un minestrone. Suo padre ha origini inglesi, sua madre austriache. Si incontrarono a Parigi negli anni 60 e invece di vivere li scelsero Depressa, un paesino nella terra d’Otranto dove da 300 anni gli Winspeare sono proprietari terrieri. “Da bambino odiavo il mio cognome. Quando mi chiedevano: come ti chiami, e io rispondevo Winspeare, i bambini di Depressa mi guardavano con sospetto e dicevano: comuu?”, racconta Edoardo, in questa piazza bellissima di Stematia, piccolo paese alle porte di Lecce, dove tra i vicoli lastricati di pietra si parla ancora il grico. Qui sta lavorando alla serata d’inaugurazione della sezione cinema del festival Negroamaro, di cui è curatore. Il cinema di Winspeare è un tutt’uno con la sua terra e la sua passione perla pizzica, l’antico ballo legato all’esorcismo delle tarantolate. Nel 1996 ne ha fatto un film, Pizzicata, e quella che era ormai materia per antropologi ha ripreso vita ed è diventata una danza che si balla perle vie di tutti i paesini salentini nelle sere più calde d’estate. Tanto che il concertone della Notte della Taranta (a metà agosto a Melpignano) è un evento che attira giovani da tutto il mondo.
Pizzicata raccontava una storia di amore e dl morte, Sangue vivo una generazione distrutta da droga e contrabbando. E Il Miracolo?
“La capacità di riconoscere, attraverso gli occhi di un bimbo, la dolcezza e la bellezza dove nessuno la percepisce più. Il film è ambientato a Taranto, città meravigliosa sospesa fra due mari, ferita e straziata dall’Ilva”.
Il piccolo protagonista dopo un incidente va in corna è vede una luce meravigliosa. SI parla di miracolo, di Dio, di misteri. Con che sguardo? “La mia idea del miracolo, anche se sono credente, è un’idea laica. Questo bambino pensa di aver visto Dio, e si accorge di avere dei poteri: guarisce un uomo da un infarto e un anziano dal tumore. Poi, però, scoprirà che questi miracoli, in realtà, non ci sono stati. Ma alla fine farà qualcosa di incredibile. E non sarà del genere: alzati e cammina. È il miracolo che accade quando ami veramente”.
Miracolo uguale amore?
“Questo bambino ama delle persone che nessuno riesce ad amare. Riconosce nella ragazza di cui si innamora, che poi è quella che lo ha investito, una dolcezza che nessuno riesce a cogliere perché è ruvida, ferita, aspra”.
Ferita e aspra come Taranto?
“Sì, ho scelto apposta Taranto. È una città di elementi: acqua (il mare), fuoco (l’uva), terra. Una città disomogenea: Taranto vecchia, bellissima ma che cade a pezzi con la gente che non parla l’italiano, Taranto nuova abitata da gente che non conosce il dialetto”.
Adesso è normale fare film in dialetto. Ma con Pizzicata e Sangue vivo, è stato il primo a farlo. Perché?
“Perché il leccese è la lingua più bella del mondo. Se una donna ti parla d’amore in leccese è una melodia. E poi trovavo che far parlare ai protagonisti la loro lingua era anche una dichiarazione di intenti culturali. Il Miracolo però è tutto in italiano. Anche se non ho resistito alla tentazione di mettere un po’ di tarantino”.
La sceneggiatura non è firmata da lei ma solo da Giorgia Cecere e Pierpaolo Pirone. Come mai?
“Non ho voluto scrivere nulla ma ero sempre lì con loro. Abbiamo lavorato due anni per riuscire a fare un film semplice. La semplicità è cosa difficile da raggiungere. Ma la mia era una fissazione: volevo fare un film su questo argomento”.
Come mai?
“Perché credo che se tu vuoi percepire la bellezza della vita lo puoi fare. Ho girato il mondo e ho fatto molti documentari. .E mi sembra incredibile che in luoghi dove si vive molto male dal punto di vista materiale, si riesca a percepire molto più la bellezza e l’amore di quanto riusciamo a farlo noi oggi in Italia. Il nostro è un Paese decadente, cinico, depresso. Soprattutto dal punto di vista politico e sociale. Quello culturale va già meglio. In Puglia, poi, c’è un momento di grande vitalità, è un po’ come l’Italia negli anni Cinquanta: la comunità culturale si incontra, si parla, si diverte insieme. Come a Roma 30 anni fa: lì non accade più perché sono diventati ricchi, stanno sempre sui giornali. Forse anche io diventerò così dopo Venezia. Mi fidanzerò con Nicole Kidman e non parlerò con nessuno”.
Dicono che è un regista di sinistra.
“E ogni tanto mi chiedono se sono un regista cattolico. Ma io faccio i film e basta. Certo, mi interessa il sociale, sono più vicino ad una cultura di sinistra, ma ho conosciuto dei conservatori di grande valore. Come mio padre, ad esempio, che nel 1946 ha votato per la monarchia. Però lui mi ha insegnato il senso civico, la responsabilità che bisogna avere come cittadino, come persona più fortunata di altri”.
La sua è una famiglia ricca: suo padre la ha aiutata a fare i film?
“No, mai, anche perché lui non voleva che facessi cinema. Mi avrebbe voluto laureato in Agraria. Io, invece, sono andato a Monaco a fare la scuola di cinema. Per fare Pizzicata ho chiesto soldi in prestito alle banche, a mio fratello, agli amici”.
Perché nei suoi film non usa quasi mai attori professionisti?
“Per un fatto pratico. lo sto con gli attori per due mesi prima di cominciare a girare, vado a mangiare con loro, chiacchieriamo, ci conosciamo. Gli attori “veri” arrivano una settimana prima, devi parlare con i loro agenti. Troppo complicato. Se lavori con me devi stare con me. Ad esempio, per Il Miracolo bisognava far amicizia con il piccolo Claudio D’Agostino”.
È vero che ha dovuto cambiare numero di cellulare perché le comparse rifiutate la minacciavano?
“Ma si. I tarantini sono molto sanguigni. Il fatto è che gli altri registi pugliesi vivono a Roma, io sto a Depressa. Molti “cristiani” vengono da me e mi dicono: e ffamme cu fazzu lu film... Io cerco di accontentarli. Mi piace anche aiutare gli altri neì loro progetti. Per me il cinema è come fare l’amore: una cosa bella che vuoi fare sempre. Per questo ho creato una casa di produzione, la Saietta e rompo le scatole a tutti per fare corti, documentati. Nel Salento sta accadendo qualcosa di incredibile, è un fiorire di nuovi artisti: Zoé, Sud sound system, i Koreja per il teatro, Gianluca Archopinto...”.
“No, ma gli ho concesso la nazionalità”.
Da Il Venerdì di Repubblica, 22 Settembre 2003
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di Federica Lamberti Zanardi, 22 Settembre 2003
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