Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | USA |
Durata | 94 minuti |
Regia di | Josh Safdie, Benny Safdie |
Attori | Caleb Landry Jones, Eleonore Hendricks, Arielle Holmes, Yuri Pleskun, Ron Braunstein . |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento lunedì 11 maggio 2015
Harley e Ilya sono belli, giovani e dannati. Consumati dall'amour fou e dalla droga, si trascinano attraverso la città elemosinando continuamente una "dose" di affetto. Al Box Office Usa Heaven Knows What ha incassato nelle prime 9 settimane di programmazione 80 mila dollari e 15 mila dollari nel primo weekend.
CONSIGLIATO SÌ
|
Harley ama Ilya di un amore cieco e maniacale, folle e maledetto, come in un film, come una droga.
I fratelli Safdie, filmakers newyorkesi, hanno conosciuto Arielle/Harley mentre faceva un lavoretto temporaneo e viveva ancora per strada, a 19 anni, consumata dalla passione per il misterioso Ilya e dall'uso dell'eroina, che li stringeva in un doppio legame.
Arielle Holmes stessa e Caleb Landry Jones, giovanissimo attore noto per le sue immersioni pericolose nei ruoli che accetta, sono i belli e dannati di Heaven knows what, adattamento delle 150 pagine di memoir che Arielle ha scritto a pezzi, nei tanti Apple Store di New York, su richiesta dei due registi.
Non si può non rimanere coinvolti, pressoché travolti dal film, grazie a queste premesse e allo stile visivo adottato, in contatto a dir poco ravvicinato con la vita della strada, con la testardaggine dell'autodistruzione, il mito romantico che l'avvolge e la nutre, la confusione mentale e l'appetito fisico che la conservano e la perpetuano.
Un'altra storia di "fattanza", certo, uguale a tutte le storie di fattanza, resa unica dall'obbiettivo di Sean Price Williams, dal viaggio tra la vita e la morte della muta narratrice, dalla specialità del suo sguardo. E dalla forza corrosiva del soggetto. Perché dietro l'alzata di mani al cielo del titolo, dietro la declinazione estrema dell'ambientazione umana e sociale, c'è una storia di amore più comune di quanto si possa immaginare: quell'amore abbagliante e immaturo che confonde la dipendenza con la felicità. Pur essendo il centro indiscutibile di ogni linea di dialogo e di azione, la droga in realtà è anche pretesto, il mezzo che permette al film di parlare delle dinamiche sentimentali di codipendenza, delle continue richieste che le caratterizzano, fino alle estreme conseguenze, e che con le altre tipologie di dipendenza stringono un patto privilegiato e nuziale.
Sembra che tutto scorra lento, ovattato e diritto verso la tragedia annunciata e in un certo senso perseguita. Ma al di sotto di questa linea retta, pronta a spezzarsi ad ogni sequenza, c'è un magma stratificato e complesso, fatto di una buona idea, di un azzardo non comune, di un mare di rischi tutti schivati, con delicatezza umana e artistica.
Josh e Bennie Safdie piegano la prassi della produzione per adattarla alle riprese urbane, compresse sotto un soppalco domestico o dentro il gabinetto di un McDonald's; mescolano homeless e scena artistica (Skully è Necro, "death rapper" e produttore discografico, mentre Mike lo spacciatore è Buddy Duress, sorta di "leggenda" dei marciapiedi di New York); combattono l'indifferenza del resto del mondo con inquadrature strettissime che al resto del mondo non lasciano spazio alcuno.