Piccolo, strano e delicato capolavoro del cinema francese, assolutamente da rivalutare con occhi scevri da paraocchi intellettuali.
Georges Franju, grandissimo regista, con la sua Arte quieta e minimale, riesce a trasmetterci il vero, vibrante misticismo del sentimento amoroso, facendo passare un fondamentale messaggio che in pochi hanno colto: la delittuosità ed insensatezza dell'obbligo di castità clericale, contrapposta al vibrare sacro di due cuori che si amano, e che proprio tramite il loro amore terreno possono congiungersi al Divino.
Il finale, in tal senso, è piuttosto esplicito: Serge Mouret, il giovane parroco "peccatore", dopo la perdita della sua amata la immagina incarnarsi nella statua della Beata Vergine, e sogna di baciarla ancora.
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Piccolo, strano e delicato capolavoro del cinema francese, assolutamente da rivalutare con occhi scevri da paraocchi intellettuali.
Georges Franju, grandissimo regista, con la sua Arte quieta e minimale, riesce a trasmetterci il vero, vibrante misticismo del sentimento amoroso, facendo passare un fondamentale messaggio che in pochi hanno colto: la delittuosità ed insensatezza dell'obbligo di castità clericale, contrapposta al vibrare sacro di due cuori che si amano, e che proprio tramite il loro amore terreno possono congiungersi al Divino.
Il finale, in tal senso, è piuttosto esplicito: Serge Mouret, il giovane parroco "peccatore", dopo la perdita della sua amata la immagina incarnarsi nella statua della Beata Vergine, e sogna di baciarla ancora. Di nuovo insieme, felici e sorridenti.
Il film è un soave gioiello di Poesia e raffinatezza: il prete e la fanciulla, che hanno la sola "colpa" di amarsi d'un sentimento puro e fresco, che però infrange le regole sacerdotali del celibato, si vedono spesso passeggiare in boschi assolati, perdersi in giardini ricolmi di fiori, ubriachi del loro amore e della loro dolce passione.
Particolarmente ricorrente, nei dialoghi dei due amanti, la ricerca della Luce, dell'aria pura, di una vita da vivere al Sole, come fuga salvifica dalle tenebre fitte del bigottismo religioso.
Questo loro Eden personale (non a caso, chiamato Paradou) è però continuamente invaso, lordato, rabbuiato dalla presenza opprimente e strisciante del senso di colpa e della paura, nonché dalle interferenze fisiche di un viscido e fanatico sacerdote anziano, che cerca (infine riuscendoci) di riportare all'ovile ecclesiastico la "pecorella smarrita": in questo, il film è sottilmente anticlericale, senza però inutili pesantezze od ostentazioni.
La regia è lieve, sapiente e lirica, e ci regala momenti di grande intensità e struggimento.
Gli attori sono tutti molto dignitosi e professionali (a parte Francis Huster -il parroco protagonista- che non pare poi molto convinto del proprio, complesso, ruolo).
Sublime Gillian Hills, nella parte della triste e sfortunata ragazza "tentatrice": talmente bella e luminosa che sembra quasi uscita da un dipinto preraffaellita.
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