vanessa zarastro
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domenica 23 settembre 2018
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tra finzione e realtà
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“Una storia senza nome” è un film sul cinema, un film nel film, una storia nella storia. Ma stavolta, inusualmente, in un giallo divertente.
Valeria Tramonti (interpretata da Michela Ramazzotti) è una timida segretaria dalla doppia anima: a quarant’anni vive ancora con la madre e di giorno fa la segretaria in una casa di produzione cinematografica, ma la sera – e spesso per tutta la notte – da sfogo alla sua fantasia e scrive storie che poi non firma. In particolare negli ultimi dieci anni vive vicarously, scrivendo le sceneggiature al posto del suo amico ed ex fidanzato, un cineasta play boy Alessandro Pes (interpretato da Alessandro Gassman), che ha perso la vena creativa, facendogli ottenere riconoscimenti e premi.
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“Una storia senza nome” è un film sul cinema, un film nel film, una storia nella storia. Ma stavolta, inusualmente, in un giallo divertente.
Valeria Tramonti (interpretata da Michela Ramazzotti) è una timida segretaria dalla doppia anima: a quarant’anni vive ancora con la madre e di giorno fa la segretaria in una casa di produzione cinematografica, ma la sera – e spesso per tutta la notte – da sfogo alla sua fantasia e scrive storie che poi non firma. In particolare negli ultimi dieci anni vive vicarously, scrivendo le sceneggiature al posto del suo amico ed ex fidanzato, un cineasta play boy Alessandro Pes (interpretato da Alessandro Gassman), che ha perso la vena creativa, facendogli ottenere riconoscimenti e premi.
La storia gira attorno a un furto realmente avvenuto nel 1969: “La natività”, una tela con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi dipinta da Caravaggio, trafugata la notte tra il 17 e il 18 ottobre dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo e finita nelle mani della mafia siciliana e mai più trovata. Alberto Rak (interpretato da Renato Carpentieri) è un misterioso signore attempato che suggerisce a Valeria la storia narrata a brandelli tra flash-back e inserti in bianco e nero.
Ma alcuni mafiosi riconoscono alcune delle scene raccontate e cercano di trovare chi le abbia potuto sapere. Così ci andrà di mezzo Alessandro che continua ad affermare di esserne l’inventore e sarà massacrato di botte tanto da finire in coma. Seguiranno una serie di colpi di scena tra finzione e realtà montati con un bel ritmo, che non voglio raccontare per non togliere suspense e divertimento allo spettatore.
A questo punto Valeria subirà una trasformazione e diventerà una sexy detective che indagherà sulla vicenda sempre coadiuvata da Alberto Rak che si scoprirà essere un ex poliziotto in pensione. Forse Andò intende dire che è il ruolo stesso del cinema quello di essere esploratore della realtà.
Belle le scene ambientate sia a Roma sia in Sicilia come quelle girate a Villa Igiea a Palermo progettata da Ernesto Basile alla fine dell’Ottocento, e quelle suggestive riunioni di politici collusi con la mafia o radioguidati.
In “Una storia senza nome” troviamo vari riferimenti cinematografici, ad esempio Jerzy Kunze, il regista del film da girare è interpretato da Jerzy Skolimowski, il famoso regista di origine polacca degli anni Sessanta che ha innovato il cinema est europeo con il ricorso al piano sequenza e alla profondità di campo. Sia Valeria sia la madre Amalia (interpretata da Laura Morante), che nasconde vari segreti, sono delle ghost writer sono, in un certo senso, dietro la cinepresa invece che davanti. Alessandro Pes ogni tanto cita qualche frase estrapolata da film – guarda caso interpretati da Vittorio Gassman – come quello famoso de “La grande guerra”: «Mi ti disi propri un bel nient, hai capito, faccia de merda?» che porterà alla fucilazione.
Presentato fuori concorso al 75mo Festival Internazionale di Venezia è un film molto piacevole e divertente anche se i rapporti affettivi della protagonista analizzati da Andò, finiscono per essere minimizzati per la presenza di troppi personaggi che rende la trama po’ troppo ingarbugliata.
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alex2044
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lunedì 1 ottobre 2018
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cuore e tecnica , ricetta perfetta per un bel film
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Ho visto un bel film . Roberto Andò raramente ti delude . La sua regia è sempre tecnicamente impeccabile . Dal punto visivo le sue immagini sono sempre intriganti e gradevolissime e nei suoi film c'è sempre il guizzo ,l'idea che attirano l'attenzione dello spettatore . Nulla è lasciato al caso e gli attori sono diretti con mano ferma ma lasciando loro , al tempo stesso , la possibilità di esprimersi secondo le loro caratteristiche . Una storia senza nome è un giallo e la ricerca del mistero è presente anche nelle ambientazioni , curatissime ma non solo . I sentimenti contano , i rapporti interpersonali anche . I duetti madre / figlia , due splendide Laura Morante , Micaela Ramazzotti umanamente credibilissimi e molto convincenti così come sono molto bravi tutti gli attori principali ma le colonne portanti , insieme ad un bravissimo Renato Carpentieri , sono loro , due attrici duttili e di indubbio valore .
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Ho visto un bel film . Roberto Andò raramente ti delude . La sua regia è sempre tecnicamente impeccabile . Dal punto visivo le sue immagini sono sempre intriganti e gradevolissime e nei suoi film c'è sempre il guizzo ,l'idea che attirano l'attenzione dello spettatore . Nulla è lasciato al caso e gli attori sono diretti con mano ferma ma lasciando loro , al tempo stesso , la possibilità di esprimersi secondo le loro caratteristiche . Una storia senza nome è un giallo e la ricerca del mistero è presente anche nelle ambientazioni , curatissime ma non solo . I sentimenti contano , i rapporti interpersonali anche . I duetti madre / figlia , due splendide Laura Morante , Micaela Ramazzotti umanamente credibilissimi e molto convincenti così come sono molto bravi tutti gli attori principali ma le colonne portanti , insieme ad un bravissimo Renato Carpentieri , sono loro , due attrici duttili e di indubbio valore .
L'interesse non scema mai ma anzi , con il procedere del film l'attenzione irrobustisce la sua presa . Fino ad arrivare ad un finale che , seppur non originale , è quasi epico e con le sue sorprese e la sua eccezionale presa visiva . Tutti in silenzio anche durante i titoli di coda , segno , non solo di rispetto ma anche di ammirazione e poi si esce , felici , per aver visto un film molto bello , fatto da uno che il cinema lo adora e tutto questo si sente , si che si sente .
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maurizio.meres
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lunedì 24 settembre 2018
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una vecchia storia ancora irrisolta
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Un grazie al bravissimo regista Roberto Andó,il perché è molto semplice,in Italia abbiamo quasi tutti la grande dote di dimenticare,e per i più giovani l'assoluto disinteresse della conoscenza storica sia sociale che culturale,e se non ci fossero abili registi che ci fanno rivivere i momenti più importanti della nostra recente storia andrebbe tutto nel dimenticatoio con grande soddisfazione dei diretti interessati.
In questo film si può rivivere anche se marginalmente e non con un accanimento politico
una storia veramente accaduta e che può essere reputata uno dei più grossi fallimenti dello stato Italiano,il furto della natività del Caravaggio,nel film tutto é rimescolato ma la traccia dei fatti è pura realtà,con una gradevole dose di umorismo,fine e soprattuto ben distribuito.
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Un grazie al bravissimo regista Roberto Andó,il perché è molto semplice,in Italia abbiamo quasi tutti la grande dote di dimenticare,e per i più giovani l'assoluto disinteresse della conoscenza storica sia sociale che culturale,e se non ci fossero abili registi che ci fanno rivivere i momenti più importanti della nostra recente storia andrebbe tutto nel dimenticatoio con grande soddisfazione dei diretti interessati.
In questo film si può rivivere anche se marginalmente e non con un accanimento politico
una storia veramente accaduta e che può essere reputata uno dei più grossi fallimenti dello stato Italiano,il furto della natività del Caravaggio,nel film tutto é rimescolato ma la traccia dei fatti è pura realtà,con una gradevole dose di umorismo,fine e soprattuto ben distribuito.
Chi ha seguito negli anni le vicende di questo furto attraverso processi per mafia con coinvolgimenti politici e istituzionali,sa che tutto ciò che è stato detto non rispecchia la realtà,ma solo depistaggi,e finzioni rimarcate abilmente nel film.
Il sacrilegio culturale fatto su questa tela è talmente incancellabile che neanche la sua restituzione potrà mai estinguere.
Gli attori tutti ispirati,sembrano loro i veri personaggi ma questo significa una professionalità di adattamento attraverso una grande recitazione e convinzione nell'entrare nell'intimo dei vari personaggi,una menzione particolare va a Renato Carpentieri figura accattivante e intrigante,da quello stile noir al film.
Direi un film da vedere.
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michelecamero
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giovedì 27 settembre 2018
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effetto cinema?
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Il film è da vedere. A me è piaciuto forse anche più del dovuto, probabilmente perché dopo la pausa estiva gli appassionati di cinema hanno tanta voglia di farsi riprendere da quell’inspiegabile fascino del buio in sala che avvolgendoti ti fa sentire finalmente in pace col mondo, da portarli ad essere più ben disposti ed indulgenti verso le prime novità della stagione che va ad iniziare. Prende spunto da un fatto di cronaca accaduto cinquant’anni fa a Palermo dove la Mafia, all’interno di una Chiesa, organizzò il furto di un capolavoro del Caravaggio: la Natività. L’opera non è mai stata ritrovata. Se ne ignora il destino, nonostante di essa abbiano chiacchierato tanto anche i collaboratori di giustizia.
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Il film è da vedere. A me è piaciuto forse anche più del dovuto, probabilmente perché dopo la pausa estiva gli appassionati di cinema hanno tanta voglia di farsi riprendere da quell’inspiegabile fascino del buio in sala che avvolgendoti ti fa sentire finalmente in pace col mondo, da portarli ad essere più ben disposti ed indulgenti verso le prime novità della stagione che va ad iniziare. Prende spunto da un fatto di cronaca accaduto cinquant’anni fa a Palermo dove la Mafia, all’interno di una Chiesa, organizzò il furto di un capolavoro del Caravaggio: la Natività. L’opera non è mai stata ritrovata. Se ne ignora il destino, nonostante di essa abbiano chiacchierato tanto anche i collaboratori di giustizia. Andò, regista raffinato, ne ricava una storia immaginifica che io starei attento ad evitare di definire un giallo o un thriller perché a me pare una storia molto italiana di quelle che dopo un po’, restando insolute, si aggiungono al lungo elenco dei tanti misteri di questo Paese. Sembra quasi che voglia cogliere l’occasione di fare un omaggio al Cinema nelle sue varie sfaccettature, sia a quel mondo a volte pittoresco ed un po’ cialtrone della produzione dove probabilmente finiscono anche soldi sporchi per essere risciacquati, sia al prodotto finale, all’oggetto d’arte con tutte le citazioni alcune manifeste altre nascoste. Quasi un gioco dell’autore lasciato poi nelle mani di ogni singolo spettatore. Come, ad esempio, non pensare a Effetto Notte di Truffaut? E’ il cinema che si fa arte partendo dalla realtà ma rivisitandola con l’intelligenza, la fantasia, l’immaginazione per giungere ad una verità che non deve essere necessariamente quella storica o giudiziaria, ma più semplicemente o più ingarbugliatamente, la verità che il regista offre ad ogni spettatore la libertà di costruirsi da solo.
michelecamero
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jackmalone
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domenica 4 novembre 2018
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la sceneggiatura scritta dal pubblico
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Chi ama e conosce il cinema sa che il cinema è tecnica, buona scrittura e immagini; gli attori non sono sempre importanti, devono essere solo funzionali al discorso cinematografico. La tecnica deve essere stereotipata ed è scritta secondo regole rigide, ripetibili e scritte a tavolino secondo il un genere: sentimentale , comico,drammatico, thriller, azione.
Qui il regista partendo da un caso di cronaca vera arriva alla finzione ripercorrendo tutti i generi amati dal grande pubblico e dando l'impressione che la storia sia scritta dal pubblico stesso: ecco la storia di un amore non corrisposto che piace tanto, : ecco quella della figlia in cerca del padre che non ha mai conosciuto, ecco il misterioso personaggio con finale a sorpresa (prevedibile); ecco la critica sociale della connivenza della politica con le organizzazioni criminali, l'azione, i colpi di scena.
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Chi ama e conosce il cinema sa che il cinema è tecnica, buona scrittura e immagini; gli attori non sono sempre importanti, devono essere solo funzionali al discorso cinematografico. La tecnica deve essere stereotipata ed è scritta secondo regole rigide, ripetibili e scritte a tavolino secondo il un genere: sentimentale , comico,drammatico, thriller, azione.
Qui il regista partendo da un caso di cronaca vera arriva alla finzione ripercorrendo tutti i generi amati dal grande pubblico e dando l'impressione che la storia sia scritta dal pubblico stesso: ecco la storia di un amore non corrisposto che piace tanto, : ecco quella della figlia in cerca del padre che non ha mai conosciuto, ecco il misterioso personaggio con finale a sorpresa (prevedibile); ecco la critica sociale della connivenza della politica con le organizzazioni criminali, l'azione, i colpi di scena. Alla fine però niente è come sembra non perchè la storia non sia ben confezionata ma perchè la sceneggiatura è stata scritta, non dal famoso sceneggiatore ma da un' oscura collaboratrice probabilmente con contratto a termine e sottopagata consapevole che questa volta devre essere lei a condurre il gioco e solo lei lo può fare perchè solo lei conosce la tecnica di scrittura di tutti i generi e sa ciò che il pubblico vuole.
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loland10
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domenica 23 settembre 2018
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puzzle con furto
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“Una storia senza nome” (2018) è il sesto lungometraggio del regista-scrittore palermitano Roberto Andò.
Un film leggero, ironico, da commedia vestito in giallo, mistofelico e per certi versi godibile.
Già molto per una pellicola che tende molto a piacersi e a darsi arie vintage per instradare storie e volti, doppi e finti cloni nel cinema dentro il cinema prendendo spunto da un fatto reale e da luoghi ora bui, ora dolci, ora odor di mafia e ora odor di successo. È la droga del finto che vuole darci la spinta per vederci allo specchio. In modo irridente ma anche in modo stratificato parlando di doppi giochi e di corruzioni con misure diverse e idioti spudorati.
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“Una storia senza nome” (2018) è il sesto lungometraggio del regista-scrittore palermitano Roberto Andò.
Un film leggero, ironico, da commedia vestito in giallo, mistofelico e per certi versi godibile.
Già molto per una pellicola che tende molto a piacersi e a darsi arie vintage per instradare storie e volti, doppi e finti cloni nel cinema dentro il cinema prendendo spunto da un fatto reale e da luoghi ora bui, ora dolci, ora odor di mafia e ora odor di successo. È la droga del finto che vuole darci la spinta per vederci allo specchio. In modo irridente ma anche in modo stratificato parlando di doppi giochi e di corruzioni con misure diverse e idioti spudorati.
Il regista adocchia il ‘furto’ della Natività del Caravaggio (1969 a Palermo) da parte della mafia e di cui il mistero resta fitto per allargare, in modo a mo di arioso, sul fare un film da una sceneggiatura dettata e scritta per interposta persona, venduta e che darà fastidi al produttore e alla conclusione dell’intero film.
Per goderselo in platea in mezzo a tanti, in mezzo ai veri e agli attori che recitano il falso reso ironicamente vero.
Episodi incastonati quasi a puzzle con musiche roboanti che dettano cambi di registro o presunti svelamenti del cinema stesso. Marco Betta, tra modernismo e classicismo da camera, riesce a dare un piglio sui generis alla pellicola abbellendola dove poco c’è da dire dando quasi un timbro all’intera operazione dentro e dietro la macchina da presa.
I ritrovi e le porte semichiuse a Palazzo Chigi, gli incontri di cui non nessuno deve sapere, le nubi tra politica e mafia sono indignazioni ridanciane e scherzose dove il gusto della verità si trincera dietro a maschere e a patti di idiozia strisciante. Un modo retrò e classico, vivo e scanzonato che fanno della scrittura qualcosa di diverso dai soliti stilemi. Un film che appesantisce se stesso, parlando del proprio per cercare di alleggerirlo.
Certo chiudere il cerchio, dietro un’opera aperta alla scrittura del cinema, il farsi soggetto, i fogli che si fanno sentire tra le dita, la sceneggiatura in corso, il finale che manca non è semplice. Tra ghost writer e gioco, assegni e ciak, volti rigati e sangue, la mafia sta lì dentro e vuole nascondere il tutto fino ad una ‘Natività’ trafugata e ad oggi da mistero. Un film in cui l’ambizione fa spesso capolino e la ripresa spazia in ogni derivato di genere (con allerta per chi guarda).
Il cast variegato non è tutto all’unisono per la riuscita dell’intera operazione:
Micaela Ramazzotti(Valeria) non va oltre il suo personaggio, non riesce pienamente a centrarlo o meglio non è forse un’attrice che per un ruolo a tutto tondo non riesce a reggerlo per l’intero film?
Renato Carpentieri(Alberto Rak), invece, ruba la scena tutti: l’aria sorniona e suadente, vegliarda e ironica taglia lo schermo facendosi ricordare e bene. Una recita vigorosamente misera e umilmente incisiva. È il cursore del tutto (meno male…).
Alessandro Gassmann(Alessandro Pes) non coglie tutta la gamma del suo interagire. Si ha la sensazione di questo esserci e di piacersi troppo senza andare oltre. La verve non manca forse la regia pecca nell’inquadrarlo per bene…
Laura Morante(Amalia) è la nota a piè pagina, si potrebbe dire, della scrittura che si sta formando durante il film e del recitare verso una figlia che adocchia il produttore. Una madre che non sa nulla e si meraviglia (per il poco che desidera) di una storia intrigante e dentro le sue mura.
Antonio Catania(Vitelli) riesce a centrare il suo ruolo; un attore quasi mai adoperato pienamente nel cinema italiano. Sempre da spalla e riesce a venire fuori comunque. Complimenti.
Jerzy Skolimowski(Jerzy Kunze) fa se stesso e inquadra il set per darlo allo spettatore.
Gaetano Bruno(Diego Spadafora) ricuce in ogni dove per il suo nome sulle labbra dio molti.
Regia di ordinaria compiacenza e di fervore narrativo (i gusti di tanti generi).
Voto: 6½/10 (***).
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roberteroica
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venerdì 7 settembre 2018
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caravaggio
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#Venezia75 - UNA STORIA SENZA NOME - Fuori Concorso - Uno sceneggiatore in crisi, una segretaria dall'indubbio talento, un misterioso personaggio che suggerisce oscure trame tra quadri rubati e affari della mafia, un produttore ambiguo... Sciascia + il giallo rosa = Una storia senza nome, una felice realizzazione di Roberto Ando', ambientato tra Roma e la Sicilia come un nipotino nostrano di Hitchcock. Tutti in palla gli attori da Alessandro Gassman a Micaela Ramazzotti. Anche se il piu' bravo resta sempre Renato Carpentieri. Mezzo voto in meno pet l'infelice battuta contro Lars Von Trier. Voto: 7
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flyanto
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lunedì 1 ottobre 2018
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una storia alquanto ingarbugliata
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“Una Storia Senza Nome” del regista Roberto Andò è il titolo che viene dato al copione di un film in cui vengono narrati gli eventi che ruotano intorno al furto (realmente accaduto nel 1969) di un dipinto del Caravaggio in una Chiesa a Palermo da parte della Mafia locale e poi misteriosamente scomparso. Colui, anzi colei, che scrive tali copioni cinematografici di successo è in realtà la segretaria (Micaela Ramazzotti) di una casa di produzione la quale, in pratica, si sostituisce , senza però firmarsi, al vero sceneggiatore (Alessandro Gassman), da tempo in crisi creativa. Essendo la donna stata avvicinata da un misterioso signore anziano (la cui identità verrà svelata alla fine) che le ha rivelato il caso del suddetto furto e tutte le possibili sorti legate al famoso quadro scomparso, ella si trova coinvolta nella questione in prima persona, vivendo tutte le avventure che concernono tale vicenda misteriosa.
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“Una Storia Senza Nome” del regista Roberto Andò è il titolo che viene dato al copione di un film in cui vengono narrati gli eventi che ruotano intorno al furto (realmente accaduto nel 1969) di un dipinto del Caravaggio in una Chiesa a Palermo da parte della Mafia locale e poi misteriosamente scomparso. Colui, anzi colei, che scrive tali copioni cinematografici di successo è in realtà la segretaria (Micaela Ramazzotti) di una casa di produzione la quale, in pratica, si sostituisce , senza però firmarsi, al vero sceneggiatore (Alessandro Gassman), da tempo in crisi creativa. Essendo la donna stata avvicinata da un misterioso signore anziano (la cui identità verrà svelata alla fine) che le ha rivelato il caso del suddetto furto e tutte le possibili sorti legate al famoso quadro scomparso, ella si trova coinvolta nella questione in prima persona, vivendo tutte le avventure che concernono tale vicenda misteriosa. Da un tipologia di vita piuttosto piatta e banale, la donna, inizia a vivere un’esistenza movimentata ed avventurosa, da bruttina nell’aspetto e piuttosto tranquilla nell’animo, ella comincia a cambiare fisicamente divenendo sempre più attraente e tutto ciò che vivrà in prima persona verrà a costituire il prezioso materiale per il copione del film tanto atteso dallo sceneggiatore dalla casa di produzione cinematografica.
Una storia piuttosto movimentata ed a tratti anche parecchio confusa in cui domina la figura della protagonista che, in veste quasi di una sorta di Bond ‘in gonnella’, viene sempre più coinvolta in una serie di avvenimenti legati, appunto, all’intricato furto del dipinto di Caravaggio. Nella sua farraginosità il film si dimostra una grande delusione, nonostante le buone premesse, perchè nel corso dell’intero svolgimento della storia esso diventa come una semplice pellicola di soggetto spionistico, ricca di avventure movimentate e, la maggior parte, del tutto improbabili che sviliscono complessivamente il valore dell’opera. L’unico elemento di spicco e, dunque, da elogiare è dato dalla presenza dell’attrice Micaela Ramazzotti che sicuramente dà valore all’opera con la sua professionalità, riuscendo ad impersonare molto bene il graduale cambiamento fisico e caratteriale del proprio personaggio nel corso della vicenda.
Insomma, nel suo complesso, da ritenere come quasi un’occasione sprecata per il regista Roberto Andò. Peccato!
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marcello gobbi
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sabato 22 settembre 2018
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non manca solo il nome
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Sono entrato al cinema senza aspettative e sono uscito senz'anima. Era dai tempi di "Dark Shadows" che non mi capitava di rimanere incastrato così dolorosamente sul sedile della sala. La maggiore colpa del film è la scrittura: le intenzioni di stilizzazione e omaggio ai film noir sono evidenti ma non perdonano i buchi di logica e le reazioni strambe dei personaggi. *SPOILER*: a un certo punto un personaggio viene massacrato per un'azione non commessa da lui e di cui è ignaro, e dopo un coma profondo si risveglia all'improvviso, fresco come una rosa, e non solo è diventato comodamente un personaggio diverso--alla faccia dell'arco di trasformazione--ma sembra sapere improvvisamente chi lo ha massacrato, perché, e tutti i retroscena del caso.
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Sono entrato al cinema senza aspettative e sono uscito senz'anima. Era dai tempi di "Dark Shadows" che non mi capitava di rimanere incastrato così dolorosamente sul sedile della sala. La maggiore colpa del film è la scrittura: le intenzioni di stilizzazione e omaggio ai film noir sono evidenti ma non perdonano i buchi di logica e le reazioni strambe dei personaggi. *SPOILER*: a un certo punto un personaggio viene massacrato per un'azione non commessa da lui e di cui è ignaro, e dopo un coma profondo si risveglia all'improvviso, fresco come una rosa, e non solo è diventato comodamente un personaggio diverso--alla faccia dell'arco di trasformazione--ma sembra sapere improvvisamente chi lo ha massacrato, perché, e tutti i retroscena del caso. Insomma, la prossima volta che non ho chiaro un argomento vado in coma, sembra faccia miracoli.*FINE SPOILER* Un altro personaggio invece (che ho identificato con il nome "Deus ex macchina", comunque molto più memorizzabile del nome inventato dagli sceneggiatori) vorrebbe essere un ispettore Hitchcockiano caricato di mistero ma risulta nel prodotto finale un indigeribile misto tra Sherlock Holmes, Batman e Gesù: sa tutto, risolve misteri, torna dai morti, ha l'ubiquità, è ricchissimo, ha le microtelecamere (che dovrebbero essere invisibili ma che un'inquadratura del film ci mostra essere rosse lampeggianti ma vabbè, magia del cinema) e dà l'impressione di conoscere a memoria la Treccani. Come può interessarmi di un personaggio così perfetto e indistruttibile? Bah. Sul finale non mi pronuncio, ma basti dire che il pubblico del cinema, misericordiosamente scarno, si è diviso tra oltraggio (31%), parolacce ad alta voce (6%), "Eh?" (26%), "Ma dai!" (4%) e silenzio (29%)--nota: le percentuali rappresentano la realtà. Il rimanente aveva lasciato la sala alla sesta battuta di Gassmann. Arriviamo quindi alla recitazione. La Ramazzotti, che solitamente detesto per i suoi esecrabili tentativi di doppiaggio, mi ha positivamente sorpreso. Certo, il suo personaggio ha una madre che sembra sua sorella, ma quella è una colpa del casting e le due attrici fanno del loro meglio per convincerti di un loro vissuto, e spesso ci riescono. Quanto a Gassmann non mi è mai mancato così tanto suo padre. Il personaggio cambiava a ogni scena, le battute erano dette (non uso la parola recitate apposta) con un autocompiacimento che sembrava volerti convincere che lui, con la sua bella voce, la sceneggiatura l'avrà anche letta ma non è che si sia fatto più di due domande. Gli altri se la cavano con alti e bassi (soprattutto bassi) e ogni tanto attori bravi brillano come timide gemme su una pila fumante di sterco che fa arrabbiare perché la fotografia è splendida, le musiche meravigliose, e soprattutto con una premessa così poteva essere davvero una bellissima storia. E invece a questa storia, insieme al nome, manca la logica e--vera mancanza del film che vorrebbe essere un thriller--preoccupazione per la protagonista. Cari sceneggiatori, i tropes dei film noir non bastano a divertire la gente (o magari sì e non capisco nulla io, visto che questo film sembra apprezzato). Il personaggio deve essere in pericolo, deve creare empatia, non vagare da una parte all'altra come una medusa, passiva fino a dopo la metà del film, quando finalmente fa qualcosa ma non basta per tenerci sulle spine perché c'è Batman-Diabolik-Mandrake a salvarla da ogni situazione.
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flaw54
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domenica 23 settembre 2018
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non perfettamente riuscito ma.....
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film un po' confuso con personaggi talora non ben definiti ( Carpentieri per esempio ), ma accattivante, misterioso quanto basta e con la presenza della Ramazzotti che emana un fascino particolare. Gassman bravo, ma ripete sempre se stesso, la Morante di contorno. Personalmente il film é piaciuto pur con alcuni momenti deludenti: il risveglio dal coma di Gassmann e la riunione dei ministri per discutere del Caravaggio che sfiora il ridicolo. Però se tutti i film fossero così potremmo essere contenti. Andò poteva anche vincere la Palma d' oro a Cannes, visto che ha vinto una storia se a nome, un film da brividi!
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