laurence316
|
venerdì 12 ottobre 2018
|
capolavoro umanista, potente e commovente
|
|
|
|
Seppur meno conosciuto all'estero, e in particolare in Occidente, Kinoshita è certamente uno dei più importanti registi giapponesi del dopoguerra, al pari di mostri sacri come Kurosawa, Ozu e Mizoguchi, e pertanto un protagonista del cinema locale di quel periodo. E questo Ventiquattro occhi, insieme al successivo La leggenda di Narayama, può essere tranquillamente considerato il vertice della sua arte.
Un'opera profonda e toccante, che, come tipico dello stile del regista, procede a ritmo sostenuto e pacato, utilizzando ampiamente long takes e campi e piani medi e lunghi, per narrare la propria storia, e controllare così abilmente il gran numero di personaggi, offrire un minimo approfondimento di diversi di loro e soprattutto offrire l’occasione all’ottima fotografia di Hiroyuki Kusuda di mostrare allo spettatore lunghe riprese di paesaggi che talvolta paiono quasi dipinti.
[+]
Seppur meno conosciuto all'estero, e in particolare in Occidente, Kinoshita è certamente uno dei più importanti registi giapponesi del dopoguerra, al pari di mostri sacri come Kurosawa, Ozu e Mizoguchi, e pertanto un protagonista del cinema locale di quel periodo. E questo Ventiquattro occhi, insieme al successivo La leggenda di Narayama, può essere tranquillamente considerato il vertice della sua arte.
Un'opera profonda e toccante, che, come tipico dello stile del regista, procede a ritmo sostenuto e pacato, utilizzando ampiamente long takes e campi e piani medi e lunghi, per narrare la propria storia, e controllare così abilmente il gran numero di personaggi, offrire un minimo approfondimento di diversi di loro e soprattutto offrire l’occasione all’ottima fotografia di Hiroyuki Kusuda di mostrare allo spettatore lunghe riprese di paesaggi che talvolta paiono quasi dipinti.
La sceneggiatura di Kinoshita, ispirata all’omonimo romanzo di Tsuboi, rende presente la storia senza mai porla in primo piano, mostrando invece e unicamente gli effetti che il progredire degli eventi hanno sulle vite dei protagonisti, e costruendo così un affresco delicato ma mai veramente nostalgico del Giappone di quegli anni, colto in una delle fasi più tragiche della sua vicenda storica.
La nostalgia che si può avvertire lungo il film è rivolta al tempo perduto e alla perdita degli affetti e dei legami, nell’ambito di un infantile speranza di poter tornare indietro ad un periodo in cui se non si stava proprio benissimo, almeno si stava tutti insieme (toccante, a questo proposito, la vicenda di Matsue), questo è vero, ma mai il regista sembra realmente suggerire, tra le righe, di credere alla possibilità (oltreché all’opportunità) di recuperare una supposta passata “età dell’oro” e mai, di conseguenza (al contrario di quanto pare qualcuno abbia sostenuto al tempo dell’uscita) assume un atteggiamento assolutorio o poco deciso nei confronti di quell’epoca. Diversi dialoghi e situazioni all’interno del film (emblematici gli incontri con un preside freneticamente preoccupato di seguire le direttive), si rilevano a volte neanche troppo sottili stoccate al clima politico imperialista e militarista di quegli anni.
Ma si tratta di brevi spezzoni, poche scene all’interno del quadro più ampio di un film di oltre due ore e mezza che per la gran parte della sua durata si concentra invece sui sentimenti e le relazioni che si instaurano sia tra i dodici bambini che tra i bambini e la loro maestra (trascinante, tra le altre, la sequenza in cui si imbarcano in un lungo viaggio per andarla a trovare).
Maestra che, inizialmente, per i suoi modi (osa addirittura guidare una bicicletta!) e il suo modo di abbigliarsi, non viene affatto ben accolta dalla piccola e chiusa comunità dell’isola (e questo particolare, seppur di sottecchi, offre spunti di riflessione su un altro aspetto di quei tempi, ovvero la condizione della donna e lo stupore ancora presente, quantomeno nelle aree rurali, di fronte a qualunque cosa moderna o, ancor di più, occidentale).
A tratti quasi un musical, lungo il suo corso il film fa largo uso di canzoni e canzoncine (cantate in coro dai ragazzi) che contribuiscono a creare l’atmosfera e a smuovere lo spettatore nelle scene più drammatiche, a trasmettere alternativamente una gioiosa vitalità o una profonda tristezza. E se talvolta pare lì lì per cedere al patetismo, sempre si dimostra al contrario in grado di suscitare autentica commozione.
Ventiquattro occhi è un capolavoro umanista e pacifista, un film, come detto, pacato eppure potente, recitato benissimo dalla protagonista Hideko Takamine (una delle più celebri attrici nipponiche e sorta di musa per il regista Mikio Naruse) ma anche dai ragazzini, un’opera di grande rilevanza, emblematica di una delle fasi più fertili del cinema giapponese (al pari di molto più celebri e celebrati film come I sette samurai e Viaggio a Tokyo).
Presentato al festival di Venezia nel 1955, molto popolare (in patria) al tempo dell’uscita, col tempo è stato scandalosamente relegato in secondo piano e semi-dimenticato e, altrettanto scandalosamente, in Italia non è mai stato neppure distribuito. Da recuperare assolutamente su DVD straniero, restaurato dalla benemerita Criterion.
Remake a colori (introvabile) di Yoshitaka Asama nel 1987.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a laurence316 »
[ - ] lascia un commento a laurence316 »
|
|
d'accordo? |
|
gianleo67
|
lunedì 12 marzo 2018
|
una maestra chioccia nel giappone che cambia
|
|
|
|
Il primo impatto con la scuola per la giovane Oishi e per i suoi piccoli alunni nell'isola di Shodoshima è una comunione di sentimenti e di solidarietà che consoliderà un legame lungo tutta una vita. Trascorsi vent'anni da quell'esperienza meravigliosa, verrà il momento di tracciare un bilancio che, tra lutti e disillusioni, confermerà la reciprocità di un sentimento e la memoria di una foto di gruppo che il tempo sembra non aver scolorito affatto.
Affresco corale e accorato, accordato sul registro di una delicata elegia, il racconto di formazione di Kinoshita si attarda nella nostalgica cronologia della memoria ai margini della periferia insulare dell'impero, raccontando, attraverso gli occhi di bambini che crescono insieme alla loro maestra, le difficili trasformazioni economiche e sociali di una nazione a cavallo tra due guerre e adombrando una scoperta insofferenza verso le restrizioni di una galoppante ideologia marziale, nel contrasto tra le ansie di una sensei in pena per il futuro di giovani destinati al fronte e le vessazioni di una ottusa cultura della delazione e del sospetto che la tallona da presso.
[+]
Il primo impatto con la scuola per la giovane Oishi e per i suoi piccoli alunni nell'isola di Shodoshima è una comunione di sentimenti e di solidarietà che consoliderà un legame lungo tutta una vita. Trascorsi vent'anni da quell'esperienza meravigliosa, verrà il momento di tracciare un bilancio che, tra lutti e disillusioni, confermerà la reciprocità di un sentimento e la memoria di una foto di gruppo che il tempo sembra non aver scolorito affatto.
Affresco corale e accorato, accordato sul registro di una delicata elegia, il racconto di formazione di Kinoshita si attarda nella nostalgica cronologia della memoria ai margini della periferia insulare dell'impero, raccontando, attraverso gli occhi di bambini che crescono insieme alla loro maestra, le difficili trasformazioni economiche e sociali di una nazione a cavallo tra due guerre e adombrando una scoperta insofferenza verso le restrizioni di una galoppante ideologia marziale, nel contrasto tra le ansie di una sensei in pena per il futuro di giovani destinati al fronte e le vessazioni di una ottusa cultura della delazione e del sospetto che la tallona da presso. La figura di una giovane maestra chioccia assurge quindi a coscienza morale di un popolo che affronta con coraggio e solidarietà le offese di un paese povero trascinato a forza nella follia della guerra, di una curatela sentimentale che ricapitola attraverso le proprie vicende private vent'anni di storia del Giappone come solo 'La Cerimonia' di Oshima (critico letterario e grande estimatore del regista, prima che grande autore conosciuto da tutti) avrebbe saputo fare quasi vent'anni dopo. Dalla veloce panoramica di carrellate orizzontali, quadri fissi di suggestiva resa figurativa e l'agile montaggio di dissolvenze incrociate, Kinoshita alterna la fedele rappresentazione di una economia di sussistenza (cavatori, pescatori, massaie o umili maestri) alla struggente bellezza di pagine da libro cuore, rimarcando così gli indissolubili legami affettivi di una stagione irripetibile, nel segno di una tradizione di valori e di rispetto destinata alle inevitabili trasformazioni del tempo che passa e degli stravolgimenti culturali di una civiltà operosa e pacifica commissariata dalla politica coloniale nipponica in Cina prima e dalle potenze occidentali negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra modiale dopo. Emblematica, per centralità nell'economia del racconto e per il suo valore simbolico, la scena in campo lungo del funerale dell'anziana madre di Oishi: la composizione simmetrica di un corteo funebre che taglia in due la placida distesa di un campo di grano, stagliandosi sullo sfondo della lugubre teoria di lapidi di un cimitero del tempo di guerra.
Lo shomin-geki per Kinoshita non è mai stata una questione solo di tradizione, ma il duttile strumento attraverso cui interpretare compiutamente il proprio tempo: uno sperimentalismo formale che porterà alle estreme conseguenze solo nei lavori successivi, ma che accompagna sempre con il rigore di una raffinata perizia tecnica; con lo stile classico di chi sa toccare le corde più profonde della commozione e della poesia, senza cadere nei facili inghippi del sentimentalismo più spicciolo e convenzionale.
Assistiamo allora alle commoventi pagine di un diario degli anni verdi (come avrebbe detto Cronin), vissuto nella delicatezza di un legame affettivo che rinsalda il suo imprinting sin dal più classico degli appelli di classe (dove, tra campo medio e primi piani, già emergono i caratteri di piccole anime tenute a battesimo negli affettuosi nomignoli che si sono dati), per proseguire con gli intermezzi di scanzonati (e poco canonici) cori d'infanzia che rimandano alle esperienze musical dei suoi primi successi (Carmen) ed alle delicate sfumature di una solidarietà umana che legherà per sempre i cuori di giovani vite destinate alla dolorosa dispora dell'età adulta.
Nel canto d'addio nel cortile della scuola e nella foto di gruppo di una classe felice, l'epilogo di una esperienza irripetibile ed il testimone di un passaggio generazionale che non raccoglierà più nessuno: gli alunni destinati ai diversi mestieri di un'epoca grama o alla morte prematura nei campi di battaglia e la maestra in dolce attesa che sente per il figlio che porta in grembo, per quelli che verranno e per quelli che vede partire la necessità di un destino migliore, l'obbligo morale di una vita diversa. Nella reuniun di classe due decenni dopo, il regalo di una bici per chi deve istruire la nuova generazione dei figli degli allievi ed una classe superstite di quasi sole donne dove il reduce Sonki, rimasto cieco, ricorda a memoria la disposizione dei compagni di scuola nel ritratto d'infanzia che ciascuno di loro si porta nel cuore.
Si piange a dirotto da entrambi i lati dello schermo cinematografico, anche per via di attori bambini di commovente naturalezza e per la luminosa bellezza della diva Takamine, già musa canterina nel primi successi internazionali di Kinoshita e indimenticata protagonista al servizio,tra gli altri, di maestri come Naruse (Inazuma, Ikigumo), Ozu (Munekata Kyodai) e Gosho (Entotsu no mieru basho). Golden Globes come miglior film straniero, Blue Ribbon Awards e Kinema Junpo Awards 1955. Remake filologico a colori del 1987 di Asama Yoshitaka, purtroppo introvabile.
Passeggiando sulla spiaggia il mattino,
ricordare vecchie cose passate,
il rumore del vento, la forma delle nuvole,
il frangersi delle onde e il colore dei remi
Camminando sulla spiaggia la sera,
ricordare la gente dei tempi passati,
il continuo andare e venire delle onde,
il colore della luna e le stelle.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gianleo67 »
[ - ] lascia un commento a gianleo67 »
|
|
d'accordo? |
|
|