La signora ammazzatutti

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Un film di John Waters (III). Con Sam Waterston, Kathleen Turner, Matthew Lillard, Ricki Lake Titolo originale Serial Mom. Commedia, durata 100 min. - USA 1994. - Penta Distribuzione uscita venerdì 25 novembre 1994. MYMONETRO La signora ammazzatutti * * 1/2 - - valutazione media: 2,65 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Un celebre studio sociologico di Banfleld dedicato al meridione italiano applicava la parola familismo a quel tipo di cultura che vede nella famiglia l’unico e più importante nucleo della società. E sarà perché di killer, più o meno professionali o seriali, ne abbiamo visti recentemente anche troppi, da Natural Born Kiliers a Tarantino, fatto sta che la mamma omicidi di La signora ammazzatutti mi sembra appartenga legittimamente alla famiglia dei familisti alla Banfield più che a quella dei “natural born killers”. Certo, se contano le motivazioni. Che nel caso della storia (vera, ci garantiscono) della affettuosa mamma incarnata da Kathleen Turner sono quelle dell’amore materno, della protezione dei suoi piccini, della tutela del suo nucleo. Tanto che l’aggettivo “seria!” del titolo originale Serial Mom, in quest’atmosfera da tinello, rimanda soprattutto ai cereals (pronunciati allo stesso modo), ai cereali che l’affettuosa genitrice serve alla sua famigliola modello, nella sua cucina da “House and Gardens”, nel tranquillo suburb della tranquilla Baltimora.
Chi si aspettasse da John Waters, considerato sinora il re del “cinema del cattivo gusto”, un film autenticamente sopra le righe resterebbe deluso. Waters questa volta, soprattutto rispetto ai suoi concorrenti, sembra quasi darsi a un esercizio grottesco di bon ton, e i suoi orrori e la sua violenza risultano paradossalmente bonari. E Kathleen Turner sembra una Doris Day aggiornata agli anni novanta: una perfetta clintoniana “politically correct”, che ricicla la spazzatura, odia il chewing-gum, adora occuparsi della natura e degli uccellini, ascolta saggiamente i problemi dei suoi ragazzi, usa sempre le cinture di sicurezza, amoreggia caldamente con il marito dentista. Se non fosse che si diverte a mandare lettere anonime piene di oscenità e fa telefonate a base di parolacce alle sue vicine. E se non fosse che, in una perversa interpretazione dell’amor materno e del familismo, si diletta a far fuori - travolgendoli con la macchina, perforandoli con un attizzatoio, sbuzzandoli con le forbici, schiacciandoli con un condizionatore d’aria, percuotendoli con un cosciotto d’agnello (surgelato) - tutti coloro che rappresentano ai suoi occhi affettuosi un ostacolo alla felicità della sua famigliola: da un professore insoddisfatto a un filarino della figlia che l’ha piantata.
La satira di La signora ammazzatutti è però così scoperta da risultare più ridanciana che grintosa, più leggera che provocatoria, anche se Waters vuole miscelare estetica della volgarità e cultura pop (nello studio del dentista pende un molare in stile Lichtenstein), satira sociale e cinefilia (i caratteri per le lettere anonime sono ritagliati da “Première”), cattiveria e sequenze comiche non propriamente di gusto sopraffino.
Non tutti saranno a proprio agio di fronte alla visione di un fegato umano agganciato a un attizzatoio o a quella di un cane che lappa un cosciotto d’agnello grondante del sangue della sua padrona (ma David Lynch ha fatto di peggio e perfino in Il re leone le iene si pappano brandelli di cosciotti di zebra). Eppure Waters, nell’affrontare la violenza come un gioco, lo svuota di ogni potenziale. E più che denunciare, come farebbero pensare le continue citazioni di cinema horror, il pericolo dell’indifferenza e della confusione tra realtà e fantasia (“il sangue è mano-ne, non rosso come nei film”, si stupisce una ragazza di fronte all’ennesima vittima della “serial mom”), si diverte a spese dell’ipocrisia perbenista della middle class americana, pronta a trasformare immediatamente un’assassina in un personaggio tv e a stamparne la faccia sulle t-shirt.
Ne dà una prova il film stesso: l’ultima vittima di Kathleen Turner, assolta dopo un processo farsa, è una signora della giuria che vien fatta fuori in nome del bon ton, perché colpevole di portare scarpe bianche in settembre. L’interpreta Patricia Hearst. Ricordate? L’ereditiera col mitra dell’esercito simbionese.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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