
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Italia |
Durata | 75 minuti |
Regia di | Stefano Di Polito |
Attori | Alessandro Haber, Antonio Catania, Giorgio Colangeli, Tiziana Lodato, Carlo Marrapodi Mariella Fabbris, Mimmo Calopresti, Pietro Delle Piane, Franco Barbero, Flavio Baro, Cesare Scova, Clio Calopresti, Don Luigi Ciotti, Eva Maria Cischino, Cristina Cosentino (II), Stefano Di Polito, Natalia Kachura, Domenico Locandro, Johnny Palomba (II), Enzo Russo, Lorenzo Ventavoli, Lucrezia Verde, Clara Voglino, Mirella Voglino. |
Uscita | giovedì 27 agosto 2015 |
Distribuzione | Minerva Pictures Group |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,01 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 17 agosto 2015
Tre pensionati trasformano la loro vecchia fabbrica abbandonata in un Lunapark per realizzare il loro sogno di riavvicinare i nipotini al quartiere. In Italia al Box Office Mirafiori Lunapark ha incassato 8,4 mila euro .
CONSIGLIATO NÌ
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Franco, Delfino e Carlo sono amici da sempre e in pensione da troppo. Tra una passeggiata per il quartiere e le discussioni a tavola coi figli, che cercano lavoro, lo perdono o lo scansano, i tre pensionati decidono di occupare la fabbrica dove per trentacinque hanno lavorato, scioperato e lottato. Operai alla Fiat Mirafiori, che produceva la 131 e la Uno col motore Fire, Franco, Delfino e Carlo vorrebbero ridare a quella fabbrica, dismessa e dimenticata, respiro e dignità. Ma i loro antichi padroni ancora una volta metteranno in cassa integrazione le loro speranze, intimidendoli e allontanandoli dalla fabbrica. Solo i nipotini sembrano comprendere la struggente bellezza della loro avventura. E per loro Franco, Delfino e Carlo realizzeranno un sogno ludico, un'area recuperata in cui sia ancora possibile pensare il futuro.
Torino e Milano hanno dovuto affrontare negli anni un duro processo di deindustrializzazione. Una dopo l'altra le fabbriche che avevano costruito (e definito) le rispettive città e dato lavoro a migliaia di torinesi, milanesi e immigrati, come la Vincenzina di Enzo Jannacci o il Ciro di Visconti, hanno chiuso i cancelli. Le tute blu della Fiat e quelle rosse dell'Alfa Romeo sono sfumate per sempre. Le zone industriali sono diventate aeree dismesse e sui quartieri affollati di vita e sature di rumori, di nebbia, di fumo delle ciminiere e di operai che iniziavano o finivano il proprio turno, è calato un silenzio assordante. L'operaio insieme all'ideologia, la lotte di classe, la coscienza di classe appartiene ormai a un lessico scaduto e inadatto. Le questioni oggi vengono articolate con un linguaggio nuovo e più vicino alla realtà sociale e alle sue concrete dinamiche.
E in questo contesto abita Mirafiori Lunapark, opera prima di Stefano Di Polito, che indaga il doloroso e traumatico passaggio di Torino da città industriale a città postindustriale. Precipitati i suoi tre protagonisti, ex operai della Fiat, nel quartiere Mirafiori, sorto intorno all'omonima fabbrica, il regista svolge la loro esistenza travolta dalla globalizzazione. Rottamati come le vecchie vetture Mirafiori e incompresi in famiglia, Franco, Delfino e Carlo sono la memoria e il cuore di un mondo metalmeccanico, di un sapere sulla fabbrica in tutte le sue articolazioni. Il quartiere Mirafiori come loro non aveva altro ritmo sociale e fisiologico che non fosse quello della fabbrica e di quel ritmo i protagonisti di Alessandro Haber, Antonio Catania e Giorgio Colangeli hanno nostalgia.
Per questa ragione occupano la fabbrica, sognando una riqualificazione degli spazi abbandonati e delle loro vite improduttive. Se il soggetto di Di Polito è urgente, generoso e nobile, nondimeno la sua drammatizzazione annulla le buone intenzioni e realizza un'operetta naïf, che non prova nemmeno a immaginare nuovi modi di produzione del visivo. Personaggi elementari, dialoghi ordinari, comprimari improvvisati, voce fuori campo, e sempre ridondante nel cinema italiano, producono effetti nefasti che inficiano la storia che vogliono raccontare. Una storia sul ritorno del passato nella forma dell'ossessione (Franco) o in quella della nostalgia (Carlo), una storia ancora sulla necessità di fare i conti con il ricordo, quello depositato nella memoria collettiva e quello che galleggia nella memoria neuro-biologica individuale.
A mancare alla favola semplice narrata da Mirafiori Lunapark è la complessità della messa in scena o anche solo di un'idea di messa in scena. Incapace di riplasmare i vecchi saperi dentro la complessità dei nuovi linguaggi, Mirafiori Lunapark si limita a riprodurre formule e procedure che si trasferiscono in modo inerziale dal piccolo al grande schermo. Eppure Mirafiori Lunapark aveva la possibilità di riconvertire con gli stabilimenti sgombrati anche il linguaggio con cui li occupa, li espone e li favoleggia fino a un epilogo di imbarazzante buonismo. Un finalino che 'abbraccia' ex operai e padroni sempre spavaldi e fanfaroni, ritirandosi nella formuletta, abusata come la voce over, degli "italiani brava gente".