ziogiafo
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martedì 18 aprile 2006
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intelligente storia senza spargimenti di sangue...
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ziogiafo - Inside Man USA 2006 - Questo intrigante thriller/poliziesco dalle svariate sfaccettature politico/sociali riporta con la mente per i suoi contenuti centrali anche se in un contesto differente a quel capolavoro degli anni settanta che fu "Il Maratoneta". Un ottimo lavoro del dinamico e bravo regista afro-americano (Spike Lee) che mette in atto le sue fluide e moderne tecniche di ripresa utili per scorrere rapidamente la storia in lungo e in largo. Lo straordinario Denzel Washington calato in un ruolo di navigato detective-negoziatore trascina lo spettatore in un misterioso gioco di enigmistica dettato dall'ottima sceneggiatura ad orologeria che darà i suoi risultati solo verso la fine del film.
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ziogiafo - Inside Man USA 2006 - Questo intrigante thriller/poliziesco dalle svariate sfaccettature politico/sociali riporta con la mente per i suoi contenuti centrali anche se in un contesto differente a quel capolavoro degli anni settanta che fu "Il Maratoneta". Un ottimo lavoro del dinamico e bravo regista afro-americano (Spike Lee) che mette in atto le sue fluide e moderne tecniche di ripresa utili per scorrere rapidamente la storia in lungo e in largo. Lo straordinario Denzel Washington calato in un ruolo di navigato detective-negoziatore trascina lo spettatore in un misterioso gioco di enigmistica dettato dall'ottima sceneggiatura ad orologeria che darà i suoi risultati solo verso la fine del film. Un gruppo di rapinatori in tuta da imbianchino irrompe in una banca di Wall Street a New York e prende rapidamente in ostaggio tutte le persone che si trovavano all'interno inquadrandole in maniera anomala, facendole spogliare e rivestire con delle tute tutte uguali e poi l'astuto capobanda (Clive Owen) inizia le trattative con la polizia. Interessante la parte della cinica Jodie Foster e di altri due eccellenti comprimari quali un inossidabile Christopher Plummer e un bravo Willem Dafoe. Intelligente storia senza spargimenti di sangue. Buona visione !!!
Cordialmente ziogiafo
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[+] ottima sceneggiatura...
(di sandro)
[ - ] ottima sceneggiatura...
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nigel mansell
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giovedì 13 aprile 2006
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il grande spike
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Eccezionale l'attacco con musica che ti schianta sulla poltrona, forse un pò troppo in vista il marchio Chevrolet del furgone e poi gli altri del gruppo GM: a qualche compromesso deve pur scendere anche Spike.
Denzel tiene ottimamente la scena nella parte dell'eroe/antieroe, scontata la sua riabilitazione morale dopo la presunta sottrazione di danaro, ma comunque godibile nell'economia del film. Splendida nei suoi cinquantanni o giù di lì la Foster: è sempre una bellissima donna, ne sono innamorato sin da quando la vedevo bambina vendere bibbie porta a porta.
La trama tiene sul filo sino al termine del film, e il tempo vola.
Le inquadrature di Manhattan sono splendide e fanno dimenticare la ferita mortale di New Yok, poi la camera diventa mobile e nervosa nelle fasi concitate dell'azione, è poi geniale il primo piano fisso su Denzel, tutto scorre intorno mentre il protagonista indignato corre verso la banca per protestare per la presunta eliminazione dell'ostaggio; mi è poi piaciuto l'avvicinamento svolazzante a mezz'aria dell'obbiettivo al palazzo dove si fa la conoscenza del personaggio interpretato dalla Foster.
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Eccezionale l'attacco con musica che ti schianta sulla poltrona, forse un pò troppo in vista il marchio Chevrolet del furgone e poi gli altri del gruppo GM: a qualche compromesso deve pur scendere anche Spike.
Denzel tiene ottimamente la scena nella parte dell'eroe/antieroe, scontata la sua riabilitazione morale dopo la presunta sottrazione di danaro, ma comunque godibile nell'economia del film. Splendida nei suoi cinquantanni o giù di lì la Foster: è sempre una bellissima donna, ne sono innamorato sin da quando la vedevo bambina vendere bibbie porta a porta.
La trama tiene sul filo sino al termine del film, e il tempo vola.
Le inquadrature di Manhattan sono splendide e fanno dimenticare la ferita mortale di New Yok, poi la camera diventa mobile e nervosa nelle fasi concitate dell'azione, è poi geniale il primo piano fisso su Denzel, tutto scorre intorno mentre il protagonista indignato corre verso la banca per protestare per la presunta eliminazione dell'ostaggio; mi è poi piaciuto l'avvicinamento svolazzante a mezz'aria dell'obbiettivo al palazzo dove si fa la conoscenza del personaggio interpretato dalla Foster.
Spike Lee ha dimostrato che può ottenere il massimo in qualsiasi genere di pellicola e non è assolutamente vero che un regista per essere un grande debba per forza fare film per un pubblico ristretto.
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[+] una confezione di gran spettacolo.
(di no_data)
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antonello villani
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sabato 15 aprile 2006
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poliziesco che strizza l'occhio a philippe marlowe
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Spike Lee in forma smagliante. L’ennesimo film girato a New York -set ideale per le sue storie a base di violenza e conflitti razziali- è un poliziesco vecchia maniera che strizza
l’occhio ai Philippe Marlowe degli anni ‘50: il detective con qualche cosa da farsi perdonare cerca di sventare una rapina
organizzata nei minimi particolari da una banda che depista l’intero corpo di polizia. Così il regista afroamericano lascia al suo passaggio una miriade di falsi indizi, gioca in contropiede con il ladro gentiluomo che ad eliminare gli ostaggi non ci pensa nemmeno, mischia le carte con tranelli e indovinelli per poi ricomporre il puzzle con un finale da antologia. Ritmo e azione non sono alle stelle, eppure “Inside man” mette da parte ogni velleità da action movie preferendo il gioco psicologico tra guardie e ladri: Clive Owen, nella parte del capobanda, mette in piedi un colpo perfetto senza spargimenti di sangue ma con parecchi diamanti e un documento compromettente; Denzel Washington, nel ruolo del negoziatore, giunge alla verità grazie al fiuto del perfetto poliziotto eludendo le trappole disseminate da affaristi senza scrupoli; comprimari eccellenti Jodie Foster, cinica ed arrivista come non mai, Christopher Plummer e Willem Dafoe.
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Spike Lee in forma smagliante. L’ennesimo film girato a New York -set ideale per le sue storie a base di violenza e conflitti razziali- è un poliziesco vecchia maniera che strizza
l’occhio ai Philippe Marlowe degli anni ‘50: il detective con qualche cosa da farsi perdonare cerca di sventare una rapina
organizzata nei minimi particolari da una banda che depista l’intero corpo di polizia. Così il regista afroamericano lascia al suo passaggio una miriade di falsi indizi, gioca in contropiede con il ladro gentiluomo che ad eliminare gli ostaggi non ci pensa nemmeno, mischia le carte con tranelli e indovinelli per poi ricomporre il puzzle con un finale da antologia. Ritmo e azione non sono alle stelle, eppure “Inside man” mette da parte ogni velleità da action movie preferendo il gioco psicologico tra guardie e ladri: Clive Owen, nella parte del capobanda, mette in piedi un colpo perfetto senza spargimenti di sangue ma con parecchi diamanti e un documento compromettente; Denzel Washington, nel ruolo del negoziatore, giunge alla verità grazie al fiuto del perfetto poliziotto eludendo le trappole disseminate da affaristi senza scrupoli; comprimari eccellenti Jodie Foster, cinica ed arrivista come non mai, Christopher Plummer e Willem Dafoe. Il regista de “La 25sima ora” non perde occasione per parlare di discriminazioni razziali con l’indiano sospettato per il colore della pelle e conclude con alcuni monologhi non “politically correct”; l’undici settembre è ancora vivo nella coscienza americana, ma la sceneggiatura ad incastro fa dimenticare qualche caduta di stile. Insomma, il crimine non paga ed il castigo arriva anche dopo mezzo secolo dal misfatto. Perché la tragedia dell’Olocausto continua a tormentare un banchiere senza scrupoli che si è venduto l’anima per arricchirsi sulla pelle dei deportati: la storia insegna, Spike Lee impara. E il suo film è una lezione di cinema che difficilmente si dimentica.
Antonello Villani
(Salerno)
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danilodac
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domenica 9 agosto 2009
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non è un paese per vecchi
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A far da motore all’azione vi è una valigetta contenente due milioni di dollari, ritrovata da Moss (J. Brolin) nel bel mezzo di una tipica zona desertica del Texas. Il bottino è l’unico sopravvissuto ad una strage tra bande di criminali messicani; Moss pensa di tenere il denaro, ma dietro l’angolo vi è un glaciale assassino a pagamento che ha il compito di recuperarlo.
Per il loro 12° film i Coen scelgono di raccontare una storia che rappresenta il compendio della loro intera opera cinematografica.
In questa laconica eppur poliedrica “sentenza”, illuminata dalla splendida fotografia di Roger Deakins, si percepisce un’acuta analisi di carattere del mondo passato e odierno, scaturita da una volontà che rimane congelata anche nei momenti più assurdi.
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A far da motore all’azione vi è una valigetta contenente due milioni di dollari, ritrovata da Moss (J. Brolin) nel bel mezzo di una tipica zona desertica del Texas. Il bottino è l’unico sopravvissuto ad una strage tra bande di criminali messicani; Moss pensa di tenere il denaro, ma dietro l’angolo vi è un glaciale assassino a pagamento che ha il compito di recuperarlo.
Per il loro 12° film i Coen scelgono di raccontare una storia che rappresenta il compendio della loro intera opera cinematografica.
In questa laconica eppur poliedrica “sentenza”, illuminata dalla splendida fotografia di Roger Deakins, si percepisce un’acuta analisi di carattere del mondo passato e odierno, scaturita da una volontà che rimane congelata anche nei momenti più assurdi.
L’ibrida natura di questa tragica odissea nei meandri della malvagità umana è l’essenza stessa dell’opera cinematografica dei Coen, caratterizzata dall’imprevedibile mescolanza dei generi.
Attraverso le disavventure del protagonista(?) e del suo implacabile, folle inseguitore, vengono poste molte domande, alle quali difficilmente si può trovare una risposta.
Il Paese a cui allude il titolo è il Texas, perfetto sfondo per un’esistenza angosciante, avida e perfino immune, spavalda di fronte al giudizio degli uomini.
In questa “apocalisse”, sarebbe difficile stabilire quanto la lente deformante del grottesco alteri la vicenda, che pur tra passaggi di azione iperbolica riesce ad apparire secca, fulminea,realistica. Anche nelle più crude scene di violenza infatti, non c’è compiacimento.
Caratterizzato da un ritmo svelto, spiccio nel mostrare gli eventi, il racconto può risultare a tratti spiazzante, soprattutto a causa del funzionale utilizzo di un tono freddo e distaccato che permette sì allo spettatore di entrare in simbiosi con il film, ma anche di rimanerne al di fuori. La perfetta miscela di suspense, azione, mistero, humour nero, contribuiscono non poco alla riuscita caratterizzazione di un mondo violento, freddo e insensato nella sua follia estrema, turgida e maledetta.
Tutto, o quasi, nel film è accennato, suggerito; Il principale obiettivo dei Coen è, infatti, mostrare, esentandosi da qualsiasi giudizio critico o morale. Anche nell’approfondimento psicologico dei personaggi vi è una voluta insoddisfazione cognitiva che lascia libero lo spettatore di credere o di immaginare, di supporre o di rifiutare.
Nel contesto di un universo spaesato, senza guida e alla deriva, il personaggio di Tommy Lee Jones, in cui s’imprime la metafora del film, vive un incubo ad occhi aperti. Più che un film sulla violenza, è un film sulla normalità della violenza, in un Paese in cui neanche più la normalità ha un’identità precisa.
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a.l.
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martedì 18 aprile 2006
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bin laden mette casa sul central park
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Se si prescinde dai documenti di riconoscimento individuali indispensabili per gli adempimenti burocratici, il concetto di identità, come tutti quelli comprensivi di aspetti diversi e contrastanti di una stessa realtà, elude qualsiasi definizione troppo schematica: il modo di reagire ad eventi o a fenomeni storicamente determinanti è tratto fondamentale dell’appartenenza a una comunità nazionale nel suo continuo formarsi e rimodellarsi, sotto il profilo psicologico di massa e politico, di fronte alle evoluzioni o regressioni imposte dai tempi e la capacità di prenderne coscienza misura la reattività e la forza propositiva di una civiltà e di un Paese. Il senso più profondo dell’ultima fatica di Spike Lee, “Inside man” è di fatto imprescindibile dalla sua dichiarata americanità: gli esiti più interessanti del cinema statunitense recente, “Crash”, “Le tre sepolture”, “Transamerica”, “I segreti di Brockeback Mountain” e altri, testimoniano la volontà di restituire vitalità a modelli e stereotipi, rielaborandoli in una cultura rispettosa della tradizione ma aperta alla necessità di andare oltre traumi e sensi di colpa in direzione del futuro.
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Se si prescinde dai documenti di riconoscimento individuali indispensabili per gli adempimenti burocratici, il concetto di identità, come tutti quelli comprensivi di aspetti diversi e contrastanti di una stessa realtà, elude qualsiasi definizione troppo schematica: il modo di reagire ad eventi o a fenomeni storicamente determinanti è tratto fondamentale dell’appartenenza a una comunità nazionale nel suo continuo formarsi e rimodellarsi, sotto il profilo psicologico di massa e politico, di fronte alle evoluzioni o regressioni imposte dai tempi e la capacità di prenderne coscienza misura la reattività e la forza propositiva di una civiltà e di un Paese. Il senso più profondo dell’ultima fatica di Spike Lee, “Inside man” è di fatto imprescindibile dalla sua dichiarata americanità: gli esiti più interessanti del cinema statunitense recente, “Crash”, “Le tre sepolture”, “Transamerica”, “I segreti di Brockeback Mountain” e altri, testimoniano la volontà di restituire vitalità a modelli e stereotipi, rielaborandoli in una cultura rispettosa della tradizione ma aperta alla necessità di andare oltre traumi e sensi di colpa in direzione del futuro. A differenza del cinema italiano, che quasi sempre sceglie la famiglia come osservatorio privilegiato sul mondo, quello a stelle e strisce rivive il proprio passato nella prospettiva di un oggi già domani, ponendosi al centro di scenari ed orizzonti assai più vasti e complicati delle quattro mura domestiche. Ed il grado di consapevolezza del processo sociale ed etico di formazione di una America post-11 settembre caratterizza “Inside Man” che continua, con meno ambizioni, la strada intrapresa da “La 25.ma ora”, grandiosa sintesi dell’anima della metropoli capitale morale dell’Occidente. La situazione è quella classica del poliziesco, sottogenere rapina in banca, con i suoi personaggi tipo, il poliziotto e il capo bandito, specularmente simili nel loro eroismo disincantato alla Chandler, con gli scheletri nascosti in una casetta di sicurezza, il classico anello, simbolo del potere del male nella città corrotta. Niente di originale fin qui, tanto meno nello scoprire un legame fra alta finanza e violenza: lo si sa da tempo che “ Se scorre il sangue è il momento di comprare.”. Lo spirito della pellicola però sta sotto la superficie, uomo talpa dietro l’immagine, e se volessimo indicarla in una parola chiave essa sarebbe caos: i rapinatori mettono in funzione un altoparlante, attraverso cui una voce parla una lingua incomprensibile, e solo dopo lunghe ricerche, compare una ragazza che in cambio della cancellazione delle multe per divieto di sosta, svela che si tratta di uno dei tanti discorsi al popolo di Hoxha, il dittatore albanese, l’ultimo “rivoluzionario” europeo. Una efficace raffigurazione della confusione contemporanea, dove si fanno guerra assurdamente in un cosmopolitismo ingovernabile idiomi ed ideologie ridicolmente anacronistiche: la giungla urbana è resa esplosiva dall’egoismo delle fiere solitarie, ciascuna con il proprio territorio da ampliare e difendere, il bambino di colore tenta di uccidere il poliziotto razzista, l’avvocatessa chic azzanna sorridendo, giustiziere e malvagio si scambiano i ruoli, Bin Laden mette casa sul Central Park. E nel ritrovato Far West ai pistoleri coraggiosi non resterà che riscoprire il proprio cuore puro e restituire al demonio l’ anello.
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[+] bravo come sempre!
(di ale (sp))
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ilpredicatore
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martedì 12 gennaio 2010
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inside lee
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Non era facile pensare di commissionare un film del genere a un regista atipico, fuori dagli schemi, autoriale, stravagante e che non ha mai girato un blockbuster come Spike Lee. E invece chiunque abbia avuto questa trovata ha compiuto un autentico colpo di genio, perché Inside Man è un film perfetto come la rapina che esegue Dalton Russell, perfetto come i suoi interpreti, come anche la scelta di Matthew Libatique alla fotografia, ma soprattutto perfetto come la sceneggiatura di Gewirtz. Non un buco, un’imprecisione, un intoppo, una macchia, una forzatura, una qualche debolezza, niente, quella di Gewirtz è una sceneggiatura di rara perfezione geometrica, nella quale inizialmente tutto sembra smontato e sparpagliato, ma nel lungo finale denso di sorprese e imprevedibilità ogni cosa si ricompone e diventa improvvisamente chiara, lasciando tuttavia un’atmosfera di intensa ambiguità.
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Non era facile pensare di commissionare un film del genere a un regista atipico, fuori dagli schemi, autoriale, stravagante e che non ha mai girato un blockbuster come Spike Lee. E invece chiunque abbia avuto questa trovata ha compiuto un autentico colpo di genio, perché Inside Man è un film perfetto come la rapina che esegue Dalton Russell, perfetto come i suoi interpreti, come anche la scelta di Matthew Libatique alla fotografia, ma soprattutto perfetto come la sceneggiatura di Gewirtz. Non un buco, un’imprecisione, un intoppo, una macchia, una forzatura, una qualche debolezza, niente, quella di Gewirtz è una sceneggiatura di rara perfezione geometrica, nella quale inizialmente tutto sembra smontato e sparpagliato, ma nel lungo finale denso di sorprese e imprevedibilità ogni cosa si ricompone e diventa improvvisamente chiara, lasciando tuttavia un’atmosfera di intensa ambiguità. Spike Lee, per l'appunto: il suo stile conferisce al film quel tocco in più per raggiungere la perfezione soprascritta, nessun altro avrebbe potuto dirigerlo meglio. E non si tratta solo dei movimenti della macchina da presa, dei carrelli, i primi piani o della direzione degli interpreti, ma anche e soprattutto dei riferimenti alla cronaca attuale e alla società (sempre presenti nei suoi film) in cui specie i newyorchesi vivono oggigiorno. Non è affatto casuale come nel film appaiono numerosi personaggi appartenenti a minoranze etniche: albanesi, sick, armeni, asiatici… Chiari, come sempre nei suoi film, le allusioni al razzismo, benché stavolta meno esplicite, ma anche ad Al Qaeda, all’America post 11 Settembre, alla sempre più difficile integrazione, allusioni che fanno da sfondo a questo magnifico e teso thriller dai tempi giusti, di cui sembra sia in lavorazione pure un sequel. Tra i protagonisti un simpatico Washington, un Clive Owen costretto a nascondersi dietro una maschera per quasi tutta la durata del film e un’inedita Jodie Foster, mai così fredda e cinica. Tuttavia il personaggio chiave del film è quello di Christopher Plummer, uomo diventato ricco sulle sofferenze altrui che ha cercato per una vita intera di espiare nascondendo allo stesso tempo la dura verità. Ma per quanto potremo tentare di fare buoni azioni, anche per tutta un’esistenza, la verità prima o poi salterà fuori ed è giusto che sia così. La vera ricchezza è guardarsi allo specchio con rispetto e senza rimorsi.
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elena flauto
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domenica 11 febbraio 2007
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imprevedibile spike
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Il meno prevedibile dei registi americani dirige la meno prevedibile tra tutte le rapine.
Una volta in guerra si conosceva e riconosceva il nemico, oggi tutto è cambiato: il terrorista si confonde tra i civili, non si sa più chi spia chi , nulla è come sembra.
Lo specchio è una rapina di rara originalità e unicità ad una Banca di New York, la Manhattan Trust, messa in scena da uno Spike Lee in piena forma che nel suo film più patinato non rinuncia a riferimenti autorali. Come le carrellate con a bordo cinepresa e attore, New York vista da Brooklyn, la cultura afro-americana, la multietnicità di una New York ancora schiava di pregiudizi razziali : il prologo con appello diretto alla cinepresa di Clive Owen , il rapinatore , che chiarisce i punti chiave della sua visione della rapina, ma che in realtà introduce un’ illusione di spazio .
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Il meno prevedibile dei registi americani dirige la meno prevedibile tra tutte le rapine.
Una volta in guerra si conosceva e riconosceva il nemico, oggi tutto è cambiato: il terrorista si confonde tra i civili, non si sa più chi spia chi , nulla è come sembra.
Lo specchio è una rapina di rara originalità e unicità ad una Banca di New York, la Manhattan Trust, messa in scena da uno Spike Lee in piena forma che nel suo film più patinato non rinuncia a riferimenti autorali. Come le carrellate con a bordo cinepresa e attore, New York vista da Brooklyn, la cultura afro-americana, la multietnicità di una New York ancora schiava di pregiudizi razziali : il prologo con appello diretto alla cinepresa di Clive Owen , il rapinatore , che chiarisce i punti chiave della sua visione della rapina, ma che in realtà introduce un’ illusione di spazio .
E l’illusione e il labile confine tra bene e male , sono ingredienti di un film di grande intrattenimento ricco di colpi di scena che si muove intorno al triangolo:
CLIVE OWEN , Dalton Russell, l’abile rapinatore mosso da vendetta e giustizia.
DENZEL WASHINGTON , Keith Frazer, il detective intuitivo con un forte senso del dovere che deve scagionarsi da una calunnia infamante.
JODIE FOSTER, Modaline White, che bianca è di carnagione e senza colore nell’abbigliamento.
Algida e potente mediatrice di
CHRISTOPHER PLUMMER , Arthure Case, il ricco proprietario della Banca che incarna nella tradizione , l’avidità del danaro e il suo potere.
Segreti, scambio di ruoli , salti temporali, tutto si confonde in una storia costruita per tenere gli spettatori avvinghiati alla poltrona , che da thriller si trasforma in un documento di denuncia all’altezza del migliore Spike Lee.
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ziogiafo
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martedì 18 aprile 2006
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intelligente storia senza spargimenti di sangue...
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ziogiafo - Inside Man USA 2006 - Questo intrigante thriller/poliziesco dalle svariate sfaccettature politico/sociali ci riporta con la mente per i suoi contenuti centrali anche se in un contesto differente a quel capolavoro degli anni settanta che fu "Il Maratoneta". Un ottimo lavoro del dinamico e bravo regista afro-americano (Spike Lee) che mette in atto le sue fluide e moderne tecniche di ripresa utili per scorrere rapidamente la storia in lungo e in largo. Lo straordinario Denzel Washington calato in un ruolo di navigato detective-negoziatore trascina lo spettatore in un misterioso gioco di enigmistica dettato dall'ottima sceneggiatura ad orologeria che darà i suoi risultati solo verso la fine del film.
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ziogiafo - Inside Man USA 2006 - Questo intrigante thriller/poliziesco dalle svariate sfaccettature politico/sociali ci riporta con la mente per i suoi contenuti centrali anche se in un contesto differente a quel capolavoro degli anni settanta che fu "Il Maratoneta". Un ottimo lavoro del dinamico e bravo regista afro-americano (Spike Lee) che mette in atto le sue fluide e moderne tecniche di ripresa utili per scorrere rapidamente la storia in lungo e in largo. Lo straordinario Denzel Washington calato in un ruolo di navigato detective-negoziatore trascina lo spettatore in un misterioso gioco di enigmistica dettato dall'ottima sceneggiatura ad orologeria che darà i suoi risultati solo verso la fine del film. Un gruppo di rapinatori in tuta da imbianchino irrompe in una banca di Wall Street a New York e prende rapidamente in ostaggio tutte le persone che si trovavano all'interno inquadrandole in maniera anomala, facendole spogliare e rivestire con delle tute tutte uguali e poi l'astuto capobanda (Clive Owen) inizia le trattative con la polizia. Interessante la parte della cinica Jodie Foster e di altri due eccellenti comprimari quali un inossidabile Christopher Plummer e un bravo Willem Dafoe. Intelligente storia senza spargimenti di sangue. Buona visione !!!
Cordialmente - ziogiafo
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loraxy
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martedì 18 aprile 2006
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il ritorno trionfante di spike lee
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Se sulla trama del film si scrivesse un libro, questo sarebbe avvincente e brillante. La storia è studiata ad arte, accurata nei dettagli ed immancabilmente originale.Con questo emozionante thriller il regista torna trionfante sulla scena, forse ai livelli della 25 ° ora, dopo la “pausa” di Lei mi odia. Tutto inizia con un grosso colpo da sferrare ad una importantissia banca di New York, e sembra il piano di una rapina perfetta, il colpo del secolo! Ma in questo thriller niente è come sembra….
Dalton Russel (Clive Owen), il brillante criminale che ha ideato la rapina, si trova a trattare con il detective-negoziatore Keith Frazier (Denzel Washington, come sempre, impeccabile), che è stato appena promosso ed ha un forte desiderio di dimostrare le sue capacità.
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Se sulla trama del film si scrivesse un libro, questo sarebbe avvincente e brillante. La storia è studiata ad arte, accurata nei dettagli ed immancabilmente originale.Con questo emozionante thriller il regista torna trionfante sulla scena, forse ai livelli della 25 ° ora, dopo la “pausa” di Lei mi odia. Tutto inizia con un grosso colpo da sferrare ad una importantissia banca di New York, e sembra il piano di una rapina perfetta, il colpo del secolo! Ma in questo thriller niente è come sembra….
Dalton Russel (Clive Owen), il brillante criminale che ha ideato la rapina, si trova a trattare con il detective-negoziatore Keith Frazier (Denzel Washington, come sempre, impeccabile), che è stato appena promosso ed ha un forte desiderio di dimostrare le sue capacità. L’ambizioso, furbo e disinvolto detective, ironico e beffardo negli atteggiamenti e imponente nella presenza (diciamo anche affascinante!) si vede quindi assegnato un difficile caso da risolvere, poiché nella banca sono stati catturati 50 ostaggi, tra dipendenti e clienti dell’istituto. Anche l’interpretazione di Clive Owen è magistrale ed il suo personaggio cattura il pubblico con una carica magnetica inusitata ed un temperamento ombroso da eroe “maledetto”. Si aggiunge, nelle maglie strette della vicenda, la presenza di una misteriosa e potente intermediaria di Manhattan, Mrs Madeline White, interpretata da una affascinante Jodie Foster, che entra nelle vesti del personaggio in maniera incantevole. Con i suoi occhi di ghiaccio e le sue belle gambe affusolate, seduce indubbiamente il pubblico, senza contare il suo atteggiamento spregiudicato, freddo e calcolatore…che la rende disarmante. Degna di nota è sicuramente la presenza di Willem Dafoe, nei panni del capitano della polizia John Darius , che, per l’amarezza di molti, troviamo un po’ defilato sulla scena; riveste un ruolo per lui insolito, poiché interpreta un personaggio contraddistinto da pacatezza d’animo e da atteggiamento accomodante, ma lo spessore dell’attore da comunque un tocco in più allo straordinario cast.
Lo scenario scorre tra l’interno e l’esterno della Manhattan Trust Bunk con la vicenda della complessa e appasionante negoziazione tra Denzel Washington e Clive Owen e non siamo di fronte all’azione a 360 gradi, connotata da sparatorie e colpi di scena a profusione, ma ci viene proposto un tema meno scontato, ragionato e ricco di riferimenti a problemi attuali (come il razzismo e le ossessioni post 11 Settembre in una New York eclettica e variopinta), proposti con sobrietà ed umorismo, senza forzare toppo la mano.
L’umorismo condisce molte scene ed è uno spirito acuto, a volte cinico e tagliente, oppure semplicemente ironico, forse beffardo, ma senza dubbio efficace.Emerge una straordinaria accuratezza nello studio dei dettagli ed una sottile ricercatezza nell’atteggiamento dei protagonisti, che spesso esprimono molto di più di quanto è collegato al contesto delle singole scene. Lo spettatore deve prestare molta attenzione alla psicologia dei personaggi per carpire le loro reali intenzioni; si, perché il gioco tra ciò che appare e ciò che è reale domina la trama del film e le scene giocano molto su finzione e apparenze, tese ad ingannare il pubblico.Le sequenze sono accompagnate da flashforward che integrano lala ricostruzione dei fatti e sicuramente sono avvincenti per gli amanti del genere di regia.
E siate pronti…ad un entusiasmante finale a sorpresa (C’era da aspettarselo)!
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stefania
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martedì 2 maggio 2006
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inside man - inside game
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Una delicata operazione di equilibrio ben riuscita.
spike lee gioca.
gioca con i generi,mischia il noir, il thriller, il poliziesco.
gioca con i ruoli,si diverte a spiazzare il pubblico:i cattivi sono buoni e i buoni sono stati un tempo molto cattivi.il ladro gentiluomo gioca con il detective regagliandogli ciò che più di tutto lui desidera.il bambino di colore gioca a un gioco razzista ammazzando spacciatori e ladri con una ferocia che nel film manca completamente.
gioca anche sul linguaggio,lo slang è preso di mira e criticato in maniera talmente sottile e ironica da un bambino di 5 anni che riesce ad esprimersi solo tramite frasi come "da paura", "forte".
Ma il gioco migliore è sul tempo.
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Una delicata operazione di equilibrio ben riuscita.
spike lee gioca.
gioca con i generi,mischia il noir, il thriller, il poliziesco.
gioca con i ruoli,si diverte a spiazzare il pubblico:i cattivi sono buoni e i buoni sono stati un tempo molto cattivi.il ladro gentiluomo gioca con il detective regagliandogli ciò che più di tutto lui desidera.il bambino di colore gioca a un gioco razzista ammazzando spacciatori e ladri con una ferocia che nel film manca completamente.
gioca anche sul linguaggio,lo slang è preso di mira e criticato in maniera talmente sottile e ironica da un bambino di 5 anni che riesce ad esprimersi solo tramite frasi come "da paura", "forte".
Ma il gioco migliore è sul tempo.Denzel washington è vestito da detective anni 30 e con quella classe e quello stile parla e si comporta nel 2006.un tempo sono stati effettuati crimini di guerra che a distanza di 58 anni riemergono con una crudezza ancora tristemente attuale.
e proprio sul tempo ritrovo uno dei pochi buchi di questi film.
come è possibile che un addetto della security richiami al silenzio una cliente in fila perchè parla ad alta voce al cellulare mentre fa passare due minuti ad un imbianchino a posizionare delle torce ad infrarossi su un bancone centrale della banca?
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