Stefano Reggiani
Il mondo è sempre più degli impiegati, ma non se ne parla molto, perché sembra che non ci sia nulla da dire e da aggiungere, dopo i vecchi sberleffi di Courteline e i più recenti sarcasmi di Villaggio, dopo le poetiche apprensioni di Olmi (Il posto, 1961). Resta l'idea di una zona opaca e tuttavia fortissima, non più ridicola del resto della società, ma più stabile, capace di rispecchiare i vizi comuni e di frenarne gli eccessi.
Pupi Avati, entrando negli uffici di una grande banca, tra gli impiegati a tavolino e non, tra i sacrificati allo sportello, non ha voluto propriamente darci un referto sociologico né un pamphlet di critica maliziosa, ma un rapido, suggestivo ritratto esistenziale, un possibile codice della vita che ordina intorno al lavoro d'ufficio i sentimenti e i desideri. [...]
di Stefano Reggiani, articolo completo (3133 caratteri spazi inclusi) su 4 aprile 1985