noia1
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lunedì 24 ottobre 2016
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la dolceamara vita
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Un giornalista vaga per Roma, una città disseminata di personaggi stravaganti e interessanti dove non ci si annoia mai.
La maestria di Fellini è storica nel cinema non c’è bisogno di ricordarlo, è una di quelle cose indubbie come lo sono le leggi matematiche e l’alternarsi del giorno e della notte. Qui però abbiamo a che fare con uno dei suoi apici, uno dei punti più alti e clamorosi della sua carriera, un film che ha fatto storia e che quando lo si vede non può non lasciare il segno.
Una commedia amara su un periodo ricco d’aspettative in un’Italia entusiasta, una visione sulla condizione dell’uomo contemporaneo, la messinscena del pensiero del regista.
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Un giornalista vaga per Roma, una città disseminata di personaggi stravaganti e interessanti dove non ci si annoia mai.
La maestria di Fellini è storica nel cinema non c’è bisogno di ricordarlo, è una di quelle cose indubbie come lo sono le leggi matematiche e l’alternarsi del giorno e della notte. Qui però abbiamo a che fare con uno dei suoi apici, uno dei punti più alti e clamorosi della sua carriera, un film che ha fatto storia e che quando lo si vede non può non lasciare il segno.
Una commedia amara su un periodo ricco d’aspettative in un’Italia entusiasta, una visione sulla condizione dell’uomo contemporaneo, la messinscena del pensiero del regista. Un apologo satirico e feroce sull’altra faccia del patinato universo delle stelle famose, dei borghesi, di chi sta benone sul suo trono. Uno sguardo dietro il fastoso clima romano, sui vizi, i dubbi, su vite mai veramente vissute, su uno straniamento che spinge a non dare più valore a niente e a perdere la cognizione di ciò che veramente vogliamo o non vogliamo., un mondo rassegnato dove una cosa vale l’altra e non importa che ne possa andare della vita stessa o della propria felicità.
Un universo vario, festoso, nessuno sfugge all’occhio del regista: coppie, uomini, donne, vecchi, giovani, trans, gay, lesbiche, amici o nemici. Sì perché le coreografie da manuale, dove la telecamera coi propri tempi perfetti si posa mano a mano su tutti, descrivono un vero e proprio mondo dove ciascuno non è lì semplicemente a fare il caratterista ma esprime pareri ed ha i propri atteggiamenti che lo contraddistinguono dagli altri.
Immagini bellissime, situazioni irresistibili ed un epilogo emblematico sulla condanna dell’uomo, sull’assenza di ogni speranza. Tutto è ruvido e l’occhio attraverso cui lo si guarda è spietato anche se perennemente permeato d’eleganza, paradossale quel retrogusto acido, quella cattiveria, quelle feste frenetiche, tutto sotto il pacato e preciso dipanarsi di ogni scena in una telecamera che non si lascia mai troppo andare nel disegnare il proprio immenso affresco.
Il nostro è sostanzialmente un viaggio, o perlomeno è il viaggio di Marcello sotto i nostri occhi, un personaggio affascinante ed elegante eppure insicuro e dai mille problemi (soprattutto interiori). Un Mastroianni come sempre carismatico ed imponente che pian piano svela le proprie debolezze e finisce alla perfezione nella fragile figura del borghese frustrato senza più principi.
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paolopace
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mercoledì 28 settembre 2016
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così vedeva fellini
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Abbandono alla circolarità degli eventi, indulgenza nel giudicare il prossimo, recupero del sentimento e della sensualità rispetto agli ideali e alla morale. Queste chiavi per il film e per la realtà che esso ritrae sono state riprese da molto cinema italiano e internazionale tanto da far inserire l'opera nel dibattito ideologico, filosofico, politico pero' lontano, stante almeno alle dichiarazioni, alle intenzioni dell'autore il quale si proponeva di fare un rotocalco in pellicola modellato su quelli di successo dell'epoca, a essi ispirati anche cromaticamente, attraverso il tipico bianco e nero argentato e la estetizzante impaginazione su una realtà di cui Fellini, ancorché preciso nella definizione sociologica, sembra soprattutto interessato all'aspetto comico (qua aiutato dalla satira di Flaiano, dalla battuta tagliente, dall'acuta resa del grottesco e dello squallore, una caratteristica che e' sempre stata congeniale a Fellini).
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Abbandono alla circolarità degli eventi, indulgenza nel giudicare il prossimo, recupero del sentimento e della sensualità rispetto agli ideali e alla morale. Queste chiavi per il film e per la realtà che esso ritrae sono state riprese da molto cinema italiano e internazionale tanto da far inserire l'opera nel dibattito ideologico, filosofico, politico pero' lontano, stante almeno alle dichiarazioni, alle intenzioni dell'autore il quale si proponeva di fare un rotocalco in pellicola modellato su quelli di successo dell'epoca, a essi ispirati anche cromaticamente, attraverso il tipico bianco e nero argentato e la estetizzante impaginazione su una realtà di cui Fellini, ancorché preciso nella definizione sociologica, sembra soprattutto interessato all'aspetto comico (qua aiutato dalla satira di Flaiano, dalla battuta tagliente, dall'acuta resa del grottesco e dello squallore, una caratteristica che e' sempre stata congeniale a Fellini). Ma la dimensione piu' poetica di questo film è il fatto che si tratti di una fiaba, incorniciata da una fine e da un principio simmetricamente simbolici. Fellini ha infatti il merito di aver trasfigurato (e qui importante é stato Tullio Pinelli) una realtà da giornalismo pettegolo e da paparazzi invadenti nella fiaba e nel mito. La cosa più originale del film, a parte l'assenza di alcun tipo di giudizio é la costruzione a blocchi, episodi mediatore Marcello, senza la drammaturgia tradizionale ma giustapposti e lenti nella loro descrizione minuziosa e nella loro trasfigurazione fantastica. Si dice che Rizzoli ("Caro artista, hai fatto una bella cosa ma dalla gente non aspettarti elogi") non si fosse spiegato razionalmente l'enorme successo che il fil ebbe, con la sua lunghezza, per il fatto che sembrava andare contro ogni cosa, come l'organizzatore generale Clemente Fracassi che pensava che il film fosse un'opera d'arte per raffinati, non per un grande pubblico. In questo senso ha aiutato il caso politico, il successo di scandalo. Fellini ha dimostrato una straordinaria onestà nel mantenere il personaggio dell'intellettuale, senza il quale la dimensione apocalittica del film sarebbe stata gravemente compromessa, mentre ha eliminato personaggi e ambienti inutili e altri li ha aggiunti girando suggestionato dai racconti di Brunello Rondi, divenuto un collaboratore importante del film come Pasolini (non accreditato). Bisogna rilevare che Fellini non manca mai rispetto alla dignità umana, ciascun personaggio ne mantiene, così come non accredita una tesi a dispetto di un'altra (più tardi parlerà di "punti di vista diversi che possono coincidere"). Anche rappresentando un mondo privo di qualcosa, si può stare parlando di quel qualcosa. Gli stessi eccessi del film (che come dice Ghezzi "alla fine va a fondo per la sua pesantezza") svolgono affabulatoriamente una funzione catartica, nel raccontare una crisi di valori come con stile per molti aspetti antitetico stava facendo in quegli anni anche Antonioni. Il personaggio più moderno, più rappresentativo del film é Maddalena, l'ereditiera, mentre nell'episodio del padre Fellini riprende personaggi e sentimenti dei suoi film precedenti. Il film rappresenta non solo la personalissima visione della civiltà contemporanea del suo autore ma anche il suo modo di intendere, da regista, il cattolicesimo, che provocò gli attacchi dei bigotti e il giudizio positivo dei Padri Gesuiti, mentre i Cardinali, compresi passati e futuri papabili, non erano d'accordo fra loro.
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paolopace
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venerdì 16 settembre 2016
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la febbre di un mondo
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L'ambizione di Fellini era quella di comporre, come in un grande affresco, un quadro, anzi una serie di quadri della civiltà contemporanea, che ruota attorno a una figura emblematica dell'epoca, il giornalista a caccia di scandali, di cronache mondane, che attraversa come gironi infernali i vari ambienti della società. Ma fellini non ha intenzione di fare la morale; egli si limita a catturare con gli occhi, le orecchie, con la sua sensibilità di artista, gli umori, le sensazioni, tutto quanto ha di unico e magari anche , anche in contesto moralisticamente discutibile o condannabile di buono il mondo contemporaneo. Dalla café-society infatti il film si allarga, si dilata in una gran carosello barocco, nel quale Marcello si lascia andare, galleggiare, tramite attraverso il quele vediamo quanto è bello o brutto il mondo.
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L'ambizione di Fellini era quella di comporre, come in un grande affresco, un quadro, anzi una serie di quadri della civiltà contemporanea, che ruota attorno a una figura emblematica dell'epoca, il giornalista a caccia di scandali, di cronache mondane, che attraversa come gironi infernali i vari ambienti della società. Ma fellini non ha intenzione di fare la morale; egli si limita a catturare con gli occhi, le orecchie, con la sua sensibilità di artista, gli umori, le sensazioni, tutto quanto ha di unico e magari anche , anche in contesto moralisticamente discutibile o condannabile di buono il mondo contemporaneo. Dalla café-society infatti il film si allarga, si dilata in una gran carosello barocco, nel quale Marcello si lascia andare, galleggiare, tramite attraverso il quele vediamo quanto è bello o brutto il mondo. Lo spunto è il rapporto di Marcello con le donne: insoddisfatto dell'amore possessivo e castrante della sua amante, si incontra con aristocratiche, altoborghesi, star, pulite adolescenti. Venuto dalla provincia pieno di aspettative è insieme affascinato e disgustato. Intellettuale, reprime o ripone le sue ambizioni a favore di un sempre più progressivo scivolamento nel giornalismo più terra terra, che è quello che Fellini voleva rappresentare con questo film. Non si può separare l'avventura di Marcello, ispirato a modelli anche lontani dalla vita del regista, da non poco di di autobiografico. E' impossibile considerare il film separandolo da Fellini. Le sue dilatazioni (lo hanno confermato alcuni dei i personaggi nella parte di se stessi) sono quelle del provinciale cui molte delle figure della città appaiono mostri, fantasmi, o anche santi, in cui la realtà appare spesso grottesca o squallida. Ma Fellini, come capita a certi artisti, adorava anche lo squallore. Accusato di disimpegno, anzi di incapacità politica, egli ribadiva che la cosa migliore che potesse fare un regista - lo ha pensato fino alla fine - fosse testimoniare, rappresentare le cose così com'erano. "Vogliamo piantarla con le frescacce, le illusioni sterili? E' tutto rotto. Non crediamo più a niente" diceva al tempo del film. "La dolce vita" è un film apocalittico. Come dice Gore Vidal in un cameo in "Roma" (1970), questa è la città migliore per aspettare la fine del mondo. Fellini riesce a comunicare anche questo senso di attesa: la "fine del mondo" può voler dire molte cose, un monolito scoperto sulla Luna, la bomba atomica, o magari un mondo nuovo, attraverso la Grazia, la cui assenza può rappresentare anche l'attesa. O semplicemente una stoica accettazione, sentimento cui Fellini è spesso vicino e che ha rappresentato, avanti rispetto ai giornalisti e ai politici che lo hanno attaccato o usato per attaccare i loro avversari, in questo film, che regge benissimo l'interpretazione teologica quanto quella laica e terrena. Da una presentazione del film a un network privato: "Con questo film il cinema italiano è diventato adulto". Ma l'influenza del film è stata enorme anche fuori dall'Italia. Pensiamo alla vittoria al festival di Cannes piuttosto che agli sputi, alla sua fondamentale importanza per film americani come "Nashville" come ammise Altman; a uno "svecchiamento" generale della critica. Fellini non bara, neanche nel finale, dove balena, più fortemente che in ognuno degli altri episodi, la possibilità-speranza di salvezza: Marcello e i suoi amici sono esattamente quelli che erano all'inizio del film, o magari alla fine di "Otto e mezzo".
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super2davide
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mercoledì 24 agosto 2016
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la dolce vita
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Capolavoro della storia del cinema. Film di rara drammaticità, intenso e profondo.
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igor74
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martedì 23 agosto 2016
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un film storico
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"La dolce vita" è uno di quei film, come "Manhattan" di Woody Allen, le cui interpretazioni sono una vera lezione di pluralismo considerando la stessa dell'autore che ammetteva come il risultato di una opera va comunque oltre le intenzioni consapevoli dell'autore. Che erano quelle di fare un film cristiano e cattolico secondo l'intendimento di Papa Pio XII; quindi fu molto deluso dalla condanna del cardinale Montini, futuro papa Paolo VI, quando, a differenza del cardinale Siri, che fu tra i favoriti per ben 4 elezioni consecutive senza mai essere stato eletto (una sorta di Kubrick - che non ha mai avuto l'Oscar come miglior regista né come miglior film - della Chiesa) che aveva espresso un giudizio positivo sulla pellicola (che non vuol dire un giudizio positivo sui fatti in essa descritti), nonchè dalle condanne di quei cattolici che il film non lo avevano neanche visto.
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"La dolce vita" è uno di quei film, come "Manhattan" di Woody Allen, le cui interpretazioni sono una vera lezione di pluralismo considerando la stessa dell'autore che ammetteva come il risultato di una opera va comunque oltre le intenzioni consapevoli dell'autore. Che erano quelle di fare un film cristiano e cattolico secondo l'intendimento di Papa Pio XII; quindi fu molto deluso dalla condanna del cardinale Montini, futuro papa Paolo VI, quando, a differenza del cardinale Siri, che fu tra i favoriti per ben 4 elezioni consecutive senza mai essere stato eletto (una sorta di Kubrick - che non ha mai avuto l'Oscar come miglior regista né come miglior film - della Chiesa) che aveva espresso un giudizio positivo sulla pellicola (che non vuol dire un giudizio positivo sui fatti in essa descritti), nonchè dalle condanne di quei cattolici che il film non lo avevano neanche visto. Una eccezione furono i Padri Gesuiti, nei quali Fellini aveva sempre avuto accesi sostenitori. Le reazioni al film dimostrano che ciascuno vi trova quello che cerca, quello che desidera. Se non si è credenti, il film si può benissimo leggere in senso assolutamente laico, compresa la soluzione ai problemi di Marcello portata dalla signorina del finale (che testimonia che la Grazia ha comunque un risvolto piacevole e terrestre), cioè quella di non sentirsi più inutile, insegnando a una aspirante dattilografa a battere a macchina; una immortalità nelle cose che si è fatto, che possono essere utili agli altri per gli altri (un tema che travaglierà molto il protagonista di "Otto e mezzo", che si sente in colpa per il suo egoismo). La qualità vera e più importante del film è la sua figuratività. Fellini riesce con una sensibilità fuori dal comune a rendere l'aria del tempo in cui è stato fatto il film, un momento critico e fertile - di certo per l'artista - della società italiana. Il film possono essere diversi film, con diverso significato, se si considerano alcuni episodi, piuttosto che altri (quello funesto dell'intellettuale tutti, specie gli intellettuali che in generale lo trovarono inaccettabile, avevano detto a Fellini di eliminarlo, ma così il film avrebbe avuto meno spessore e pareva al regista di non essere stato onesto senza mostrare la tragedia nonchè un passaggio nella progressiva presa di coscienza del protagonista, anche se subito seguito dalla strada sbagliata, e dall'impossibilità di uscire dalla confusione della società contemporanea (ma Paolina non è troppo lontana). Fellini è encomiabile per come mantiene il timone del film, senza imboccare scappatoie o compromessi con ideologie, morali, convenzioni alle quali gli sembrava che nessuno credeva. In questo senso è anche un film per posteri, come per la contemporaneità di ieri e di oggi, mantiene la sua modernità grazie alla sua laicità, che come si sa non è affatto in controsenso con la fede, a meno di non essere bigotti, o per una forma di censura assoluta anche sull'arte (il film fu proibito nella Spagna franchista, dove uscì solo nel 1981); nè con una visione severa della vita, che Siri aveva compreso giustificando un film che avrebbe risparmiato tante polemiche e azioni conseguenti se la politica italiana e quella internazionale non avessero impedito a papa Gregorio XXVII, che come Pio XII amava il cinema, per una trentina d'anni di regnare, oltre agli altri macelli che hanno fatto.
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paolino77
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giovedì 18 agosto 2016
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ca..o che film
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Qualche critico disse che questo non era degno di chiamarsi cinema, ma forse è qualcosa di più che cinema. E' una parte della vita di chi guarda, e riesce a modificare qualcosa nei suoi spettatori. In questo senso, soprattutto per quest'ultimo aspetto, è un film assolutamente eccezionale, forse unico, forse davvero il film del secolo (del XX secolo). Una tecnica di una presisione millimetrica, un calcolo freddo per quello che doveva sembrare un resoconto a caldo, un lavoro di alto artigianato, calcolato ma frutto anche di illuminazioni tanto da sacrificare sequenze e personaggi e aggiungerne invece altri, a causa di quella visione delle cose tipica di Fellini di saper essere ad un tempo dentro e insieme fuori dal film, con una narrazione, una descrizione che nei dettagli e nelle sfumature coglie e rappresenta umori, sensazioni, timori, speranze, velleità di una società che stava (in ogni cosa questo è il momento migliore per vedere tutto, per capire tutto, o per accettare tutto) trasformandosi negli anni di passaggio al "boom", col rapporto uomo-donna che stava cambiando (le case chiuse erano state abolite da poco), con l'ascesa della borghesia, volgare e arrivista (i nobili non contano più nulla e vivono come in un universo parallelo), con la pagana deificazione delle star dello spettacolo, con personaggi venuti non si sa da dove (nella scena dell'"orgia" finale ne incontriamo molti per la prima volta) sfatti nel ripetere riti fino alla noia e alla ricerca di emozioni surrogate giocando a nascondino con la morale e con la morte (chiara l'allusione al "caso Montesi" - che ha rivelato agli italiani dei begli altarini - nella scena dell'ingenua ubriaca e addobbata come una grossa gallina).
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Qualche critico disse che questo non era degno di chiamarsi cinema, ma forse è qualcosa di più che cinema. E' una parte della vita di chi guarda, e riesce a modificare qualcosa nei suoi spettatori. In questo senso, soprattutto per quest'ultimo aspetto, è un film assolutamente eccezionale, forse unico, forse davvero il film del secolo (del XX secolo). Una tecnica di una presisione millimetrica, un calcolo freddo per quello che doveva sembrare un resoconto a caldo, un lavoro di alto artigianato, calcolato ma frutto anche di illuminazioni tanto da sacrificare sequenze e personaggi e aggiungerne invece altri, a causa di quella visione delle cose tipica di Fellini di saper essere ad un tempo dentro e insieme fuori dal film, con una narrazione, una descrizione che nei dettagli e nelle sfumature coglie e rappresenta umori, sensazioni, timori, speranze, velleità di una società che stava (in ogni cosa questo è il momento migliore per vedere tutto, per capire tutto, o per accettare tutto) trasformandosi negli anni di passaggio al "boom", col rapporto uomo-donna che stava cambiando (le case chiuse erano state abolite da poco), con l'ascesa della borghesia, volgare e arrivista (i nobili non contano più nulla e vivono come in un universo parallelo), con la pagana deificazione delle star dello spettacolo, con personaggi venuti non si sa da dove (nella scena dell'"orgia" finale ne incontriamo molti per la prima volta) sfatti nel ripetere riti fino alla noia e alla ricerca di emozioni surrogate giocando a nascondino con la morale e con la morte (chiara l'allusione al "caso Montesi" - che ha rivelato agli italiani dei begli altarini - nella scena dell'ingenua ubriaca e addobbata come una grossa gallina). Il film è anche una esaltante opera d'arte in cui concorrono svariati talenti; dal genio di Fellini che unisce tutto, come in tutti i suoi film, in un "corpo" cinematografico impressionante come pochi, o forse come nessuno (forse Kubrick, ma siamo in un altro "dottore" della condizione umana, con una visione del mondo non troppo dissimile nelle conclusioni ma meno "dolce", appunto, di quella felliniana), al talento di Flaiano, capace di rimettere a posto con una battuta come lama di rasoio una scena o una sequenza rispetto al rischio di sentimentalismo causa lo spiritualismo, l'amore per le persone e le cose di Fellini; a quello di Pinelli, decisivo nella trasfigurazione della realtà in fiaba assieme allo scenografo e costumista Gherardi (un Oscar strameritato); alle collaborazioni con Brunello Rondi (che conosceva certi ambienti ritratti nel film e ha suggerito su quali personaggi si doveva più insistere) e a quella, non accreditata, di Pasolini, che fornì consigli e aiutò Fellini in certe scelte importanti. Paradossalmente, la scena che rivelò le maggiori difficoltà fu proprio l'"orgia" finale; ma qui Fellini fu aiutato dal suo occhio, sempre sul crinale tra orrore e estasi, qui chiaramente (o si dovrebbe dire oscuramente) più verso la prima sensazione. "Non esiste, è una invenzione (magari bella) di Fellini"; "L'Italia era proprio così". Chi ha ragione? Per comprendere Fellini bisogna considerare che per lui la realtà - come ribadirà in "Otto e mezzo" - è inseparabile, non ha senso al di fuori dell'esperienza soggettiva, che vuol dire anche sogno, fantasia, fantasticheria, ma sfido io a chi sappia aver rappresentato, rivelato meglio di lui con verità minuzuisa certi aspetti della realtà che tutto quanto è seguito al film non ha fatto che dimostrare.
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paolino77
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mercoledì 17 agosto 2016
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il padrone della realtà e l'immacolata
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Fellini satirico rappresenta i vizi con l’esagerazione e la caricatura, ma più desideroso di mostrare che di dimostrare. Girando in epoca di esistenzialismo egli era convinto dell’esistenza di Dio e della necessità dell’amore ma anche che per poter capire la bontà, i veri valori della vita, bisogna confrontarsi con la realtà del peccato, entrarci dentro, conoscere la vera disperazione, scendere nel proprio inferno, intraprendere un cammino dantesco (come aveva capito il cardinale Siri, che a differenza di Montini, che deluse Fellini, e che fu eletto papa al posto suo - cosa che accadrà più volte al cardinale ligure - non aveva condannato il film).
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Fellini satirico rappresenta i vizi con l’esagerazione e la caricatura, ma più desideroso di mostrare che di dimostrare. Girando in epoca di esistenzialismo egli era convinto dell’esistenza di Dio e della necessità dell’amore ma anche che per poter capire la bontà, i veri valori della vita, bisogna confrontarsi con la realtà del peccato, entrarci dentro, conoscere la vera disperazione, scendere nel proprio inferno, intraprendere un cammino dantesco (come aveva capito il cardinale Siri, che a differenza di Montini, che deluse Fellini, e che fu eletto papa al posto suo - cosa che accadrà più volte al cardinale ligure - non aveva condannato il film). Un viaggio attraverso un mondo spesso alla rovescia: celebrità idolatrate come divinità e donne come bestie: Silvia ulula come un cane mentre una ragazza che partecipa una festa viene ricoperta di piume e trasformata in una gallina. Il film è il sonno della ragione. Steiner, l'intellettuale, è un paranoico ossessionato dalla “natura”. Marcello sa che l'innocenza, l'amore, la spiritualità sono la vera essenza della vita ma è ancora troppo affascinato dal diavolo per abbandonare la “dolce vita”. Il mostro marino nella luce livida dell’alba è simbolo del male; con il suo occhio senza anima evoca Lucifero. La dolce vita è il mondo dell’illusione. Ricchi, oziosi, illusi; una vita senza responsabilità morale, ma Fellini non spinge troppo sul pedale del moralismo, anzi, poco e appena avvertibile in alcuni momenti del film. Paola, la ragazza che incontra al bar sulla spiaggia, è l'innocenza, l'onestà, la semplicità. Il tentativo fallito di riuscire a comunicare con lei alla fine non dipende, come all'inizio del film con le ragazze sulla terrazza, dalla tecnologia, ma dal rumore del mare, la “natura” materiale che atterriva Steiner. Ma è probabile che prima o poi Marcello, vale a dire l'uomo moderno, intellettuale o meno, si ravveda: si avverte in ogni episodio del film come più o meno vagamente egli sia alla ricerca di una redenzione, consapevole dei suoi limiti come scrittore e come uomo; è gentile e generoso, aperto, forse inconsapevolmente, alla grazia.
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urbano78
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martedì 12 luglio 2016
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le velleità di una società in trasformazione
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Quello che colpisce, in questo film, è l'amore e il rispetto di Fellini per i personaggi e la loro vitalità, seppure in modi diversi (confrontiamo la festa dei nobili con quella dell'ambiente misto verso la fine del film). Certo, il tono è sovente spettrale e funereo, ma queste sono caratteristiche di tutta l'opera del regista riminese, della sua visione del mondo e della civiltà. Apparentemente superficiale come la vita che ritrae, "La dolce vita" rappresenta una visione per alcuni aspetti profetica, oltre che un'avviso in anticipo, colto con la sensibilità dell'artista, del genio, degli sviluppi di ciò che era appena sul nascere nella Italia di quegli anni e più in generale nella civiltà contemporanea.
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Quello che colpisce, in questo film, è l'amore e il rispetto di Fellini per i personaggi e la loro vitalità, seppure in modi diversi (confrontiamo la festa dei nobili con quella dell'ambiente misto verso la fine del film). Certo, il tono è sovente spettrale e funereo, ma queste sono caratteristiche di tutta l'opera del regista riminese, della sua visione del mondo e della civiltà. Apparentemente superficiale come la vita che ritrae, "La dolce vita" rappresenta una visione per alcuni aspetti profetica, oltre che un'avviso in anticipo, colto con la sensibilità dell'artista, del genio, degli sviluppi di ciò che era appena sul nascere nella Italia di quegli anni e più in generale nella civiltà contemporanea. Si tratta di una civiltà in decadenza, proprio mentre sembrava in fiore, ma in Fellini, anche negli ultimi e più sconfortati film, l'apocalisse non è mai totale; c'è sempre la possibilità di ricominciare. La angelica adolescente, di cui Marcello rifiuta il richiamo non per superbia, ma perché non se ne sente degno, rappresenta la Grazia (in un suo risvolto piacevole e terrestre) dell'amore benevolo (quello che nella società della "dolce vita" sembra scomparso, a parte quello possessivo e castrante dell'amante di Marcello) che tutto crede, tutto sopporta, tutto spera, tutto tollera, che non ha fine e senza la quale tutto il resto non è niente. Fellini credeva di aver fatto un'opera cattolica, come capirono i gesuiti del Centro San Fedele che difesero strenuamente, finendo per subire punizioni, il film dagli attacchi dei bigotti, e fu sorpreso - oltre che dall'enorme successo che ebbe che e di cui il produttore Rizzoli non seppe darsi una spiegazione razionale - dalle polemiche che suscitò (interrogazioni parlamentari, preghiere per Fellini "pubblico peccatore" ecc.). Una signora affrontò Fellini dicendo che era meglio mettersi una pietra al collo e buttarsi a mare piuttosto che dare scandalo alle genti come egli aveva fatto. Il film rende perfettamente l'atmosfera dell'epoca modellandosi anche figurativamente ai rotocalchi di allora come "Lo specchio"; "Oggi"; "L'Europeo" dove la vecchia Italia si incontrava con quella nuova dei "Nastri d'Argento" in passerelle, feste, autocelebrazioni, premi. Una Italia che a Fellini volle ritrarre per il piacere di raccontare e per prenderla per il bavero, ma che a lui inquietava e questo si sente nel film, perché anche senza dare un giudizio, una condanna - fu questo sia il motivo del successo che delle polemiche -, in più di un momento (nell'orgia nella villa del nuovo ricco per l'intero episodio) c'è autentico orrore. I personaggi de "La dolce vita", come avveniva nel tardo Impero Romano, giocano con la morte per esorcizzare le paure, le angosce, che il film trasmette assieme alle speranze e alle illusioni; Fellini si è rivelato, pur con il suo sentimentalismo - qua tenuto a bada dall'ironia tagliente di Flaiano - "un cinico che crede in quello che fa" (Kezich). Pasolini, collaboratore non accreditato al film, diede suggerimenti importanti e il suo amore per Fellini fa giustizia rispetto a coloro che hanno liquidato l'opera di questo smisurato genio come senza idee, addirittura indegna di essere chiamata cinema, o incapace di una visione coerente della realtà sociale. Ma erano i politici di allora a essere indietro, impegnati a rinfacciarsi reciprocamente tra destra e a sinistra anche all'interno del mondo cattolico la responsabilità dello sfascio che si vede nel film.
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e. hyde
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domenica 5 giugno 2016
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le albe dell'uomo
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Avete notato quante volte albeggia in questo film - che, del resto, si svolge in gran parte di notte -, a parte il finale? Se "La dolce vita", o qualcosa di esso, non vi piace la prima volta che lo vedete, guardatelo la seconda. Se arrivate alla terza probabilmente lo considererete una delle esperienze più importanti della vostra vita di spettatore, se non in assoluto della vostra vita. Esso cambia qualcosa in ciascuno dei suoi spettatori. Fellini non era un regista impegnato, non aveva tesi da dimostrare; la sua posizione era quella delle verità e della sincerità in un mondo che si rivela tutta una falsità: e allora basta con le demagogie, le sciocchezze, l'ignoranza, le illusioni sbagliate, anche al cinema.
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Avete notato quante volte albeggia in questo film - che, del resto, si svolge in gran parte di notte -, a parte il finale? Se "La dolce vita", o qualcosa di esso, non vi piace la prima volta che lo vedete, guardatelo la seconda. Se arrivate alla terza probabilmente lo considererete una delle esperienze più importanti della vostra vita di spettatore, se non in assoluto della vostra vita. Esso cambia qualcosa in ciascuno dei suoi spettatori. Fellini non era un regista impegnato, non aveva tesi da dimostrare; la sua posizione era quella delle verità e della sincerità in un mondo che si rivela tutta una falsità: e allora basta con le demagogie, le sciocchezze, l'ignoranza, le illusioni sbagliate, anche al cinema. Apriamo gli occhi il meno condizionati possibile, comprendiamo che la nostra visione non è che un punto di vista e ne potrebbero esistere (e magari coesistere) infiniti altri. Profetico cinematograficamente e non, il settimo film e mezzo di Fellini è esploso come una bomba in un momento cruciale della nostra storia diventando un caso politico e di costume prima che essere apprezzato, da chi lo ha apprezzato, come la magnifica opera d'arte che è, la cui più grande e vera virtù, la vera ragione della sua grandezza, come per ogni capolavoro, è la straordinaria qualità della sua fattura, il virtuosismo della regia, della recitazione, della fotografia, del montaggio, delle scenografie e dei costumi, della musica, del soggetto e della sceneggiatura - anche se modificata (e arricchita) - durante la realizzazione. Fellini non si considerava un intellettuale, non aveva la cultura di molti dei suoi collaboratori, ma aveva una ispirazione, una immaginazione figurativa, una capacità di dilatare le forme fino a un visionario sconcertantemente chiarificatore della realtà. L'estetica di questo film è anche il suo contenuto. Fellini si mette dentro alle cose, non specula, non filosofeggia, si attiene al sensibile, al fenomenico. Questo è un film che è molto piaciuto ai laici che ritengono che la vita dell'uomo appartenga alla Terra, e che quella amano. Si capisce allora che il film abbia scatenato le reazioni di chi si è visto rappresentato come un cretino, come un miserabile, come un ingenuo, come un patetico, come un ignorante o un parvenu; e ancora più ha scandalizzato che il film non prendesse posizione, non condannasse nessuno (e non perché non sapesse prendere una posizione morale, se avesse voluto, si vede questo in alcuni momenti del film). Al contrario sembriamo invitati a un abbandono alla circolarità degli eventi, al recupero - in quegli anni il discorso era particolarmente sentito - della sensualità sulla coscienza e del sentimento - che per Fellini è sempre stato uno dei valori autentici pur esecrando il sentimentalismo inetto - sulla ragione, al rispetto per tutti, a scoprire quanto c'è di buono e dolce (ecco il vero significato dell'opera) in ognuno, anche quello che giudichiamo il più abietto, e in ogni cosa, nei momenti della vita che ci capitano in cui ci sembra di rinascere. Stoicismo classico? I lavori successivi del regista (soprattutto "Ginger e Fred") lo chiariranno. In fondo Fellini veniva dal "Marc'Aurelio"...
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angelino67
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mercoledì 4 maggio 2016
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il primo film laico e democratico italiano
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Grande affresco della civiltà contemporanea, in una Italia che si avvia al "boom", che coglie e e rende gli umori e le sensazioni dell'epoca, negli ambienti e situazioni. Otello Martelli mette la sua sagacia fotografica al servizio di una immagine levigata e raffinatissima. La musica di Nino Rota é intrigante, a volte inquietante, torbida, misteriosa, altrove popolare e jazzata, così come il film. Sceneggiato da Brunello Rondi, frequentatore di parties e feste nelle case patrizie, Flaiano con acuta critica di costume e Pinelli, trasfiguratore della realtà intonato alla visione di Fellini fantastica e irrazionale, il film si é ispessito durante la lavorazione. L'orgia nella villa del nuovo ricco, che colpisce ancora oggi per il suo orrore, ha una un eco del caso Montesi, che aveva scosso l'Italia anni prima.
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Grande affresco della civiltà contemporanea, in una Italia che si avvia al "boom", che coglie e e rende gli umori e le sensazioni dell'epoca, negli ambienti e situazioni. Otello Martelli mette la sua sagacia fotografica al servizio di una immagine levigata e raffinatissima. La musica di Nino Rota é intrigante, a volte inquietante, torbida, misteriosa, altrove popolare e jazzata, così come il film. Sceneggiato da Brunello Rondi, frequentatore di parties e feste nelle case patrizie, Flaiano con acuta critica di costume e Pinelli, trasfiguratore della realtà intonato alla visione di Fellini fantastica e irrazionale, il film si é ispessito durante la lavorazione. L'orgia nella villa del nuovo ricco, che colpisce ancora oggi per il suo orrore, ha una un eco del caso Montesi, che aveva scosso l'Italia anni prima. Conviene alla comprensione del caso politico del film una parentesi storica. La DC, come nelle esigenze del paese, stava per aprire ai socialisti, con il centrosinistra del successivo decennio. Ma questo progresso che aveva avuto un preannuncio con l'elezione di Papa Giovanni XXIII c'è nello sguardo nuovo del film ma non ancora nella realtà che rappresenta. E'un'Italia dove il sindaco di Roma, eletto coi voti determinanti delle destre, non commemorò il quindicesimo anniversario della Liberazione. Il governo in carica anch'esso aveva l'appoggio esterno della destra, e il Capo dello Stato, della sinistra democristiana, era bloccato nei suoi tentativi di apertura a sinistra dal capo dei servizi segreti militari con la minaccia di un golpe (che tentò per davvero come Comandante Generale dei Carabinieri nel '64). Nonostante gli elogi di Montanelli sul Corriere della sera e del Cardinale Siri, un conservatore più volte tra i papabili, la destra si scatenò contro il film. I cattolici si divisero, i Gesuiti difesero Fellini, che riteneva che la cosa migliore, soprattutto in senso cristiano e cattolico, che un artista potesse fare era mostrare le cose come sono. Fu un pretesto per lo scontro politico in Italia in trasformazione per l'industrializzazione e lo sviluppo delle comunicazioni di massa. Zavattini paragonò il film alla rivoluzione cubana come occasione di passione sull'arte e sul cinema. Ma esso non si può ridurre a una contingenza politica. La crisi, l'incertezza, la confusione sono fertili per l'arte. Fellini ha una visione della condizione umana che prescinde dal progresso e dalla storia. Non a caso l'episodio più riuscito é quello fuori dal tempo e dalla storia dei nobili (alcuni veri), nei loro castelli sepolcrali e fantasmatici; cinema gotico introdotto a Via Veneto dall'apparizione spettrale di Nico. Accidiosa, forsennata, passiva, ingorda, opulenta, dissoluta; questa é la capitale governativa ed ecclesiastica in cui Marcello si lascia dolcemente vivere. Nella conferenza stampa di Anita i giornalisti sono veri e a casa dell'intellettuale gli artisti sono più o meno nella parte di se stessi. Deliziosa Fanny, la buona prostituta, mentre Maddalena é il personaggio più rappresentativo della dolce vita: essa compare ripetutamente. Emma castra Marcello col suo amore possessivo, che egli rifiuta. Esemplare la sequenza del falso miracolo, circo mediatico, rituali della mistica popolare e produzione del consenso di massa. L'angelo umbro é una delle adolescenti di Piero della Francesca, Antonello da Messina e altri pittori dove tra cherubini, serafini, angioloni, nubi radiose e aerei cortei di santi compare sempre qualche bel sederino.
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