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Dal soggetto non originalissimo ma adeguatamente sviscerato, con l'aiuto di una fotografia superbamente curata, Konstantin Sergeevič Lopušanskij mette in scena un'opera di valore indubbio, nella quale vengono ben illustrate ipotesi e posizioni, per giungere ad una conclusione coerente e dall'alto valore poetico, nonché pratico.
Immerso in una realtà dove all'oscurità delle splendide esterne fa da contraltare l'illuminazione delle menti degli abitanti, il nostro Viktor Banev (ben interprato da un convinto Gregory Hlady) funge da ideale raccordo tra un pragmatico e spietato realismo dell'esistenza terrena ed un idealismo virtuale e faticosamente applicabile di un ristretto gruppo di menti eccelse. In questa dialettica, ben sottolineata da un registro dei dialoghi adeguato, il nostro si muove con sapienza ed intelligenza, cercando altresì di riallacciare quei legami familiari sacrificati sull'altare della brillante carriera da romanziere.
Una narrazione riflessiva, basata su di un ritmo lento ma costante, conduce ad un epilogo, come già detto, di notevole impatto.
Da non mancare.
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