Henri

Film 2013 | Drammatico

Regia di Yolande Moreau. Un film Da vedere 2013 con Pippo Delbono, Candy Ming, Jackie Berroyer, Simon André, Gwen Berrou. Genere Drammatico - Francia, 2013, - MYmonetro 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento lunedì 6 maggio 2013

Yolande Moreau, la Madeleine Wallace resa celebre da Amélie esordisce alla regia di un lungometraggio, presentato nella "Quinzaine des réalisateurs" di Cannes 2013.

Consigliato sì!
3,25/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
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Critica
Premi
Cinema
Trailer
Costruito attorno all’idea di resurrezione fa esplodere il contenuto emotivo di una commedia che impiega il linguaggio della sconfitta per parlare di speranza.
Recensione di Marzia Gandolfi
domenica 26 maggio 2013
Recensione di Marzia Gandolfi
domenica 26 maggio 2013

Henri ha cinquant’anni e una bella moglie con cui conduce un’osteria. Emigrato in Belgio dall’Italia molti anni prima, cucina e alleva piccioni viaggiatori tra una birra e una chiacchierata con Bibi e René, amici e clienti assidui del suo locale. La morte improvvisa della moglie lo persuade ad assumere qualcuno che lo aiuti ai tavoli. La figlia gli suggerisce Rosette, una donna semplice che vive in un ricovero per persone disabili. Rosette, dedita e sensibile, impara in fretta il mestiere innamorandosi di Henri. Baciata sulla guancia da Henri in una sera di dolore ed ebbrezza alcolica, la ragazza si convince di essere incinta dell’uomo che ama. Redarguito e ammonito dall’assistente sociale, decisa a verificare la presunta gravidanza di Rosette, Henri si allontana qualche giorno infilando la via del mare. Lo accompagna Rosette, ostinata in quell’amore a cui Henri finirà per cedere dolcemente.
A ispirare Henri è “Innocent When You Dream”, canzone di Tom Waits che invoca le braccia e l’amore di chi tanto tempo prima ci stringeva e amava. E le canzoni, quella di Umberto Tozzi (“Ti amo”) e quella di Petula Clark (“La Nuit n’en Finit Plus”), sono contrappunto importante alle immagini di una commedia sentimentale che non somiglia in nulla all’ordito di anticipazioni, incidenti, dilatazioni e climax che regolano ogni progressione romantica. Quello che vediamo sono volti scrutati da vicino, quello che sentiamo sono conversazioni instabili in cui si sprofonda o si sfugge. Henri, secondo lungometraggio dell’attrice belga Yolande Moreau, elabora un tessuto umano non convenzionale, assunto senza giudizio e con empatia, che innamora i protagonisti contro ogni logica. Perché Henri ha cinquant’anni e un senso di colpa, quello di ‘aver spezzato il cuore’ alla donna che amava, Rosette ha trent’anni e una deficienza mentale che non le impedisce di sognare il primo bacio. Caparbia e sincera, Rosette incrinerà il disincanto di Henri, che Pippo Delbono recita fin dentro le ossa. La sua sgraziata inermità, in equilibrio tra verità e performance, fa sembrare le parole necessarie a raccontarla inadeguate. Protagonista dei palcoscenici italiani e internazionali, autore di film e documentari, Delbono è espressivamente originale e completamente fuori formato rispetto alle classiche e opache tecniche di recitazione. Il suo corpo fa parlare l’esistenza sommersa di chi è abituato a portare il peso della propria marginalità, diventando motore di una scelta di cinema agito nei quartieri popolari e abitato da eroi isolati condannati a perdersi in amori ed eventi infelici a causa della spietatezza degli uomini o delle avversità del destino. Yolande Moreau, anarchica e granitica nel cinema di Gustave de Kervern e Benoît Delépine (Louise-Michel), riconosce la dimensione malinconica dell’attore italiano e la sprofonda nello sconforto esistenziale della provincia belga, dove il miracolo ha l’amabile soavità di Candy Ming. La sua Rosette ha una forza che può diventare debolezza e bersaglio della malvagità circostante ma che la regista contiene rappresentando una struttura comunitaria di sostegno. È lo slancio verso l’altro che dà senso alla vita, esaudendo la voglia di rinascere. Henri è di fatto costruito attorno all’idea di resurrezione, senza trascurare il dramma dell’emarginazione, che fa esplodere il contenuto emotivo di una commedia che impiega il linguaggio della sconfitta per parlare di speranza. La notte, quella infinita di Petula Clark, qualche volta può finire aprendo le traiettorie chiuse del protagonista finalmente ubriaco d’amore.

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