stefano capasso
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lunedì 9 giugno 2014
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sui rapporti umani
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Dogville è una cittadina degli Stati Uniti, isolata, la strada che ci arriva si interrompe lì. Una piccola comunità ci vive nelle sue abitudini consolidate e immutabili. L'arrivo improvviso di Grace, che cerca di sfuggire ai gangster innesca una serie di processi relazionali tra gli abitanti. Grace è una giovane e bella donna che ha bisogno di aiuto e da questo gli abitanti di Dogville partono nel costruire la relazione con lei. Solidarietà e fiducia. Che nel tempo cominciano a trasformarsi; la natura degli individui fuori dal contesto gruppale riprende il sopravvento e di lì poco a poco anche il sentimento gruppale della comunità si ridisegna sui nuovi sentimenti individuali.
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Dogville è una cittadina degli Stati Uniti, isolata, la strada che ci arriva si interrompe lì. Una piccola comunità ci vive nelle sue abitudini consolidate e immutabili. L'arrivo improvviso di Grace, che cerca di sfuggire ai gangster innesca una serie di processi relazionali tra gli abitanti. Grace è una giovane e bella donna che ha bisogno di aiuto e da questo gli abitanti di Dogville partono nel costruire la relazione con lei. Solidarietà e fiducia. Che nel tempo cominciano a trasformarsi; la natura degli individui fuori dal contesto gruppale riprende il sopravvento e di lì poco a poco anche il sentimento gruppale della comunità si ridisegna sui nuovi sentimenti individuali. Cosi Grace poco a poco, da oggetto da salvare diventa, oggetto di persecuzione infine oggetto indesiderato. Dal canto suo, Grace che si è trovata in quella situazione perché voleva sciogliersi dal laccio familiare di stampo malavitoso, - il papa era il gangster che la inseguiva -, inizialmente è disposta a tutto, vuole guadagnare l’amore e l’attenzione di tutti, è disposta a perdonare e a comprendere anche le umiliazioni inflittele in nome di una sorta di espiazione che compie per distinguersi dal padre. E alla fine, quando ormai abbandonata anche dal suo innamorato, il padre torna a prenderla, accetterà le sue origini, si riappacificherà col padre e troverà modo di prendersi la sua terribile rivincita con gli abitanti di Dogville. Abbandona gli abiti virtuosi per indossare quelli più scomodi e per lei più soddisfacenti di figlia di un gangster, accettando in sostanza ciò che è.
Lars von Trier chiude la scena filmica in un unico spazio, delimitato nei suoi contorni solo dal cambiare della luce di sfondo, buio e luce ad indicare il trascorrere del giorno. Il teatro nel cinema, in una ambientazione che ben rappresenta l'isolamento esistenziale delle comunità degli individui che nelle loro relazioni sono comunque prevedibili e leggibili, come indica la scenografia che limita i vari spazi del paese, le case e i negozi, solo da segni per terra. E questa comunità dapprima cerca di accogliere e farsi amico l’estraneo, per poi espellerlo senza pieta una volta consumata la relazione e stabilita l'incompatibilità con la loro vita.
Poca scenografia e tanta indagine sui rapporti umani, nel tipico stile dei grandi drammaturgi scandinavi; rapporti difficili, contradditori, penosi, a volte dolorosi che tutti, tra adattamenti funzionali di comodo e a volte necessari viviamo giorno per giorno nelle nostre vite.
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criticoso
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giovedì 15 febbraio 2018
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ma non è un film!
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Dogville è materialmente una pellicola, ma non è cinema. No, non è cinema perché non c'è paesaggio, non c'è scenografia.
Forse è teatro? No, non è teatro, perché non c'è palcoscenico.
Forse è letteratura? No, non è letteratura, anche se la voce narrante conta almeno quanto la recitazione.
Invece è tutto insieme: cinema, teatro, letteratura. Un condensato di racconto, emozioni, suggestioni che danno da pensare. E come avviene sempre quando un racconto, che sia per immagini o per parole, induce a pensare, quel racconto crea problemi ma non dà soluzioni, però costringe ognuno a esaminarsi dentro e a cercare nel groviglio dei dubbi una propria morale e a concludere che è impossibile trovare una regola morale.
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Dogville è materialmente una pellicola, ma non è cinema. No, non è cinema perché non c'è paesaggio, non c'è scenografia.
Forse è teatro? No, non è teatro, perché non c'è palcoscenico.
Forse è letteratura? No, non è letteratura, anche se la voce narrante conta almeno quanto la recitazione.
Invece è tutto insieme: cinema, teatro, letteratura. Un condensato di racconto, emozioni, suggestioni che danno da pensare. E come avviene sempre quando un racconto, che sia per immagini o per parole, induce a pensare, quel racconto crea problemi ma non dà soluzioni, però costringe ognuno a esaminarsi dentro e a cercare nel groviglio dei dubbi una propria morale e a concludere che è impossibile trovare una regola morale.
Dogville è uno specchio della natura umana che è molto animalesca anche se finge, o si illude, di non esserlo.
Film catastrofico, ma bello, anzi stupendo.
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marta009
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giovedì 2 luglio 2009
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parole che andrebbero lette parte 4
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A Dogville Grace s'imbatte in Tom, un giovane con velleità di scrittore che, attratto dalla bellezza della ragazza e dall'aura di mistero che si porta dappresso, decide di aiutarla. L'indomani convoca i suoi concittadini, espone il caso ricordando loro che è dovere di ogni cristiano portare aiuto a chi versi nelle angustie, e ottiene due settimane di tempo perché Grece dimostri di essersi meritata la fiducia dei suoi protettori. A questo punto von Trier ha già enucleato gli elementi che scateneranno la tragedia: il Dio cristiano trasformato in idolo infero, il fariseismo rancoroso, l'ossessione di fare opere di bene per meritarsi la benevolenza divina e, ciò che più importa, la religione degradata a morale.
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A Dogville Grace s'imbatte in Tom, un giovane con velleità di scrittore che, attratto dalla bellezza della ragazza e dall'aura di mistero che si porta dappresso, decide di aiutarla. L'indomani convoca i suoi concittadini, espone il caso ricordando loro che è dovere di ogni cristiano portare aiuto a chi versi nelle angustie, e ottiene due settimane di tempo perché Grece dimostri di essersi meritata la fiducia dei suoi protettori. A questo punto von Trier ha già enucleato gli elementi che scateneranno la tragedia: il Dio cristiano trasformato in idolo infero, il fariseismo rancoroso, l'ossessione di fare opere di bene per meritarsi la benevolenza divina e, ciò che più importa, la religione degradata a morale. «Bisogna incontrare l'amore prima della morale, altrimenti è lo strazio», scriveva Camus.
E difatti lo strazio non tarda a consumarsi. Grace non si sottrae ai lavori più pesanti pur di compiacere gli abitanti di Dogville e pur di riscattare i loro peccati (è troppo azzardato leggere le sette statuine acquistate da Grace con i risparmi quale metafora dei sette vizi capitali?). Come il Servo del Signore, «non apre la bocca, non grida né alza il tono» anche quando la maltrattano, la umiliano e abusano di lei; si fa tutto a tutti: come il Cristo ella si ritira, si svuota, si abbassa, assimilandosi alla sua kenosis.
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maxcruise
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domenica 11 maggio 2014
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dogville: la visione 'spietata' di von trier
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Siamo negli anni 30: Grace, una ragazza in fuga da alcuni gangsters della malavita, trova rifugio in una piccola cittadina del Colorado isolata fra le montagne ; in cambio di asilo accetta di lavorare per gli abitanti di Dogville, ma imparera’ presto che ogni forma di aiuto ha un prezzo: una volta appreso che la ragazza é ricercata tutti i cittadini iniziano ad avanzare pretese su di lei, ma Grace nasconde un segreto che alla fine li farà pentire amaramente delle loro azioni meschine…
Commento:
Singolare é il primo aggettivo che viene in mente per descrivere quest’opera: il regista danese Von Trier porta alla luce una fusione fra cinema, teatro e dramma, ambientato per tutta la sua durata su un grande palcoscenico nero (rassomigliante a una grande lavagna) e che si sviluppa come una parabola “amara” sull’uomo e il contesto sociale, sorretta da un’ottima sceneggiatura e divisa in 9 capitoli e un prologo.
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Siamo negli anni 30: Grace, una ragazza in fuga da alcuni gangsters della malavita, trova rifugio in una piccola cittadina del Colorado isolata fra le montagne ; in cambio di asilo accetta di lavorare per gli abitanti di Dogville, ma imparera’ presto che ogni forma di aiuto ha un prezzo: una volta appreso che la ragazza é ricercata tutti i cittadini iniziano ad avanzare pretese su di lei, ma Grace nasconde un segreto che alla fine li farà pentire amaramente delle loro azioni meschine…
Commento:
Singolare é il primo aggettivo che viene in mente per descrivere quest’opera: il regista danese Von Trier porta alla luce una fusione fra cinema, teatro e dramma, ambientato per tutta la sua durata su un grande palcoscenico nero (rassomigliante a una grande lavagna) e che si sviluppa come una parabola “amara” sull’uomo e il contesto sociale, sorretta da un’ottima sceneggiatura e divisa in 9 capitoli e un prologo.
L’atmosfera in alcuni punti sembra quasi surreale data la causticità del regista nel rappresentare questa comunità deviata e stravagante, caratteristica che risalta però l’introspezione che celano i vari personaggi nel corso degli eventi.
Meravigliosa e molto espressiva l’interpretazione della Kidman (Grace), che sembra perdonare e assecondare le orribili angherie e i terribili soprusi della miserabile cittadina, appoggiandosi soprattutto alla figura di Tom (interpretato da Paul Bettany), lo scrittore e portavoce di Dogville che prova per lei uno strano affetto, che si rivelerà poi deviato.
Siamo di fronte a una scenografia molto povera e ridotta all’essenziale: non esistono case e mura, ma solo confini, alberi e strade delineate col gesso come su una lavagna; inoltre la minima presenza degli oggetti di scena sembra quasi deliberatamente voluta con l’intenzione di delineare ed evidenziare al massimo gli atteggiamenti, le espressioni e i ruoli dei membri della piccola comunità fino a rivelarne, come si vedrà, l’essenza più personale e intima di ognuno di questi.
Nel film notiamo come anche la flora e la fauna sono state omesse: le siepi, gli arbusti, e perfino il cane Mosé (di cui sentiamo solo l’abbaiare alla comparsa della protagonista) non sono presenti sulla scena bensì rimpiazzati dalle rudimentali, e in un certo senso crudeli, linee di gesso. Per quanto riguarda le luci il bianco e il nero si alternano come due opposti (il giorno e la notte), come se volessero rappresentare anche i due lati opposti (quello buono e quello oscuro) dell’animo umano.
L’uso della telecamera a mano é visibile e presente in diverse scene, specialmente quelle riguardanti i dialoghi fra gli attori: una scelta ‘innovativa’ per il periodo del film, che favorisce il coinvolgimento dello spettatore meno avvezzo e abituato a rappresentazioni teatrali, come se si trovasse anche lui stesso nella scena.
Un difetto se vogliamo potremo trovarlo sulla ‘onnipresenza’ della voce narrante, a volte ridondante e leggermente fuori luogo in alcuni punti della trama risultando quasi marginale alla storia, mentre sarebbe meglio che le immagini “parlino” da sole allo spettatore più attento e vontrierano
Colonna sonora un pò lenta ma che si adatta perfettamente al dramma sviluppato.
Lo scioccante finale inverte le posizioni di vittima e carnefice, riportando il giusto equilibrio che sembrava essersi perso fra le due parti.
Note e conclusioni:
Per la distribuzione nel nostro paese il film fu scandalosamente tagliato di ben 45 minuti rispetto all’edizione americana che consta di quasi tre ore.
In una intervista postuma alle riprese l’attrice Nicole Kidman ha dichiarato di essere rimasta un po’ turbata dal trattamento e all’isolamento imposto da Von Trier, rivelando che non avrebbe nuovamente recitato in un suo film.
Quando andai a vederlo al cinema ricordo ancora come alcuni spettatori (quelli più ignoranti e conformisti) abbandonarono la sala dopo 15 minuti dalla visione della pellicola solo perché la spoglia scenografia li aveva lasciati insoddisfatti e annoiati.
Un film atipico quindi: uno degli esperimenti più rischiosi ma anche più riusciti di Von Trier che, a distanza di anni (2003), rimane un’analisi cruda e pessimistica dei comportamenti di cui l’uomo é spesso ignaro artefice, e che a malincuore ritroviamo anche nelle “piccole realtà” dei giorni nostri.
Massimiliano R
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snoyze
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domenica 7 settembre 2014
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il solito e grande vontrier.
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Il film è consigliabile a chi ama i banalmente denominati "film lenti". è un film di Von Trier (chi conosce il regista sa cosa aspettarsi da Dogville), ciò significa che sarà per tutte le sue due ore di durata un film molto impegnativo e intriso sempre di messaggi, nascosti e non, sulle facoltà che l'uomo ha o può arrivare ad avere. Non ci sarà mai una risata o un momento di calma e tranquillità durante il film, poichè ci sarà sempre qualcosa da dover capire o scoprire nella scena seguente. Tutto è inaspettato, tutto è da collegare attentamente a ogni signolo avvenimento della storia.
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Il film è consigliabile a chi ama i banalmente denominati "film lenti". è un film di Von Trier (chi conosce il regista sa cosa aspettarsi da Dogville), ciò significa che sarà per tutte le sue due ore di durata un film molto impegnativo e intriso sempre di messaggi, nascosti e non, sulle facoltà che l'uomo ha o può arrivare ad avere. Non ci sarà mai una risata o un momento di calma e tranquillità durante il film, poichè ci sarà sempre qualcosa da dover capire o scoprire nella scena seguente. Tutto è inaspettato, tutto è da collegare attentamente a ogni signolo avvenimento della storia. A tutto questo ritengo di dover dare un grande spazio alla critica del film all'attrice principale, Nicole Kidman (la quale dopo aver recitato in Dogville e guidata quindi da Von Trier ha giurato di non prender mai più parte a uno dei suoi film perchè lo riteneva un "pazzo" che avesse la forza di cambiare la sua stessa esistenza). Kidman riesce a dare sfogo a tutte le emozioni che il film vuole trasmettere nel modo più appropriato, a mio parere la sua recitazione rende i sentimenti degli altri personaggi (anch' essi perfetti nella recitazione) più veri e ben visibili.
Un film da guardare con gli occhi spalancati e con l'animo aperto ad ogni tipo di sensazione o emozione che l'essere umano può far scaturire, in se stesso o negli altri suoi simili.
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omanoc_load
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venerdì 19 giugno 2015
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l'arroganza del perdono
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Dogville non deve lasciare inquieti per le dichiarazioni della stessa Kidman che ha ribadito la sua contrarietà a ritornare a lavorare con un regista più che inquieto come Lars Von trier. Dogville non deve essere sminuito per quell'unico spazio scenico che ritorna e ritorna a scandire le stagioni. Dogville deve rendersi necessario quanto indispensabile per chi rischia ancora di definirsi umano. Dogville è la labile demarcazione tra la necessità freudiana di leggi che tengano conto delle spinte pulsionali e della naturale bestialità umana.
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Dogville non deve lasciare inquieti per le dichiarazioni della stessa Kidman che ha ribadito la sua contrarietà a ritornare a lavorare con un regista più che inquieto come Lars Von trier. Dogville non deve essere sminuito per quell'unico spazio scenico che ritorna e ritorna a scandire le stagioni. Dogville deve rendersi necessario quanto indispensabile per chi rischia ancora di definirsi umano. Dogville è la labile demarcazione tra la necessità freudiana di leggi che tengano conto delle spinte pulsionali e della naturale bestialità umana.Dogville è quel paese che ha bisogno di emozioni trasparenti e parole chiare, come le uniche che Tom ha scritto del suo romanzo " grande" e "piccolo", e che descrivano perfettamente quanto moralmente sia valida una cosa, una persona, un pensiero, un atto. Dogville, paesino sperduto e talmente nascosto da non avere nulla che somigli alla democrazia, in mancanza di leggi si fonda su quelle del "senso comune", del volersi bene ed esserci per ognuno dei suoi pochi cittadini.
Citazione del film:
"Non è un crimine dubitare di se stessi ma è meraviglioso che tu non lo faccia"
Il legame che tutti riescono a sancire con la fuggiasca Grace è dunque inizialmente e apparentemente costruttivo, ma fondato sul bisogno istintivo di farle male e di negarle quello che essi non avevano mai potuto credere o concepire. Iniziano quindi a privarla, poco alla volta, della capacità di criticarsi e di giudicare, per quello che sono razionalmente, le ripetute mostruosità che tutti gli uomini, uno per uno, compiono sul suo corpo per zittire ingombranti insoddisfazioni, i soprusi inflitti dalle donne di questi "mariti" che si difendono etichettandola "provocatrice", da quelli dei figli ricattatori di queste, da quelli che si nascondono dietro la stupidità e il potere generato dalla malattia (cecità, ipocondria, handicap) e dietro il rispetto di quei precetti morali che possono essere ossequiosamente seguiti solo privandosi di ogni tentazione, solo attraverso l'equilibrio della falsità e del monarchico berbenismo, solo coprendosi a vicenda e poi pentirsi di non aver usufruito dei servigi di Grace...o semplicemente allontanando Grace stessa : la germinatrice di quei turbamenti che quell'ossquioso moralismo non potrà risolvere con la chiarezza del "grande" o "piccolo"; colei che da Tom, l'uomo che malgrado l'amasse fosse paradossalmente l'unico a non conoscerne il corpo, si sente dire se potrebbe rinunciare almeno ad un principo per lenire il dolore generatogli da tale privazione.
Alla fine Grace si riprende quanto le è proprio ...ma soprattutto la responsabilita d'essersi permessa l'arroganza di perdonare chi non ha consapevolezza del male che compie.
Concludo con questa citazione rivolta direttamente a Grace:
"Devi essere clemente quando è il momento di essere clemente...devi questo alla gente. [...] Ogni essere umano deve rendere conto delle proprie azioni? Certamente....ma tu non gliene dai neanche la possibilità...e questo è estremamente arrogante[...] sei l'essere umano più arrogante che personalmente abbia conosciuto".
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marta009
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giovedì 2 luglio 2009
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parole che andrebbero lette parte 5
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Nel film il conflitto insanabile tra la Legge che uccide e lo Spirito che dà vita trova la sua formulazione più compiuta nel colloquio notturno tra Tom e Grace (che è quasi la grottesca parodia di quello tra Nicodemo e Gesù). Grace è ormai ridotta in schiavitù, relegata in una casetta ai margini della cittadina, sottratta agli sguardi perché pietra d'inciampo. Venendo meno ai patti, Tom decide di possederla. «Sei stata con tutti - le dice - manco solo io». «Ma tu non sei come tutti gli altri - gli ribatte Grace - Avevamo pensato a una cosa diversa per il nostro amore, di farlo quando saremmo stati liberi». La verità esplode davanti a Tom. Si guarda allo specchio e vi scorge solo menzogna. Lui che aveva fatto della sua attività intellettuale un motivo d'orgoglio, si accorge, come si dice in un famoso film di Bergman, di essere «un poeta senza poesia, un musicista senza musica».
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Nel film il conflitto insanabile tra la Legge che uccide e lo Spirito che dà vita trova la sua formulazione più compiuta nel colloquio notturno tra Tom e Grace (che è quasi la grottesca parodia di quello tra Nicodemo e Gesù). Grace è ormai ridotta in schiavitù, relegata in una casetta ai margini della cittadina, sottratta agli sguardi perché pietra d'inciampo. Venendo meno ai patti, Tom decide di possederla. «Sei stata con tutti - le dice - manco solo io». «Ma tu non sei come tutti gli altri - gli ribatte Grace - Avevamo pensato a una cosa diversa per il nostro amore, di farlo quando saremmo stati liberi». La verità esplode davanti a Tom. Si guarda allo specchio e vi scorge solo menzogna. Lui che aveva fatto della sua attività intellettuale un motivo d'orgoglio, si accorge, come si dice in un famoso film di Bergman, di essere «un poeta senza poesia, un musicista senza musica». Tom rimane schiacciato dall’idea che Grace ha dell’amore tra l’uomo e la donna, un amore inteso come elezione, promessa di felicità, fiducia, passione forte come la morte, unione di corpi e di anime (non a caso eros e psiche sono le due parole greche che Grace scrive sulla lavagna a casa di Chuk, il primo che approfitterà di lei, e che saranno cancellate con un colpo di spugna dalla moglie accecata dall’invidia). Inteso in questo senso, l’amore che Grace offre a Tom rimane abbagliante anche se il suo corpo viene ripetutamente profanato. Fin qui, però, la storia di Grace non si discosta troppo da quella di Bess e di Selma, le protagoniste dei precedenti film di von Trier Le onde del destino e Dancer in the dark. Anche'esse sono donne che si perdono per amore, anche se in realtà il perdersi è salvarsi perché, come si legge in una delle pagine più potenti dell'evangelo di Luca, pecca molto solo chi molto ha amato. Tuttavia sono sufficienti gli ultimi dieci minuti del film per mandare tutto a carte quarantotto. Von Trier si ferma alla prima tavola del tradizionale trittico passione-morte-resurrezione, e offre allo spettatore un finale che definire sconvolgente è poco.
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jacopo b98
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giovedì 19 novembre 2015
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un von trier durissimo e apocalittico!
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Negli anni ’30 la giovane e bella Grace (Kidman) arriva, braccata da un gangster senza nome, a Dogville, una piccola cittadina sulle montagne rocciose. Tom (Bettany), l’idealista del villaggio, farà di tutto per farla accettare, ma Dogville mostrerà tutta la propria crudeltà e la propria repressione verso la nuova venuta. Ma, dopo aver subito violenze e angherie di ogni sorta, Grace fatalmente troverà la forza di “fare un po’ di bene per il mondo” cancellando la città e i suoi abitanti dalla faccia della Terra, in un apocalittico impeto di giustizia divina. Von Trier, anche sceneggiatore, finalmente si decide ad abbandonare il Dogma e dopo i tanti abomini prodotti (sì, abomini, e mi riferisco a Le onde del destino, Idioti e compagnia cantante) torna ad un cinema più “classico” (se così si può dire) potendo finalmente sfruttare tutta la potenza del suo cinema.
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Negli anni ’30 la giovane e bella Grace (Kidman) arriva, braccata da un gangster senza nome, a Dogville, una piccola cittadina sulle montagne rocciose. Tom (Bettany), l’idealista del villaggio, farà di tutto per farla accettare, ma Dogville mostrerà tutta la propria crudeltà e la propria repressione verso la nuova venuta. Ma, dopo aver subito violenze e angherie di ogni sorta, Grace fatalmente troverà la forza di “fare un po’ di bene per il mondo” cancellando la città e i suoi abitanti dalla faccia della Terra, in un apocalittico impeto di giustizia divina. Von Trier, anche sceneggiatore, finalmente si decide ad abbandonare il Dogma e dopo i tanti abomini prodotti (sì, abomini, e mi riferisco a Le onde del destino, Idioti e compagnia cantante) torna ad un cinema più “classico” (se così si può dire) potendo finalmente sfruttare tutta la potenza del suo cinema. Ambienta il film in un teatro di posa, dove crea la sua Dogville con un gesso (le case, le strade, i cespugli, gli animali sono disegnati per terra) e pochi oggetti scenici: un camion, le porte di alcune case, il campanile… Tutto qua: il resto sta agli attori. Sacrificando dunque tutto in nome della gestualità e dell’interpretazione attoriale, che in un contesto come questo assume importanza e valore davvero straordinario, e di una possente metafora evidente sin dall’inizio: a Dogville (e in America) tutti sanno e vedono tutto, ma fingono di non vedere. È questo il peccato originale di Dogville, la radice del male che abita nella cittadina. Grace, interpretata da una Kidman in stato di grazia, giunge nella cittadina come redentrice dei peccati, come capro espiatorio per l’emergere di una violenza da troppo tempo repressa. Una violenza che emerge ad un unico scopo: essere punita. Perché Von Trier qui non lascia scampo: il peccato, la colpa, tutto va punito. E subito. Non è più tempo delle campane (consolatorie) nel cielo delle Onde del destino. E Grace, in un incontro finale con il padre-Dio (Caan), decide la punizione: l’estirpazione totale, l’omicidio. La violenza come mezzo per raggiungere il bene dunque. O meglio, tornando un po’ indietro, la violenza come mezzo per far emergere il peccato da punirsi con altra violenza, in nome di una rappacificazione finale, a Dogville distrutta. Non è un film immorale, un inno alla violenza: no, è al contrario una riflessione profondamente morale sul male, che va estirpato, a qualsiasi costo. Solo così in un mondo malvagio potrà emergere uno spiraglio di bene. Fotografia eccellente di Anthony Dod Mantle, alla prima collaborazione con il regista. Con i due seguiti (uno realizzato, Manderlay, e uno solo pensato, Wasington) avrebbe dovuto comporre la trilogia USA – Terra delle opportunità.
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lorenzodv
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sabato 1 febbraio 2020
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bella storia, si potrebbe farne un film
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L'idea di base è davvero valida: una ragazza scappa ed approda in un paese che accetta di nasconderla ma la costringe in cambio ad accettare profondi maltrattamenti, si apprende poi che è figlia di un boss della malavita dal quale si era allontanata perché la propria etica le impone un enorme riguardo per gli altri. Il padre le evidenzia che questa sua etica è arrogante perché con essa si pone su un livello diverso dal prossimo, l'esperienza dei maltrattamenti subiti ed il confronto con gli aguzzini le mostra la realtà delle ragioni del padre.
Un messaggio molto arguto con una storia in grado di veicolarlo, varrebbe la pena di farne un film.
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L'idea di base è davvero valida: una ragazza scappa ed approda in un paese che accetta di nasconderla ma la costringe in cambio ad accettare profondi maltrattamenti, si apprende poi che è figlia di un boss della malavita dal quale si era allontanata perché la propria etica le impone un enorme riguardo per gli altri. Il padre le evidenzia che questa sua etica è arrogante perché con essa si pone su un livello diverso dal prossimo, l'esperienza dei maltrattamenti subiti ed il confronto con gli aguzzini le mostra la realtà delle ragioni del padre.
Un messaggio molto arguto con una storia in grado di veicolarlo, varrebbe la pena di farne un film. Nell'attesa si può vedere questo video amatoriale girato su una scenografia che somiglia ad un videogioco (è comunque un capannone spoglio e niente di più), girato da un tipo che si fa chiamare "Von" perché anche altri lo hanno fatto per darsi un tono (parole sue) ma che non narra come fanno gli altri perché darsi un tono significa anche essere originali, evidentemente a costo di andare contro le regole della fisica o del buon gusto. Assistiamo quindi ad una proiezione di tre ore che però non bastano all'autore per rappresentare tutto ciò che va narrato e la maggior parte degli avvenimenti è raccontato dalla voce fuori campo, staccata sporadicamente dalle immagini anziché il contrario.
Nicole Kidman è brava ed è probabilmente a lei che si riferisce la critica quando dice che Lars Trier ha lasciato spazio agli attori; lei è l'unica che recita e probabilmente Trier s'è illuso che bastasse, come a qualcuno il pretesto della trasgressione basta a coprire l'incapacità di rappresentare.
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marta009
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giovedì 2 luglio 2009
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parole che andrebbero lette parte 7
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Nel vangelo di Luca c’è un passo significativo che la scena finale del film di Lars von Trier richiama alla memoria. Gesù, in cammino alla volta di Gerusalemme, manda avanti dei messaggeri perché entrino in un villaggio di Samaritani e gli facciano i preparativi: «Ma essi non lo ricevettero […]. Quando Giacomo e Giovanni ebbero visto ciò, dissero: Signore, vuoi che diciamo al fuoco di scendere dal cielo e di annientarli? Ma egli si voltò e li rimproverò». In quel «li rimproverò» c’è tutto Gesù: la sua avversione per le logiche che dominano questo mondo, il disprezzo per lo scettro e la spada, il rifiuto di servirsi del potere. In quel «li rimproverò», insomma, Gesù rinnova il suo ‘no’ alla triplice tentazione del deserto (e per converso il suo Sì a Dio: lui infatti, come dice Paolo, è l’Amen, il Sì appunto, di Dio).
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Nel vangelo di Luca c’è un passo significativo che la scena finale del film di Lars von Trier richiama alla memoria. Gesù, in cammino alla volta di Gerusalemme, manda avanti dei messaggeri perché entrino in un villaggio di Samaritani e gli facciano i preparativi: «Ma essi non lo ricevettero […]. Quando Giacomo e Giovanni ebbero visto ciò, dissero: Signore, vuoi che diciamo al fuoco di scendere dal cielo e di annientarli? Ma egli si voltò e li rimproverò». In quel «li rimproverò» c’è tutto Gesù: la sua avversione per le logiche che dominano questo mondo, il disprezzo per lo scettro e la spada, il rifiuto di servirsi del potere. In quel «li rimproverò», insomma, Gesù rinnova il suo ‘no’ alla triplice tentazione del deserto (e per converso il suo Sì a Dio: lui infatti, come dice Paolo, è l’Amen, il Sì appunto, di Dio). Grace, decidendo di dare alle fiamme Dogville, si trasforma da figura Christi in figura anti-Christi: ella sceglie di ragionare secondo gli uomini e non secondo Dio. Gli ultimi dieci minuti, dunque, colpiscono lo spettatore come un pugno allo stomaco. Parlando di Macbeth, forse uno dei più grandi geni del male della letteratura di tutti i tempi, André Bazin diceva che dentro di lui v’era come la chance di una grazia e di una salvezza. Questo giudizio d’appello è negato ai cani di Dogville. E nemmeno si può balbettare la struggente preghiera di Baudelaire - «Signore, abbiate pietà dei mostri. Uomini e donne. Possono esserci mostri agli occhi dell’Unico che sa perché esistono, come lo sono diventati, come avrebbero potuto non diventarlo» - perché in Dogville Dio è addirittura più mostruoso dei mostri che egli stesso ha creato.
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