The Deep Blue Sea

Hester Collyer, moglie di un attempato giudice della corte suprema, trascorre una vita agiata nella Londra degli anni Cinquanta quando per caso conosce un ex-pilota della Raf di cui s'innamora perdutamente. Sfida le convenzioni, lascia il marito e va a vivere in una stanza in affitto con l'amante alcolizzato, scoprendo presto le insidie e le difficoltà di un sentimento capace di divorare ogni cosa.
Tratto dall'omonima pièce teatrale del commediografo Terence Rattigan, già portata sullo schermo da Anatole Litvak in Profondo come il mare (1955) con Vivien Leigh e da Anton Giulio Majano in Il profondo mare azzurro (1969), The Deep Blue Sea è un melodramma che sembra voler rimanere al di fuori del tempo. Come altre opere di Terence Davies, esploratore della memoria e autore - come è stato definito - di "ricerche del tempo perduto", è pregna di un continuo senso di malinconia, ricordi e rimpianti, momenti di trascinante passione, colori densi, movimenti di macchina guidati da un'emozione palpabile, con solo un filo di manierismo rispetto ai migliori lavori del cineasta, si pensi al magnifico (oltreché autobiografico) Terence Davies Trilogy oppure a Voci lontane... sempre presenti.
Come nei precedenti lungometraggi, il passato detta l'ispirazione per un film sull'amore, corrisposto, desiderato, distruttivo, in cui la musica d'epoca, che spesso sembra voler sospendere la narrazione, va dritta al cuore specchiandosi in un volto di donna da cui vedere il mondo, nella rappresentazione di un universo maschile violento o meschino, nei sonetti di Shakespeare o nello scorcio di una città ancora devastata dalla guerra. Anche a livello di forma, la memoria del cinema che fu agisce sull'ispirazione stilistica in un lavoro apertamente debitore dell'estetica del melodramma, attingendo a titoli come Secondo amore (1955) e Magnifica ossessione (1954) di Douglas Sirk, L'amore è una cosa meravigliosa (1955) di Henry King, L'ereditiera (1949) di William Wyler o Lettera da una sconosciuta (1948) di Max Ophüls. Inclassificabile e passionale, elegiaco e autobiografico anche quando si ispira a fonti preesistenti com'è in questo caso, Davies torna al cinema di finzione a più di un decennio dal raffinato La casa della gioia (2000).
Presentato in Italia all'interno di un Focus dedicato alla Gran Bretagna del Festival Internazionale del Film di Roma del 2011 e mai distribuito nelle sale. Perfetta la performance di Rachel Weisz, donna fragile e risoluta, vittima di una passione che ha le sembianze di un preciso Tom Hiddleston. Bellissima la fotografia di Florian Hoffmeister. 