davide chiappetta
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domenica 3 giugno 2012
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manieristico e retorico
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Dopo i corpi e la dignità, quello che crolla sotto i colpi di manganello è l'obbiettività e il distacco critico; l'imparzialità va in frantumi: cause e moventi tacciono annichiliti. Vicari sceglie di filmare la forza d'urto dell'abuso, il suo impatto emotivo, evitando (di poco) il documentarismo attraverso una costruzione narrativa labirintica, specchio del dedalo genovese. L'esercizio funziona benino fintanto che Vicari manipola le immagini, meno quando risponde svogliatamente alle esigenze di scrittura cercando punti di vista attraverso personaggi e psicologie irrilevanti. Documentaristico e cronachistico, inframmezzato da riprese originali, la denuncia appare manieristica, retorica e intrisa di partigianeria (vedi la figura dell'anziano).
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Dopo i corpi e la dignità, quello che crolla sotto i colpi di manganello è l'obbiettività e il distacco critico; l'imparzialità va in frantumi: cause e moventi tacciono annichiliti. Vicari sceglie di filmare la forza d'urto dell'abuso, il suo impatto emotivo, evitando (di poco) il documentarismo attraverso una costruzione narrativa labirintica, specchio del dedalo genovese. L'esercizio funziona benino fintanto che Vicari manipola le immagini, meno quando risponde svogliatamente alle esigenze di scrittura cercando punti di vista attraverso personaggi e psicologie irrilevanti. Documentaristico e cronachistico, inframmezzato da riprese originali, la denuncia appare manieristica, retorica e intrisa di partigianeria (vedi la figura dell'anziano). Cast corale in cui né Germano, né Santamaria incidono. I film di denuncia sociale sono altri. Vicario purtroppo non è Petri o Germi, è un mestierante che cerca la violenza (televisiva) per farsi notare. Stordente.
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diomede917
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sabato 14 aprile 2012
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non è il cile.....
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Il 21 Luglio del 2001 tra le 22 e mezzanotte all’interno di uno Stato democratico i diritti umani son stati calpestati, umiliati e massacrati….quella notte alla Scuola Diaz verrà ricordata per sempre come la Macelleria messicana (termine usato dal vicequestore Michelangelo Fournier).
Diaz parla dei giorni che hanno preceduto quell’evento, parla di una maledetta bottiglia di vetro lanciata contro una pattuglia della polizia….una bottiglia vista da diverse angolazioni ma che ha portato a un’unica conseguenza…..
Tralasciando gli aspetti politico-ideologici quello che colpisce di Diaz è proprio il taglio cinematografico….il talento di Daniele Vicari intravisto in Velocità Massima (la sua opera d’esordio) e ancora inespresso nei due film a seguire qui esplode….
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Il 21 Luglio del 2001 tra le 22 e mezzanotte all’interno di uno Stato democratico i diritti umani son stati calpestati, umiliati e massacrati….quella notte alla Scuola Diaz verrà ricordata per sempre come la Macelleria messicana (termine usato dal vicequestore Michelangelo Fournier).
Diaz parla dei giorni che hanno preceduto quell’evento, parla di una maledetta bottiglia di vetro lanciata contro una pattuglia della polizia….una bottiglia vista da diverse angolazioni ma che ha portato a un’unica conseguenza…..
Tralasciando gli aspetti politico-ideologici quello che colpisce di Diaz è proprio il taglio cinematografico….il talento di Daniele Vicari intravisto in Velocità Massima (la sua opera d’esordio) e ancora inespresso nei due film a seguire qui esplode….Diaz è come fosse la sua laurea in regia.
Fin dalla prima scena con questi vetri che si ricompongo capiamo che ci troviamo di fronte a un bel film girato da uno con due palle così.
Da un punto di vista narrativo ricorda l’impianto che Gus Van Sant fece con Elephant dove la tragedia è vissuta dalle diverse angolazioni dei suoi protagonisti.
La voglia di narrare i fatti del giornalista di destra interpretato da Elio Germano, il senso del dovere e il successivo smarrimento del poliziotto Claudio Santamaria, la saggezza del pensionato Renato Scarpa e le tante storie di quei ragazzi torturati sia fisicamente che psicologicamente senza un apparente motivo.
Vicari è bravissimo a rappresentare la tanta violenza presente nel film con fermezza senza gratuiticità.
Onestamente la potenza delle immagini di Diaz mi hanno levato le parole per poter fare una giusta recensione.
L’unica cosa che mi sento di dire è che Diaz è un grande film che va visto, vissuto e metabolizzato e poi finito il film fare come il sottoscritto….in silenzio, occhi umidi e capo chino per una pagina di storia che sembra uscire dal Cile di Pinochet e invece….
Voto 9
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[+] ottima recensione
(di bluesilk181)
[ - ] ottima recensione
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(di vyc2886)
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angelo umana
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domenica 15 aprile 2012
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lo sai che rischiamo di far 30 morti stasera, si?
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E’ stato interessante vedere il film dopo una presentazione in sala fatta dal regista Daniele Vicari e dal produttore Domenico Procacci. Vicari ha raccontato che dopo una proiezione a Palermo una giornalista locale gli ha scritto in privato ringraziandolo e raccontandogli che suo marito, poliziotto, quel 21-7-2001 non si trovò nella Scuola Diaz per puro caso, ma che se avesse dovuto partecipare a quella “mattanza” o “macelleria messicana”, era convinto che il loro matrimonio sarebbe terminato da un pezzo. Procacci ha detto che sentirono entrambi l’esigenza, regista e produttore, di realizzare quel film, non farlo sarebbe stato come dimenticare tutto ed invece, come il sottotitolo del film, “Don’t clean up this blood”.
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E’ stato interessante vedere il film dopo una presentazione in sala fatta dal regista Daniele Vicari e dal produttore Domenico Procacci. Vicari ha raccontato che dopo una proiezione a Palermo una giornalista locale gli ha scritto in privato ringraziandolo e raccontandogli che suo marito, poliziotto, quel 21-7-2001 non si trovò nella Scuola Diaz per puro caso, ma che se avesse dovuto partecipare a quella “mattanza” o “macelleria messicana”, era convinto che il loro matrimonio sarebbe terminato da un pezzo. Procacci ha detto che sentirono entrambi l’esigenza, regista e produttore, di realizzare quel film, non farlo sarebbe stato come dimenticare tutto ed invece, come il sottotitolo del film, “Don’t clean up this blood”. Il regista non pretende che si vada a casa dopo il film con una nuova verità, con la coscienza tranquilla per il semplice fatto di averlo visto, ma con maggiori dubbi e perplessità. Tutto è tratto dagli atti processuali, durante i quali le vittime di quel pestaggio hanno dovuto subire una seconda tortura raccontando in dettaglio quanto vissuto. Quell’azione fu una “grande cazzata” come dice a un poliziotto il personaggio di Renato Scarpa, l’anziano che nella Diaz cercava solo un dormitorio così come giornalisti (uno è Elio Germano) e volontari del Social Forum. Erano stanchi i poliziotti del “superlavoro” di quei giorni e caricati a molla dalle provocazioni e dalle violenze dei black-blocs, andavano cercando uno sfogo: l’occasione venne loro data da chi decise l’irruzione nella scuola, arrivato a Genova poco prima. Impressionante la scena dell’arrivo all’aeroporto con le immagini dell’aereo che plana, la scala che si apre come “il braccio” di un volatile e l’accoglienza deferente riservata a questa autorità che scende sulla pista. Erano esausti ormai pure tanti dimostranti e soprattutto qualche black-bloc cominciava ad andarsene, convinto di momenti pessimi in arrivo.
Patetica fu poi la ricerca di “corpi di reato” nella palestra dove dormivano persone incolpevoli, e i pretesti addotti prima e dopo l’attacco, penosa la conferenza stampa mentre i feriti venivano portati via in ambulanze, con la portavoce della polizia che indossa una maglietta Dolce & Gabbana e spiega l’inverosimile, che quelle ferite costoro se le erano procurate prima. L’invasione della Diaz sembra proprio un assalto di bufali dalla vista annebbiata di sangue, il rumore prodotto dagli scarponi è simile a quello della corsa di una mandria di bisonti pieni di livore, che “sembrano” non avvedersi, una volta dentro, di trovarsi di fronte a persone inermi e non a black-blocs, come pure penosamente e colpevolmente giustifica in televisione l’allora presidente del consiglio Berlusconi, l’uomo della realtà virtuale; altri campioni del momento furono Castelli, ministro della Giustizia, Fini, vice-presidente del consiglio presente nella Questura di Genova e Scajola, ministro dell’Interno, persona sempre sbagliata nel posto sbagliato. Tutti a coprire quella nefandezza e a raccontare delle “tremende” provocazioni subite dalla polizia; al processo furono pure svelate le violenze nella caserma di Bolzaneto contro gli arrestati o “zecche comuniste”. Certamente a quel G8 - inutile come tanti altri con le varie delegazioni a prevedere riprese economiche che ancora aspettiamo esasperati - un ruolo perverso fu giocato da infiltrati violenti che non vennero isolati.
Il film è ricco di originali flash-back e flash-forward, inquadra le stesse situazioni da punti di vista e persone diversi, vi sono molte riprese d’archivio, tutto questo lo rende più facilmente leggibile; la crudezza delle immagini e le riprese fanno sentire lo spettatore presente a quegli atti terribili. Il proposito “Don’t clean up this blood” è per ora raggiunto; gli autori auspicano che qualche autorità d’allora chieda scusa ai cittadini, sarà difficile vista la recente sentenza sulla strage di Brescia e a 43 anni da Piazza Fontana.
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(di angelo umana)
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sergio dal maso
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lunedì 22 giugno 2015
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diaz - per non dimenticare
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“Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso (….) penso che il male estremo non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca, può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo (….) esso sfida il pensiero, ma il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male è frustrato perché non trova nulla, questa è la sua "banalità"... solo il bene ha profondità e può essere integrale" Hannah Arendt La banalità del male (1963)
I fatti di Genova.
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“Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso (….) penso che il male estremo non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca, può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo (….) esso sfida il pensiero, ma il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male è frustrato perché non trova nulla, questa è la sua "banalità"... solo il bene ha profondità e può essere integrale" Hannah Arendt La banalità del male (1963)
I fatti di Genova.
Per dieci lunghi anni dai caldi giorni del luglio 2001 in cui successero i drammatici avvenimenti del G8 telegiornali e talk show ci hanno periodicamente e sinteticamente “informati” dei processi in corso in cui
sono stati rinviati a giudizio (e poi condannati) “manifestanti devastatori” e “alcuni poliziotti che hanno reagito in modo troppo duro”. Frasi come i fatti di Genova e l’irruzione alla Diaz sono state ripetute in ogni servizio televisivo come un intercalare. Lo schema black block delinquenti – reazione eccessiva di alcuni reparti della polizia ha finito col riassumere sbrigativamente tre giorni tra i più difficili dal dopoguerra, un passaggio atroce della storia italiana, un cortocircuito tremendo delle istituzioni democratiche. Come molte vicende oscure del nostro paese quello che è successo a Genova non è semplificabile in un servizio televisivo, dovendo includere fatti articolati, depistaggi, scelte politiche ed episodi non ancora chiariti.
Sicuramente la tragica morte del ragazzo Carlo Giuliani, a prescindere dalla valutazione delle responsabilità, ha assunto un significato simbolico enorme. Da quel momento è iniziato il tramonto del cosiddetto movimento dei movimenti no global che aveva riunito in corteo 300000 persone da tutto il mondo. Manifestanti appartenenti a realtà molto diverse come i gruppi antagonisti, i movimenti pacifisti, sindacali e del volontariato, tutti uniti nel Genova Social Forum per affermare che “un altro mondo è possibile”. Certo, c’era anche un migliaio (forse poche centinaia, ma cambia poco) di delinquenti, i black block con spranghe e passamontagna che hanno devastato indisturbati il centro di Genova saccheggiando e distruggendo auto, negozi e banche. Devastazioni che sono poi servite per giustificare la risposta della polizia e l’irruzione notturna nella scuola Diaz di 300 poliziotti massacrando e arrestando manifestanti innocui e pacifisti ritenuti pericolosi teppisti. L’irruzione alla Diaz e il pestaggio degno “di una macelleria messicana” (termine coniato dal vicequestore Fournier) rappresentano l’altro momento terribile del G8 genovese, l’incubo che per anni molti hanno cercato di cancellare o minimizzare.
Adesso che la verità processuale è stata pronunciata in modo definitivo, con la condanna di 25 poliziotti, la cui condotta violenta è stata definita dalla Corte di Cassazione “un massacro ingiustificabile che ha screditato l’Italia agli occhi del mondo”, è possibile ristabilire i fatti, raccontare cosa è successo nell’assalto notturno alla scuola Diaz e durante la raccapricciante detenzione dei 93 arrestati alla caserma di Bolzaneto.
Lo sconvolgente film Diaz di Daniele Vicari, bellissimo esempio di cinema di denuncia civile, ha proprio questo obiettivo : ricostruire e raccontare la verità dei fatti, sia della Diaz che di Bolzaneto. Per evitare strumentalizzazioni e inutili polemiche, che comunque ci sono state lo stesso, non si addentra in spiegazioni o dietrologie, né accusa mandanti occulti, si basa solamente sui fatti certificati dagli atti processuali, tutto è stato verificato scrupolosamente e ricostruito nei minimi dettagli. Dopo un lavoro di documentazione monumentale, il regista in due anni si è studiato le 10000 pagine agli atti e ha visionato centinaia di ore di immagini, la scelta è stata quella di raccontare i giorni di Genova attraverso il punto di vista di una decina di protagonisti. Storie vere, persone autentiche, come il giornalista Luca della Gazzetta di Bologna, l’anarchica tedesca Alma, il pensionato della CGIL Anselmo, il manager francese Nick a Genova per un seminario di economia. Vicende e percorsi diversi che convergono, purtroppo, la notte del 21 luglio nella sede del Genova Social Forum, la scuola Diaz.
La metafora della bottiglia che si frantuma, casus belli dell’assalto, ripresa più volte da angolazioni diverse e la costruzione elittica del film, che come un vortice silenzioso acquista coi minuti forza e potenza fino all’orrore dell’irruzione, danno a Diaz una carica emotiva spaventosa. La consapevolezza della veridicità delle scene, resa benissimo anche grazie al montaggio strepitoso che alterna immagini amatoriali e riprese filmiche, amplifica lo sgomento e il disagio dello spettatore. Siamo a Genova nel 2001, non nella Buenos Aires del 1977, non è il Garage Olimpo argentino ma una caserma italiana. E’ veramente difficile non indignarsi di fronte agli abusi compiuti nella scuola Diaz e nella caserma Bolzaneto. Personalmente ricordo che durante la visione il mio pensiero era “so che è vero, ma sono disposto a crederci ?”. Si resta increduli e tramortiti alla fine, purtroppo Diaz non è solo un film. Alcuni ex-leader del movimento di Genova lo hanno accusato di non (voler) chiarire le responsabilità, i mandanti politici. Argomenti difficili e spinosi, soprattutto per un film e per vicende così recenti. I fatti di Genova rappresentano una ferita ancora profonda.
Cosa ci lascia un film come Diaz? La memoria dei fatti, afferma Vicari, poi lo sdegno civile. Non so se è sufficiente, sicuramente è un punto da cui ripartire.
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margheritaconwurstel
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martedì 17 aprile 2012
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un bel quadro senza una necessaria cornice
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"Diaz - Don't clean up this blood" è un film di Daniele Vicari sui fatti realmente accaduti alla scuola Diaz di Genova in occasione del G8 nel Luglio 2001. Il film, girato quasi interamente fuori dai confini italiani, è incentrato sulle "verità" emerse dalle circa diecimila pagine di carte processuali e sulla sentenza di primo grado del 13 Novembre 2008 e di appello del 18 Maggio 2010 che in parte riformò quella di primo grado condannando anche i vertici della Polizia di Stato. La critica della pellicola deve necessariamente essere posta su due piani diversi. Da una parte sull'attinenza della trasposizione cinematografica alla realtà appurata dei fatti, dall'altra sul modo in cui i fatti vengono raccontati sul grande schermo.
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"Diaz - Don't clean up this blood" è un film di Daniele Vicari sui fatti realmente accaduti alla scuola Diaz di Genova in occasione del G8 nel Luglio 2001. Il film, girato quasi interamente fuori dai confini italiani, è incentrato sulle "verità" emerse dalle circa diecimila pagine di carte processuali e sulla sentenza di primo grado del 13 Novembre 2008 e di appello del 18 Maggio 2010 che in parte riformò quella di primo grado condannando anche i vertici della Polizia di Stato. La critica della pellicola deve necessariamente essere posta su due piani diversi. Da una parte sull'attinenza della trasposizione cinematografica alla realtà appurata dei fatti, dall'altra sul modo in cui i fatti vengono raccontati sul grande schermo. Il cinema possiede grandissimo potere evocativo e riesce a toccare la parte più intima e nascosta di ognuno. E' un film che suscita indignazione, che pone lo spettatore davanti a domande senza risposte, che riesce, bene, nel compito prefissosi di non cancellare quel sangue brutalmente versato. La scena dell’irruzione nella scuola è una perfetta sintesi di immagini amatoriali e riprese che grazie ad una fotografia volutamente non perfetta si confondono in un tutt’uno. Le inquadrature usate all’interno della Diaz e all’interno della caserma di Bolzaneto portano lo spettatore all’interno delle mura e lo rendono partecipe non solo emotivamente ma anche fisicamente del massacro che sta avvenendo. Il cast è composto da attori già conosciuti al grande schermo e da volti meno noti: Elio Germano, Claudio Santamaria, Pippo Delbono, Rolando Ravello, Renato Scarpa. Alessandro Roja, Paolo Calabresi, Jennifer Ulrich, Davide Jacopini, Ralph Amoussou e Fabrizio Rongione. Protagonisti veri e propri non ce ne sono, sono i fatti ad esserlo. La tensione è palpabile e il ritmo incalzante. Quando una pellicola si occupa di storia, per di più così recente, si accolla, tuttavia, rischi e responsabilità. Come nel film di Giordana "Romanzo di una strage" il pubblico si aspetta di trovare responsi, nomi e cognomi dei mandanti, di capire il "perchè" e non solo il "come". L'impressione è che Vicari, che oltre ad essere regista è anche sceneggiatore della pellicola, scelga di autolimitarsi, rimanendo così, volutamente, solo in superficie. Mancano responsabilità politiche, manca un’attenzione maggiore al contesto e alle “ragioni” delle parti, mancano reazioni e sensazioni della città di Genova. Il risultato è una trasposizione adeguata ed efficace di quanto accaduto la sera del 21 luglio 2001, tra le ore 22 e mezzanotte, nella scuola Diaz, uno dei centri del coordinamento del Genoa Social Forum, ma che non inquadra, o lo fa solo parzialmente, il contesto generale in cui quei fatti accaddero. Da vedere, possibilmente previo approfondimento (ante o post visione) dei fatti narrati.
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[+] perfetto in ogni dettaglio
(di zorro e robin hood)
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giacomogabrielli
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martedì 1 maggio 2012
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lacrime di sangue. *****
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'Diaz' è un capolavoro. Daniele Vicari sprigiona tutta la sua potenza registica e la concentra in quello che è il miglior film italiano degli ultimi 15 anni e uno dei migliori di sempre. La freddezza con la quale il regista de 'Il passato è una terra straniera' immortala i fatti accaduti nel 2001 a Genova è impressionante. 'Diaz', vista la veridicità dei fatti, è anche uno dei film più violenti che abbia mai visto. Un film diretto, senza pietà, in tutti i sensi. La crudezza delle immagini lascia spiazzati. Il primo elemento che però lascia stupiti è la bellezza delle immagini.
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'Diaz' è un capolavoro. Daniele Vicari sprigiona tutta la sua potenza registica e la concentra in quello che è il miglior film italiano degli ultimi 15 anni e uno dei migliori di sempre. La freddezza con la quale il regista de 'Il passato è una terra straniera' immortala i fatti accaduti nel 2001 a Genova è impressionante. 'Diaz', vista la veridicità dei fatti, è anche uno dei film più violenti che abbia mai visto. Un film diretto, senza pietà, in tutti i sensi. La crudezza delle immagini lascia spiazzati. Il primo elemento che però lascia stupiti è la bellezza delle immagini. Ogni singola inquadratura è perfetta, studiata nel minimo dettaglio per risultare il più completa ed espressiva possibile. 'Diaz' non è un film di parte, o meglio, è un film che prende posizioni solide su fatti però incontestabili; la sciocchezza è stata fatta e ora bisogna sorbirne le conseguenze. Scioccante la rappresentazione dei dirigenti della Polizia di Stato coinvolti nell'"operazione". Il primo stadio della mia commozione è iniziato sin dal principio, quando ho subito pensato: "non è possibile che stia assistendo ad un tale spettacolo, non è possibile che in questo paese di molte parole e pochi fatti, qualcuno abbia creato un tale capolavoro". Il film prosegue e con esso aumenta l'emozione. Sin dai primi istanti regia, musica e messinscena creano un'ansia incredibile. Capisci che da un momento all'altro qualcosa esploderà. Così è stato. Cast, stuntman, scenografia, montaggio e macchina da presa danno il loro meglio nelle scene dell'irruzione nella scuola. Scene che rimandano a tempi oscuri di un passato non poi così distante, ritornano senza censure. Un po' 'Bloody Sunday' e un po' 'Schindler's List'. Manganellate, teste che sbattono sui muri, denti fracassati e altre violenze indescrivibili, ma che il film non mette a tacere, sono a mio pare la punta massima della potenza di questo capolavoro indelebile. Indimenticabili le scene che vedono protagonista la Ulrich, dosate e ben riuscite le scene con Elio Germano, stupendo il personaggio dall'uscita anti-hollywoodiana di Claudio Santamaria e bravi, bravissimi e credibilissimi tutti gli altri attori. Con orgoglio si deve sottolineare che la troupe del film è composta prevalentemente da giovani cineasti che con questo film, grazie al produttore Domenico Procacci, portano in alto il nome del nostro cinema come di rado è stato fatto di recente. Un film che parla di fatti, senza inutili giri di parole. Un film che ti travolge dal primo all'ultimo secondo, che spiazza e sconvolge, picchia e grida, soffre e piange. Il finale è il climax del film. Stupenda la ricostruzione del quartiere di Genova dove si trova la Diaz. Perfetti e impercettibili gli effetti visivi. Il montaggio concilia perfettamente le immagini di repertorio e quelle ricostruite. Fotografia e regia da Oscar, non per modo di dire. Un film che è parte della storia, di noi e di chi non ne vuole parlare. LACRIME DI SANGUE *****
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michela siccardi
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sabato 16 giugno 2012
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una pagina di storia che storia non può essere
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Definirla una pellicola di “impegno civile” è ridicolmente limitativo, è minimizzare ciò che non può essere ricondotto a misura. Parlare dei fatti del G8 di Genova, narrati in modo ferreo dal regista Vicari, come di una “sospensione del diritto e della democrazia” è perbenismo e bocca lavata. Non si tratta di normatività, di categorie sociali contingenti, di nomos corretto o scorretto: qui è annullato l’universo della politica. “Zoon Politikon” dice Aristotele, l’uomo è un animale politico, nel film non vediamo uomini. Giustizia e ingiustizia sono termini che hanno senso e significato, che possono essere applicati in un contesto di civiltà, di cultura, in una sfera umana.
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Definirla una pellicola di “impegno civile” è ridicolmente limitativo, è minimizzare ciò che non può essere ricondotto a misura. Parlare dei fatti del G8 di Genova, narrati in modo ferreo dal regista Vicari, come di una “sospensione del diritto e della democrazia” è perbenismo e bocca lavata. Non si tratta di normatività, di categorie sociali contingenti, di nomos corretto o scorretto: qui è annullato l’universo della politica. “Zoon Politikon” dice Aristotele, l’uomo è un animale politico, nel film non vediamo uomini. Giustizia e ingiustizia sono termini che hanno senso e significato, che possono essere applicati in un contesto di civiltà, di cultura, in una sfera umana. Qui l’epochè è coscienziale, essenziale, ontologica. Il potere perde ogni controllo- reale e apparente- e si fa puro male, mancanza d’essere. Male che annienta la Persona, la dignità e la sostanza dell’essere umano. Questo documento straziante ripercorre impietoso le ore che seguono all’assassinio di Carlo Giuliani, ore imbevute di brutalità e sangue. Protagonista è la violenza, la gratuità dell’abuso, delle prepotenze, dei giochi sporchi, delle botte, delle provocazioni, delle ossa rotte, delle facce spaccate, delle mortificazioni, delle umiliazioni psicologiche e ontologiche. Bestiali carnefici -svestiti di ragione, coscienza e umanità per meglio indossare la divisa e (ab)usare del manganello- macellano, senza alcuna esitazione e anzi ostentando orgogliosa convinzione, ragazzini (ma anche pensionati e giornalisti) che dormono nella palestra di una scuola. Con fermezza procedono gaudenti alla mattanza, suggerita approvata e controfirmata “dall’alto”, danno sfogo a una brutalità malata, folle, perversa, inumana….inanimale.
La molteplicità dei punti di vista da cui è magistralmente narrata la vicenda non attenua il fragore dei vetri frantumati, così come le diverse angolazioni della ripresa non levigano la crudezza atroce delle immagini. Per lo spettatore solo doloroso sconcerto, incredulo disorientamento, impossibilità di accettazione, un’indignazione profonda, troppo intima da poter trovare sfogo verbale o una qualsivoglia esternazione. La mazzata finale, il pugno ultimo su uno stomaco sfondato: il tutto è -senza scrupoli- scrupolosamente basato sulle carte processuali, nessuna scena iperbolica, niente estremizzazioni cinematografiche, nessun esagerato grillo di fantasia o efficace espediente del regista. L’ultima speranza crolla. Nessun esito aporetico, nessuna possibilità di dubbio, solo amarissime, venefiche, tragiche certezze, solo occhi chiusi e prescrizione: nessun colpevole sarà punito.
Una macchia incancellabile, una colpa indelebile di tutti.
Una pagina di storia, che storia- scienza umana- non può essere. Un film intriso di sangue che - strizzate gli occhi quanto vi pare- bagna ancora e bagnerà per sempre il pavimento della nostra meschina coscienza.
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renato volpone
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lunedì 16 aprile 2012
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senza pietà
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Il film comincia con riprese ravvicinate, forse troppo, inquadature basse che non lasciano respiro allo sguardo, si teme la manipolazione delle immagini per far colpo sullo spettatore, visto il tema trattato, ma il racconto di questo "orrore dello Stato" si sviluppa lentamente, con scene temporalmente disgiunte che si riuniscono man mano nella costruzione della vicenda in tutta la sua drammaticità. Il regista e gli attori riescono a rendere tutta la gravità e, ripeto, l'orrore della situazione: chi dovrebbe difendere la legge e gli uomini diviene carnefice impunito: il dolore dei manganelli ti entra nelle ossa e te lo porti anche fuori dal cinema con il terrore che hai letto negli occhi dei ragazzi.
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Il film comincia con riprese ravvicinate, forse troppo, inquadature basse che non lasciano respiro allo sguardo, si teme la manipolazione delle immagini per far colpo sullo spettatore, visto il tema trattato, ma il racconto di questo "orrore dello Stato" si sviluppa lentamente, con scene temporalmente disgiunte che si riuniscono man mano nella costruzione della vicenda in tutta la sua drammaticità. Il regista e gli attori riescono a rendere tutta la gravità e, ripeto, l'orrore della situazione: chi dovrebbe difendere la legge e gli uomini diviene carnefice impunito: il dolore dei manganelli ti entra nelle ossa e te lo porti anche fuori dal cinema con il terrore che hai letto negli occhi dei ragazzi. Uomini dello Stato hanno camuffato la verità e colpito persone innocenti senza pietà, con la cattiveria e il sadismo dei peggiori esempi storici. Grande film, grande coraggio, tanto che gli si perdona piccole manchevolezze e lo si consiglia VIVAMENTE alla visione di TUTTI.
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chaoki21
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domenica 15 aprile 2012
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un racconto contro la pulizia
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Non un film politico. Un film di esigenza. Perché, come ben racconta quel ‘Non pulire questo sangue’ sparato nel sottotitolo, l’obiettivo e la cifra meritoria di Vicari stanno proprio nell’ evitare che un Paese troppo avvezzo alla memoria corta, possa mandare in prescrizione anche le sue vergogne recenti.
Nel cinema socio-politico, a cui Diaz è stato forse troppo frettolosamente ascritto, il racconto è spesso sceneggiato dalla storia, va da sé su nastri di trasporto automatici. Piace notare, onore al merito del regista laziale, come invece questo racconto sia autonomo oltre le aspettative, e sia molto meno intriso di politica e social forum, di quanto il battage mediatico preventivo abbia fatto credere e avesse voglia di farci credere.
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Non un film politico. Un film di esigenza. Perché, come ben racconta quel ‘Non pulire questo sangue’ sparato nel sottotitolo, l’obiettivo e la cifra meritoria di Vicari stanno proprio nell’ evitare che un Paese troppo avvezzo alla memoria corta, possa mandare in prescrizione anche le sue vergogne recenti.
Nel cinema socio-politico, a cui Diaz è stato forse troppo frettolosamente ascritto, il racconto è spesso sceneggiato dalla storia, va da sé su nastri di trasporto automatici. Piace notare, onore al merito del regista laziale, come invece questo racconto sia autonomo oltre le aspettative, e sia molto meno intriso di politica e social forum, di quanto il battage mediatico preventivo abbia fatto credere e avesse voglia di farci credere.
Una vicenda che si fa corale e viaggia a stretto gira di posta temporale intorno alla scuola-macelleria, e intorno ai suoi protagonisti, tutti, da Germano a Santamaria, volutamente sotto le righe in favore dell’ epica disfatta del racconto. Di violenza ce n’è, sonora e visiva, ma non è celebrazione ematica splatter, come in un percorso di masturbazione Tarantiniana, è semmai sangue che racconta, che resta incollato alle pareti della Diaz, per farsi guardare da chi c’è arrivato il giorno dopo, e ha provato a raccontarlo al mondo, contro i chiari intenti statali di occultarlo.
Film che scorre veloce, non potrebbe essere diversamente dato il taglio documentaristico e la vicinanza storica del fattaccio brutto genovese, e si fa apprezzare per la sua onestà. Non già contro la Polizia, in modo bieco e faziosamente distorto, semmai contro la Pulizia, della memoria, della testimonianza, del sotterramento nei cassetti di Stato, della polvere sotto i tappeti ministeriali. Tante micro-storie di piccoli uomini, dal vecchio sindacalista CISL, al giornalista assai poco militante, passando per i ragazzi del Media Center, e al manager che non trova un posto migliore dove addormentarsi, tutti annegati per sbaglio nel bagno di sangue incomprensibilmente caduto per errore voluto, addosso alla nostra democrazia.
Ed un film che prende le distanze dal soffocamento dibattuale della fase I del G8, che cita Giuliani, ma non lo tocca più, così come non offre alcun riparo ideologico ai Black Block, se non quello di un piccolo baretto dove anche loro potessero avere paura. Proprio da questa onestà, dalla ricostruzione degli atti processuali fedele ma non strumentalizzata, nasce la sensazione di un lavoro che andava fatto e va visto, perché riempie. Di interrogativi, su una notte di folle interruzione della capacità di intendere e volere degli apparati di pubblica sicurezza di questo Paese, ma anche di rimorso. Per aver vissuto un simile black-out di democrazia, senza che ce ne fossimo accorti in troppi, e per aver permesso che nessuno, prima, con lo obiettivo trasparente della macchina di Vicari, spazzasse via undici lunghi anni di polvere e oblio dalle nostre coscienze.
Diaz ci ricorda allora di non pulire via quel sangue. Ma anche, ed è quello che fa più male all’uscita di sala, che quel sangue è stato versato. E se le macchie vanno via, le ferite e i perché restano quanto mai aperti e sanguinanti.
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anty_capp
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venerdì 27 aprile 2012
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horror senza speranza
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Non solo al termine, ma durante tutta la visione del film, si spera che ci sia un appiglio, una speranza, una giustificazione che spieghi tutto l'orrore in cui noi italiani con questo film ci riflettiamo. Vicari invece non mi ha lasciato una speranza. Nè durante la visione, nè al termine quando attonito e distorto nell'espressione del volto mi sono alzato e sono uscito dalla sala. Il film non lascia respiro a tal punto che spesso ho provato pena e paura che il regista mi facesse tornare nelle scene più crude che mi aveva appena fatto abbandonare. Se da un lato la verità mi ha inorridito e mi ha fatto odiare con ribrezzo il soggetto istituzionale carnefice, dall'alto con più calma e freddezza mi sono chiesto come si sia potuto permettere questo regista di destabilizzare in questo modo la mia fiducia nello stato in cui vivo.
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Non solo al termine, ma durante tutta la visione del film, si spera che ci sia un appiglio, una speranza, una giustificazione che spieghi tutto l'orrore in cui noi italiani con questo film ci riflettiamo. Vicari invece non mi ha lasciato una speranza. Nè durante la visione, nè al termine quando attonito e distorto nell'espressione del volto mi sono alzato e sono uscito dalla sala. Il film non lascia respiro a tal punto che spesso ho provato pena e paura che il regista mi facesse tornare nelle scene più crude che mi aveva appena fatto abbandonare. Se da un lato la verità mi ha inorridito e mi ha fatto odiare con ribrezzo il soggetto istituzionale carnefice, dall'alto con più calma e freddezza mi sono chiesto come si sia potuto permettere questo regista di destabilizzare in questo modo la mia fiducia nello stato in cui vivo. Nessun film di recente (nemmeno l'ottimo Polisse) mi ha generato o meglio ancora causato una tale convivenza di emozioni contrastanti ed intense. Bravo e bestiale Vicari nel raccontare qualcosa che purtroppo stavolta è realtà. L'orrore narrato in Diaz non si può arginare con la fantasia come con i film del terrore. Da giovane non ho dormito dopo aver visto "Profondo Rosso". Ora purtroppo mi tocca stare sveglio convivendo con una pagina della nostra storia di italiani di cui mi vergogno e mi tocca anche dormirci sopra. Da far visionare a quanta più gente è possibile.
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[+] fa male al cure
(di lalli)
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[+] orrore che non si può arginare....
(di michela siccardi)
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