Le promesse per un film dal grande impatto c'erano tutte:un regista rivitalizzato da un ultimo film di buon livello in grado di riproporne esaustivamente i dettami e i vezzi stilistici originari(il sorprendente Rock 'n' rolla) e dal diradarsi delle nubi private, sensazionali scenografie vittoriane che madidano di nebbie esoteriche e un cast assai spigliato e ben amalgamato,con un autoironico un Jude Law, una sensualissima Rachel McAdams, un corpulento Mark Strong nel ruolo di un improvvisato supercattivo "a tutto schermo" e un Robert Downey jr, stilizzatissimo, stringato, fuggiasco e sardonico che, oltre a fornire una prova fisica eccelsa e una irresistibile caratterizzazione attoriale del personaggio da vero artista bohemien , avvolge Holmes in una aura da inguaribile saltimbanco, così da far risplendere il detective di Conan Doyle di una sorprendente luce decadente.Ahinoi, però, tutti questi meravigliosi presupposti si sgretolano facilmente se inseriti in una dimensione funzionale a unavisione d’insiemedel film: resta la vena istrionica di Downey jr che con la sua barbetta ispida sembra strizzare l'occhio a un altro moderno risolutare di casi, il dottor House di Hugh Laurie, nonchè il gusto fotografico della pellicola, ma il risultato finale è deludente e autolimitante:Ritchie fa di tutto per far sì che dal film risalti la sua personale visione del personaggio di Holmes, ma i tempi di Lock & Stock e Revolver sono lontani, il buon Guy non è certo Tarantino nel mixare i dialoghi, molti dei quali scantonano ben presto nella logorroica, straniante e autoreferenziale faciloneria risolutiva di inspiegabili fenomenali oltretombali (la vera scommessa persa in questa rivisitazione di Holmes) e la sceneggiatura finisce con l’indurre effetti oppiacei non indifferenti dopo non molto; i duelli seppur molto suggestivi sono stantii, gli inframezzi musicali che li condiscono sembrano ora usciti dal duello spadaccino del primo Pirati dei Caraibi ora tesi a strizzare l’occhio allo spaghetti western, esulando però dal respiro epico che alcuni autori sanno conferire ancora oggi all’uso di queste indimenticate colonne sonore. La regia di Ritchie e più in generale la sua intera gestione del progetto affidatogli dal fumettista e graphic nowellist Lionel Wigram e in sé molto stimolante, appare in definitiva insufficiente e poco riuscita: il film zoppica non poco, l’intreccio scantona spesso in convenzionalismi narrativi in Conan Doyle a mio avviso del tutto assenti e lo spettatore, anziché rimanere inchiodato alla poltrona non vede l’ora di schiodarsene. Quando alla fine si assiste poi al fugace inserimento nella vicenda del professor Moriarty, il vero nemico di Holmes tralasciato in questo film a vantaggio del fantomatico Lord Blackwood, si capisce come in realtà sia già pronto un sequel da incanalare nella stessa operazione fumettopopcorn ai limiiti della godibilità.Frse mi ero illuso troppo confidando in una rivisitazione anticonvenzionale del personaggio di Conan Doyle che fosse maggiormente stratificata e in grado di andare oltre l’action,qalche risatina distillata qua e là e poco altro, ma d'altronde, vista la vena giocosa del cinema che Ritchieci ha finora proposto nei suoi sparuti progetti, forse il film non ha fatto altro che confermare le attese. Sarò forse troppo ortodosso o serioso ma secondo me era lecito aspettarsi da questo film un taglio davvero moderno che andasse oltre il divertissement, perfino da un autore come Guy Ritchie.
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